Quando il Sesto Potere è in mano agli haters sono diversi gli strumenti per riuscire ad arginare i rischi

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Nell'immagine un cartone con una il disegno di una smorfia di odio - Smart Marketing
Foto di Andre Hunter su Unsplash.

Li chiamano “haters” e sebbene possa sembrare una semplice parola, dietro nasconde l’odio e la cattiveria più profonda che da sfogo ad una irrequietezza e una frustrazione talmente alta da sfociare in violenza verbale, camuffandosi dietro l’anonimato che da l’illusione del non essere scoperto.

Atteggiamenti aggressivi, accusatori, vessatori nei confronti di una persona o di un gruppo, con lo scopo di diffondere odio e ferire tramite post e commenti con giudizi non richiesti, con gravi insulti, prendendo di mira e accanendosi fortemente e gratuitamente.

Dietro uno schermo diventa poi tutto più facile, “schermati” da un dispositivo si crea quel processo di deumanizzazione in maniera più forte contribuendo alla percezione dell’altro come non del tutto reale ed ecco che, dietro allo schermo l’aggressività e la violenza si fa strada.

Limitare la diffusione dei discorsi d’odio rappresenta una delle sfide più complesse da affrontare da parte della governance di Internet: da un lato la tutela della libertà d’espressione dall’altro lato il rispetto della dignità delle persone. Per contrastare l’hatespeech la Commissione europea ha promosso, dal 2016, un codice di condotta che ha imposto alle piattaforme specifici obblighi di collaborazione, presente nelle policy aziendali che danno il potere di rimozione di contenuti ritenuti illeciti. Un tentativo altamente apprezzabile di ridurre il grado di violenza che caratterizza la rete ma allo stesso tempo il grande rischio che le piattaforme digitali diventino arbitri della libertà di espressione disponendo del potere di selezione dei contenuti da diffondere.

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E’ davvero troppo facile trovare nei commenti un certo grado di violenza, opinioni sprezzanti e sentenze passate in giudicato dal tribunale dei social. Tutto può essere scritto, sembra non ci siano limiti.
Ma di chi è la responsabilità?

Chiunque può cadere nella rete di un hater e subire i suoi attacchi, proteggersi è possibile lavorando sulla propria sicurezza psicologica aumentando, così, la sicurezza in sé stessi appoggiando di meno la validazione che arriva dall’esterno, aumentando i propri livelli di consapevolezza, imparando a mettere limiti, aumentando la nostra capacità di pensiero critico e accrescendo la nostra indipendenza così che non siano gli altri a dover soddisfare i nostri bisogni rincorrendo l’esigenza continua di condividere con il mondo intero un qualcosa dal nostro intimo.

Oltre ai nostri comportamenti e facoltà mentali abbiamo anche alcuni strumenti di restrizione disponibili sui social, utili a bloccare e segnalare utenti che agiscono in modo aggressivo o offensivo così da tutelare di più la nostra privacy limitando i dettagli sui social e utilizzando filtri utili a proteggerci.

Il  potere dei media è riconosciuto, identificati spesso quali  persuasori occulti, agenti di socializzazione e/o  promotori di coinvolgimento, negli anni sono stati additati, promossi, riconosciuti, analizzati; lì dove  il quarto potere magistralmente prodotto da Orson Welles  metteva in scena lo strapotere della carta stampata  e poi il quinto potere rendeva la televisione protagonista,  è di recentissima  rappresentazione nei teatri italiani il Sesto Potere  di scena per raccontare come i social creano e distruggono con la medesima facilità  tanto da spingere  al suicidio per quel  quel diritto all’oblio tanto richiesto, che non è scontato ottenere!

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