Raffaello Castellano (525)
Avete presente quella sensazione di grande spossatezza che ci prende al mattino, quando ci si sveglia di soprassalto e ci si sente disorientati, intontiti e un po’ turbati? Siamo presi da quel torpore misto alla sonnolenza, con le immagini dei sogni, o degli incubi, che si sovrappongono a quelle che i nostri occhi cominciano faticosamente a mettere a fuoco nella penombra della nostra stanza da letto. La sensazione dura, di norma, pochi minuti, ma, immersi in quel limbo fra il sonno, il sogno e la veglia ci può capitare di sperimentare quella singolare esperienza del Déja Vu.
Vediamo, ascoltiamo o leggiamo qualcosa che, siamo sicuri, anzi certi, già abbiamo visto, sentito, vissuto.
È il 14 novembre del 2015, eppure mi sembra, anzi sono sicuro, che è il 7 gennaio 2015. La televisione, appena accesa, mi informa che ci sono stati dei gravissimi attentati terroristici a Parigi, ma non sono stati alla redazione di Charlie Hebdo, no, si parla di un attentato, anzi di diversi attentati ad obbiettivi civili, fra cui un teatro, un bistrò, un caffè e lo stadio. Mi stropiccio gli occhi, alzo il volume della televisione e guardo la data sul mio smartphone: no, non sto sognando o dormendo, sono ben sveglio e quella sensazione di disagio tipica del déja vu lascia immediatamente spazio a quelle di angoscia, disgusto, amarezza e rabbia.
L’angoscia per la consapevolezza di estremo pericolo in cui tutti noi siamo immersi e nella quale rischiamo di affogare.
Il disgusto per la viltà degli attentati inflitti ai luoghi del quotidiano per mietere più vittime e instillare più paura.
L’amarezza per la miseranda natura umana, che porta un uomo con sogni, speranze e famiglia, proprio come noi, ad uccidere e uccidersi pur di lanciare un ultimo agghiacciante grido di dolore.
Ed infine rabbia, sì, rabbia, perché nonostante la Francia sia da sempre una delle nazioni più multietniche d’Europa, è la seconda volta che l’ISIS la attacca quest’anno, reclutando le sue milizie in francesi di seconda e alle volte terza generazione.
Scrivo questo pezzo a pochi giorni dai gravissimi attentati di Francia.
Il numero di novembre di Smart Marketing avrebbe dovuto nelle intenzioni essere dedicato al Natale che verrà, così come l’anno scorso, ma i drammatici fatti francesi ci hanno costretto ad aggiustare la nostra rotta. Così come successo ad inizio anno con il numero sulla shoa, che poi si allargò a contenere anche i fatti di Cahrlie Hebdo, alla stessa maniera questo numero di novembre, che doveva parlare delle tendenze, dei regali, ma pure delle aspettative, dei sogni e delle speranze che volevamo trovare sotto l’albero, ora, adesso, alla luce di quanto accaduto, non potrà non parlare anche delle paure, delle angosce e dello sgomento che assalirà, volenti o nolenti, tutti noi.
A maggior ragione in Italia, da sempre crocevia di culture, approdo naturale sul Mediterraneo, interessata da immensi flussi di migranti, con tendenze (mai sopite e neanche tanto latenti) di razzismo e con l’imminente apertura dell’Anno Santo e del Giubileo proclamato da Papa Francesco.
La domanda allora è, allo stesso tempo, semplice e sconcertante: come dobbiamo festeggiare, anzi vivere è il termine giusto, il Natale 2015?
Non ho facili risposte e ogni suggerimento rischia di essere scontato e retorico; quello che spero con tutto il mio essere e tutta la forza di cui sono capace è che noi non dobbiamo mollare, non dobbiamo cedere, non dobbiamo rinchiuderci, non dobbiamo nasconderci, non dobbiamo smettere neanche per un secondo di sperare. Insomma, non dobbiamo smettere di vivere.
Perché, in ultima istanza, il terrorismo, di qualunque bandiera esso sia, usa le bombe, i mitra e gli attentati non solo per uccidere un numero più o meno grande di persone: il suo scopo ultimo, le sue vere vittime, sono i feriti, i superstiti, gli spettatori, siamo noi, tutti noi che, inorriditi e spaventati, finiamo con il fare il suo gioco, smettendo di vivere un tanto al giorno.
Si comincia evitando i luoghi affollati, rinunciando ad un viaggio in programma, evitando i mezzi pubblici, uscendo di casa sempre meno, cambiando insomma la nostra routine quotidiana, le nostre abitudini, diventando ogni giorno sempre più diffidenti, ansiosi, paranoici e sospettosi.
Ci allontaniamo dalla luce e dagli altri e ci rintaniamo nelle tenebre e nella solitudine, nella falsa convinzione di essere al sicuro.
L’augurio che faccio a tutti i nostri lettori è quello di continuare la propria vita, magari con un poco di prudenza in più, ma con una consapevolezza che non ci deve abbandonare: non importa quanta oscurità e tenebre ci siano intorno a noi, la luce è il nostro destino e la nostra ragione d’essere, e se non credete alle mie parole sentite cosa disse il grande psichiatra Carl Gustav Jung: “A quanto possiamo discernere, l’unico scopo dell’esistenza umana è di accendere una luce nell’oscurità del nostro mero essere”.
Buona lettura e ricordatevi di accendere tutte le vostre luci: di casa, natalizie e quelle dentro di voi.