Pavan/De Vincentiis: I crimini esoterici e quelli legati alle sette sembrano esercitare un fascino particolare sul pubblico, spesso generando un misto di timore e curiosità. La narrazione mediatica, i dettagli inquietanti e le figure carismatiche che spesso emergono da questi contesti contribuiscono a renderli un tema centrale nelle cronache e nei dibattiti televisivi. Dottor Corvaglia, da criminologo, quali ritieni siano i fattori chiave che alimentano questa attrazione collettiva? È più una questione psicologica, sociale o anche culturale?”
Corvaglia: La motivazione psicologica più rilevante è la ancestrale attrazione per il perturbante. Il perturbante è ciò che era noto, familiare, perfino rassicurante – si veda la religione ed i suoi riti – ma ritorna in forma deformata, ambigua, generando disagio. Si pensi alle bambole animate di tanto cinema horror. Qualche ancestrale motivazione che l’evoluzione ha salvaguardato ci rende portati a subire una fascinazione che può diventare spinta voyeristica verso ciò che è deviante e verso quella che potremmo chiamare ricerca di una paura controllata. Le persone sono affascinate da ciò che non comprendono pienamente. I crimini esoterici, con simbolismi occulti e dinamiche rituali, offrono uno scenario che stimola la mente e l’immaginazione, senza far correre reali rischi allo spettatore. E’ un meccanismo simile al gusto di guardare nell’abisso nonostante l’orrore, con la consapevolezze di non precipitare. L’industria dell’intrattenimento lo sa e lo sfrutta. Purtroppo lo fa anche l’informazione, spesso orientata a mestare nel torbido e nel morboso per risvegliare questi istinti nel pubblico. Talvolta, e qui i fattori sociali e culturali hanno il sopravvento su quelli psicologici, si utilizzano i fatti di cronaca in modo da creare allarmi collettivi e generando quindi un “panico morale”, come avvenne durante il famoso “panico satanico” negli USA dei tardi anni ottanta.
Pavan/De Vincentiis: Spesso i casi di crimini legati alle sette e alle pratiche esoteriche finiscono per acquisire un’aura quasi mitologica, specialmente quando i media ne amplificano alcuni aspetti. Basti pensare ai casi celebri che, nel tempo, hanno assunto una dimensione quasi leggendaria, trasformando i colpevoli in figure enigmatiche e spesso creando un alone di mistero attorno alle loro storie. Hai riscontrato esempi concreti in cui la narrazione mediatica ha contribuito a trasformare un evento criminale in un mito, magari con conseguenze che hanno distorto la percezione della realtà?”
Corvaglia: I grandi leader di sette sono figure che potremmo definire, in senso lato, “archetipiche”, richiamando oscure immagini di demiurghi e maghi della narrazione arcaica dell’occidente. I serial killer, con la loro totale assenza di empatia e la parvenza di assoluta normalità, sono l’espressione più chiara di quel perturbante di cui si parlava prima. Ovviamente, il solleticare da parte dei media soprattutto questi elementi più profondi del nostro inconscio distorce la percezione pubblica degli eventi. I tratti disturbanti dei grandi criminali d’ambiente occulto o esoterico vengono talvolta fusi con quelli da “anti-eroe”, dandogli un’aura di fascino. Questa dinamica non solo altera la comprensione sociale del fatto criminale, ma può influenzare indagini, processi e perfino le politiche pubbliche.
Il caso più classico, ovviamente è quello di Charles Manson che, proveniente dall’ambiente “peace and love” della filosofia hippy dei tardi anni sessanta, fece compiere alle sue adepte delle stragi insensate a Los Angeles. La sua effige è ora una icona pop proprio grazie all’azione di costruzione del mito avvenuta negli anni. A volte, la realtà è molto più prosaica. Si prenda il caso delle cosiddette “Bestie di Satana”. A questo gruppo di ragazzotti dell’ultra-provincia lombarda è attribuita una serie di omicidi compiuti con presunti rituali satanici. I media usarono da subito espressioni come “setta satanica”, evocando il panico morale. La musica ascoltata dai membri (metal, neppure particolarmente estremo) fu usate come prova di ciò. In realtà, i reati si svolsero in un contesto di disagio giovanile, uso di droghe, relazioni tossiche e dinamiche di gruppo disturbate, più che di vera ritualità esoterica. Ma la narrativa “satanica” prese il sopravvento e divenne la lente principale per leggere il caso.

