Sono passati poco più di quarant’anni da quella mezzanotte ed un minuto del primo agosto 1981, quando MTV andò in onda per la prima volta, eppure oggi sembra essere passata un’eternità, un passato talmente tanto remoto che ormai è storia.
L’1 agosto 1981 avevo appena compiuto due anni e di questo passaggio epocale tra la musica che si ascoltava a quella che si vedeva non ricordo nulla, ma posso ben capire che quello che oggi per me, e per tutti i figli degli anni ’80, è scontato, come guardare un videoclip musicale in televisione, non lo fosse per chi ci ha preceduti.
Immaginiamo per gioco di essere lì a guardare quella prima trasmissione di MTV e di avere quella decina di anni in più che fanno la differenza tra un infante ed un adolescente: in televisione scorre l’immagine di un astronauta che pianta sulla superficie lunare una bandiera con il logo di MTV e subito dopo parte il video della canzone, all’epoca famosissima, del gruppo musicale britannico The Buggles, “Video Killed the Radio Star”.
Avreste avuto anche voi la sensazione di essere sbarcati nel futuro e che quello fosse l’unico futuro possibile?
Forse sì, del resto, se non si fosse identificato con il futuro un canale televisivo monotematico che parlasse di musica in un’epoca in cui esisteva una televisione generalista che mirava a conquistare una fetta di pubblico quanto più ampia possibile, un canale quasi esclusivamente rivolto ai giovani ed alle nuove tendenze musicali e che aveva cambiato radicalmente il modo di proporre la musica e comunicarla, cos’altro poteva essere?
Oggi conosciamo bene l’impatto di MTV sul pubblico, soprattutto sui giovani, e come cambiò il modo di fruire la musica, contribuendo a sviluppare il linguaggio pop e la cultura musicale collettiva e inventando persino nuovi mestieri come il Veejay, non più disc jockey o speaker, ma vero e proprio conduttore televisivo specializzato; ma forse dovremmo rivedere la portata di una rivoluzione sicuramente epocale, ma non così catastrofica da spazzare via le radio e, più in generale, tutto quello che non passa in video.
All’epoca, era facile pensare che il video avrebbe soppiantato l’audio: siamo negli anni ’80, c’è il boom della televisione, che ormai è consolidato mezzo di comunicazione di massa. Ecco perché una canzone come “Video Killed the Radio Star”, che racconta la fine di una “star della radio” (qualcuno all’apice della sua carriera radiofonica), ma metaforicamente è da intendersi come la caduta dell’industria radiofonica a causa delle preferenze del pubblico per la televisione e l’avvento ineluttabile di macchine e della tecnologia (ad esempio, sintetizzatori e drum machine largamente in uso in quel periodo), prefigura la morte delle radio, morte che fortunatamente non è ancora avvenuta.
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Del resto, il mezzo radiofonico è sopravvissuto a più di una rivoluzione dimostrando capacità di rinnovamento ed adattamento uniche; basti pensare all’avvento di Youtube, l’altra grande rivoluzione che ha spostato l’attenzione del pubblico di massa dalla televisione al web.
Sfruttando i media sicuramente più giovani, le radio sono state capaci di rinnovarsi, pian piano hanno conquistato i canali televisivi del digitale terrestre e poi si sono insinuate nella rete, hanno portato musica e parole sfruttando lo streaming e le enormi potenzialità di internet, non morendo affatto, anzi, trasformando uno svantaggio in un punto di forza e duttilità.
Il fatto è che non sempre si può guardare o si vuole guardare uno schermo; pensiamo ad esempio a chi ascolta la radio mentre guida, mentre lavora o mentre fa sport, senza contare poi che il fatto di ascoltare senza dover necessariamente guardare stimola la fantasia molto più delle immagini precedentemente confezionate. Se così non fosse, non si spiegherebbe l’ascesa di fenomeni quali il podcasting e la miriade di app per ascoltare sia musica che podcast e libri.
Alla luce di questo ragionamento, “Video Killed the Radio Star”, e più in generale tutti quei racconti distopici come “The Sound-Sweep” (dello scrittore britannico J.G. Ballard) dal quale trae ispirazione il brano dei The Buggles che profetizzavano la fine dell’audio a favore del video non solo non si sono avverte, ma risultano ormai anacronistiche.
In un mondo in cui siamo ormai bombardati e distratti dalle immagini, non solo televisive (basti pensare alle quantità di video e foto di cui fruiamo sul web), non sarà forse l’ascolto senza il video la soluzione migliore per raccogliere le idee e collegarsi con il nostro “io” più profondo ed autentico?
E come cambierà il modo di fruire dei prodotti radiofonici quando saremo tutti collegati al Metaverso?
Il futuro ci riserva ancora tante novità che dovremo essere pronti non solo a guardare ma soprattutto ad ascoltare, anche perché “In my mind and in my car we can’t rewind we’ve gone too far” (nella mia mente e nella mia macchina, non possiamo tornare indietro, siamo andati troppo lontano).
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