Nel nostro precedente approfondimento, abbiamo esplorato con il criminologo Luigi Corvaglia il complesso intreccio tra crimini esoterici, satanismo e narrazione mediatica, evidenziando come la fascinazione per l’oscuro possa influenzare la percezione pubblica e il racconto giornalistico. Tuttavia, molte domande rimangono aperte.
Quali sono le dinamiche psicologiche e sociali che alimentano questi fenomeni?
Come distinguere tra realtà e costruzione mediatica?
Per approfondire ulteriormente queste tematiche, conversiamo con il Criminologo Emanuele Cusumano.
De Vincentiis/Pavan: Nelle nostre inchieste ci imbattiamo spesso in casi in cui il simbolismo oscuro, l’estetica del male e certi riferimenti esoterici venivano subito presi per prove di appartenenza a un culto o di intenzioni rituali, anche quando erano semplici espressioni tipiche di adolescenti e del loro senso di ribellione estrema. . Eppure quel simbolismo, pur privo di significati dottrinari, produce effetti reali, mediatici e sociali. Lei ha mai avuto l’impressione che oggi sia sempre più difficile distinguere tra un crimine alimentato da un reale delirio esoterico e uno solo “travestito” da tale per confondere, manipolare o spaventare?
Cusumano: Certamente una cosiddetta “conoscenza dottrinale” e, dunque, un utilizzo della simbologia e della ritualistica afferente al mondo del satanismo o, più in generale, dell’esoterismo di sorta, presuppone una vera e propria funzione trascendentale del delitto. Ovverosia, l’atto criminoso si inscrivere in un sistema di credenze, che potremmo definire fondamentalistiche, che ne conferiscono una valenza altrettanto simbolica cioè, per l’appunto, esso assume significato solo in quello specifico sistema di credenze. Ebbene, salvo i casi nei quali si tenta in maniera manipolatoria di perseguire la via del “delirio religioso”, nella speranza di poter fruire dei “benefici” previsti dalla norma, l’epicentro del nostro ragionamento risiede in quella sfumata area di demarcazione tra il franco “delirio” e la fede a sistemi di credenze aventi una loro coerenza ma distanti dal “sentire comune odierno”.
De Vincentiis/Pavan: Analizzando certi casi, ci è sembrato che l’elemento “satanico” venga usato come lente attraverso cui rileggere tutto, anche quando compare solo a posteriori, magari evocato dagli stessi colpevoli. Come se si usasse l’immaginario del male per amplificare l’effetto del reato o per darsi un’identità. Lei, nella sua esperienza, ha osservato dinamiche simili? È possibile che in alcuni casi il satanismo sia più un linguaggio narrativo che un vero movente?
Cusumano: Dirò una banalità: il “satanico”, ovvero il “deviante” per definizione, ha da sempre affascinato l’essere umano. Altrimenti gli horror non avrebbero tutto questo successo e, a mio modo di vedere, neppure alcuni credo religiosi. Ad ogni modo, l’informazione giudiziaria, spesso tristemente volta più al clickbaiting che alla descrizione dei fatti noti, ha imparato che rintracciare in certi fatti criminosi connotazioni “aberranti” (ad es. satanismo, pedofilia, incesto ecc.), è proficuo in termini di views. Lancio una provocazione: il noto caso delle Bestie di Satana, è stata una vicenda afferente al mondo del “satanismo”? La risposta, infatti, a dispetto del noto e suggestivo nome del “gruppo” può essere affermativa o negativa a seconda di ciò che si intenda per “satanismo”; in questo specifico fatto di cronaca, com’è noto, definito “acido”.
De Vincentiis/Pavan: entriamo nel concreto e prendiamo il caso di suor Maria Laura Mainetti. Quest’ultimo ci ha sempre lasciato un dubbio professionale, ossia quello tra ciò che le tre ragazze dicevano di voler fare e ciò che realmente le motivava. La dimensione rituale sembra quasi una messinscena posticcia, eppure i riferimenti simbolici sono presenti. È legittimo, secondo lei, parlare di “delitto satanico” o sarebbe più corretto inquadrare l’omicidio in una cornice psicosociale, dove il richiamo all’occulto è solo un modo per amplificare il rumore del gesto?