Pavan/De Vincentiis: Nei tuoi studi e nelle tue analisi, hai mai notato il rischio che la spettacolarizzazione di questi crimini possa portare a una pericolosa normalizzazione del fenomeno? ci riferiamo a quando il racconto si concentra più sugli aspetti suggestivi che sulla comprensione reale del problema, generando una sorta di ‘fascinazione oscura’ che potrebbe influenzare negativamente il pubblico. Secondo te, qual è il confine tra informazione e sensazionalismo quando si trattano casi di crimini esoterici e legati alle sette?”
Corvaglia: La spettacolarizzazione può portare sia alla normalizzazione che alla suo contrario. Da un lato, la narrazione mediatica trasforma l’eccezionalità del crimine in un racconto estetizzato, quasi seducente, anziché trattarlo come un fenomeno da comprendere nelle sue dinamiche profonde. Quando un crimine legato a pratiche esoteriche o occultistiche viene raccontato più per i suoi aspetti teatrali che per la sua gravità, può accadere che il pubblico svilisca la portata reale del danno, vedendo il caso come di una forma folkloristica di criminalità, legata magari ad ambienti di persone un po’ rintronate e credulone. D’ altro canto, però, la romanticizzazione dei leader criminali, può portare a scambiare il carisma del narcisista e dello psicopatico per genialità o trasgressione, rendendolo fascinoso e temibile oltre modo. Ciò comporta un duplice e contraddittorio rischio. Il primo è che si sottovaluti il pericolo reale, percependo magari le sette come fenomeni pittoreschi; il secondo è invece che vengano viste come entità onnipotenti e invincibili, scoraggiando le vittime dal chiedere aiuto.
Circa il confine fra informazione e sensazionalismo, credo che esso sia sottile ma chiaramente tracciabile. Il sensazionalismo induce paura o fascinazione, sfrutta emozioni forti, fa dei protagonisti figure iconiche, laddove l’informazione fornisce contesto e dati e non mistifica nè mitizza il crimine.
Pavan/De Vincentiis: Alla luce di tutto questo, come pensi che i media e la divulgazione criminologica potrebbero trovare un equilibrio tra l’interesse del pubblico e la necessità di evitare una costruzione sensazionalistica o mitizzante di questi casi? Pensi che ci siano delle strategie o delle buone pratiche che giornalisti, divulgatori e criminologi dovrebbero adottare per garantire un’informazione più responsabile?”
Corvaglia: Credo che l’obiettivo debba sempre essere quello di “disinnescare il mito”, spiegando i meccanismi psicologici, sociali e culturali dietro a questi reati. È legittimo raccontare storie anche forti, ma serve un linguaggio rigoroso, non mitologico, suggestivo e morboso. È fondamentale decentralizzare la figura del “guru” o del “mostro”, e ricentrare le vittime, le dinamiche collettive, i processi di persuasione.
Quanto alle strategie, bisogna formare chi comunica perché non produca intrattenimento tossico. Vedo la necessità di un codice etico per una narrazione responsabile, al quale dovrebbero rifarsi tanto i giornalisti quanto gli esperti. Fra i principi guida penso alla centralità della vittima, alla adozione di un linguaggio sobrio e tecnico ed alla apertura alla pluralità di letture. Credo che ne siamo molto lontani. Quando vengo interpellato dalle redazioni televisive per un parere di esperto, la prima cosa che mi viene chiesta è se posso portare delle vittime, non per farne l’oggetto della rispettosa centralità di cui parlavo, ma del morboso voyerismo del pubblico in ragione dell’audience.
Luigi Corvaglia è uno studioso del rapporto fra potere e sottomissione ed un attivista “anti-sette” italiano. E’ psicologo, psicoterapeuta, docente, divulgatore scientifico, saggista e conferenziere.
E’ stato Presidente del Centro Studi Abusi Psicologici (CeSAP). E’ componente tanto del comitato scientifico quanto del Consiglio Direttivo della FECRIS, la Fédération Européenne des Centres de Recherche et d’Information sur le Sectarisme, una ONG con sede a Marsiglia che raccoglie 60 associazioni anti sette di 32 paesi. E’ il primo italiano ad occupare queste posizioni. E’ inoltre membro della International Cultic Studies Association (ICSA), il principale network internazionale di studiosi di gruppi costrittivi e totalitari.
Cindy Pavan è un’autrice, conferenziera ed esperta di Satanismo criminale ha pubblicato con De Vincentiis il saggio “Processo al mistero” e conduce la rubrica online “Processo al mistero e dintorni – Approfondimenti crime su sette, delitti satanici ed esoterici” per la C1V Edizioni Roma.