Cusumano: Non cadremmo certamente in errore se affermassimo che il triste omicidio avvenuto nel 2000 a Chiavenna, ha indubbie connotazioni sataniche: basti pensare al ritrovamento, nei pressi del cadavere, su un muro, di croci rovesciate, il celeberrimo 666 e altre scritte. Ma non solo, la vittima è una suora, le ragazze, emergerà dalle indagini, in passato avevano vandalizzato il cimitero con riferimenti a Satana, si parlerà di pagine strappate di un testo religioso con scritte sopra bestemmie e così via. Eppure, come ricorda il prof. Massimo Picozzi che del caso si occupò, durante la perizia una delle “protagoniste” ha esplicitamente ammesso di non credere né in Dio né in Satana. Dunque, in definitiva, più che l’adesione a una fede satanica, la funzione psichica dei simbolismi, non ultimo l’omicidio, era prevalentemente la necessità di appartenenza ad una comunità: ovverosia il bisogno di un senso di identità che solo in quel gruppo, caratterizzato da dinamiche evidentemente deviate e criminose, ha trovato una possibile via. Va da sé che le fragilità delle omicide erano anche molte altre, e che la devianza dei comportamenti è l’esito di una multifattoriale traiettoria evolutiva. Ma il satanismo, e chi ad esso fa riferimento come sistema di fede, ha anche un’espressione più “dottrinale” e questo, per quanto possa comprensibilmente apparire deviante, non così frequentemente si declina in atti criminosi così efferati.
De Vincentiis/Pavan: Quando i media usano termini come “sacrificio” “rituale” o “delitto satanico” spesso lo fanno prima ancora che emergano elementi oggettivi. Questo non solo orienta l’opinione pubblica, ma può anche influenzare le prime fasi dell’indagine. Ci domandiamo se non ci sia un bisogno inconscio, culturale, di dare un nome misterioso al male. Lei crede che questa tendenza derivi solo dal sensazionalismo o risponda a una necessità collettiva di esorcizzare ciò che non si capisce?
Cusumano: Sapere che esiste il “Male”, quello con la “M” maiuscola, ci pone evidentemente nella speculare certezza che esiste anche il “Bene” e che, guarda caso, noi facciamo parte delle schiere di quest’ultimo. Ciò che davvero più temiamo, come ci insegna anche la nostra più umana esperienza quotidiana, ma anche diversi studi del settore, è l’incertezza, il dubbio. Il quale è come una sorta di fastidio che ci fa star scomodi. Un timore che talvolta è preferibile barattare per una sconfortante certezza. Ci narriamo la solita storia: “Certi atti, nella loro efferatezza possono esser stati commessi solamente da un mostro!” Non ricordando, tuttavia, che quel mostro alberga dentro ognuno di noi, salvo che, nella maggior parte dei casi siamo molto efficienti nell’evitare che prenda il sopravvento e si manifesti nella sua follia antisociale.
De Vincentiis/Pavan: Più entriamo nel merito del caso di Chiavenna, più ci appare evidente quanto quel gesto fosse, in fondo, profondamente umano: rabbia, noia, smarrimento, forse patologia. Eppure il satanismo, con i suoi simboli, ha permesso alle autrici di attribuirgli un’aura mitologica, disturbante, tragica. Secondo lei, suor Maria Laura è stata vittima di un crimine rituale autentico… o di un crimine banalmente umano che ha trovato nel linguaggio satanico un etichetta?
Cusumano: In definitiva è a mio avviso una questione di punti di vista: il fatto criminoso è indubbiamente connotato da elementi satanici, ma le motivazioni più profonde che hanno portato a tale triste omicidio sono di natura identitaria e relative al senso di appartenenza ad un gruppo, a storie di vita travagliate e sregolate. Voglio condividere una formula logica che può forse sembrare provocatoria, ma il cui utilizzo è motivato dalla facilità con cui mi permetterà di trasmettere e rendere comprensibile il mio punto di vista circa gli omicidi “satanici”: il satanismo acido, come quello delle Bestie di Satana o del caso di Chiavenna, sta al dottrina satanica, come la superstizione religiosa (che spesso appartiene alla nostra cultura popolare ma non sempre è ben vista della Chiesa Cattolica), sta alla Dottrina Teologica.
Scomoda, quasi cinematografica, per amplificarne l’effetto?
Ringraziamo il dottor Cusumano per averci fornito un interessante punto di vista sul quale, sicuramente, si tornerà a discutere.
Emanuele Cusumano è uno psicologo clinico e giuridico, nonché criminologo, è un professionista che da sempre è appassionato allo studio della reciproca interazione tra fenomeni psicologico-psichiatrici e contesto culturale-antropologico di riferimento. Autore del saggio dal titolo “Strage di Altavilla Milicia – intreccio tra follia e cultura religiosa”, ha altresì ricevuto vari premi letterari: UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), Premio Internazionale Casentino e altri riconoscimenti.
Cindy Pavan è un’autrice, conferenziera ed esperta di Satanismo criminale ha pubblicato con De Vincentiis il saggio “Processo al mistero” e conduce la rubrica online “Processo al mistero e dintorni – Approfondimenti crime su sette, delitti satanici ed esoterici” per la C1V Edizioni Roma.