Lo Specchietto Retrovisore. Il super dollaro potrebbe mettere in crisi le economie emergenti.

Blog di mercati e finanza a cura di Christian Zorico (rubrica settimanale)

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Dollaro

Durante la settimana appena trascorsa, la FED il mercoledì e la BCE il giorno dopo, avrebbero dovuto catalizzare l’intera attenzione dei mercati. E in effetti i due eventi non hanno tradito le aspettative. In realtà, l’appuntamento con Draghi prometteva di offrire più spunti per il mercato riportando invece a considerare il meeting della Federal Reserve quasi un non-event.
E cosi considerando le reazioni dei mercati a seguito dei due eventi non possiamo che constatare quanto il focus del mercato si fosse spostato proprio sugli sviluppi della politica monetaria europea.

Almeno due i motivi per cui era lecito attendersi più interesse dalla conferenza stampa di giovedì.

  1. Chiarificazioni al riguardo del percorso di normalizzazione in seguito alle stime di crescita e inflazione
  2. La crisi politica italiana troppo vicina e che ha toccato in maniera più o meno esplicita l’eventualità di una minaccia di uscita dall’Euro.

Così nello statement rilasciato il 14 Giugno a Riga si leggevano testualmente le seguenti parole:

First, as regards non-standard monetary policy measures, we will continue to make net purchases under the APP at the current monthly pace of 30 billion until the end of September 2018. We anticipate that, after September 2018, subject to incoming data confirming our medium-term inflation outlook, we will reduce the monthly pace of the net asset purchases to 15 billion until the end of December 2018 and then end net purchases.
Second, we intend to maintain our policy of reinvesting the principal payments from maturing securities purchased under the APP for an extended period of time after the end of our net asset purchases, and in any case for as long as necessary to maintain favourable liquidity conditions and an ample degree of monetary accommodation.
Third, we decided to keep the key ECB interest rates unchanged and we expect them to remain at their present levels at least through the summer of 2019 and in any case for as long as necessary to ensure that the evolution of inflation remains aligned with our current expectations of a sustained adjustment path.

Sia nei contenuti che nella forma di approcciare l’argomento si evince una certa dovishness. Tutto sommato la reazione dei mercati che hanno comprato indistintamente titoli governativi (con il decennale tedesco che è sceso sotto il livello psicologico dello 0.40%) e indici azionari, che ovviamente hanno beneficiato della debolezza strutturale dell’Euro, non lascerebbe alcun dubbio. Le politiche monetarie di FED e BCE sembrano procedere non solo a velocità diverse, ma in direzione opposta, con la FED che lascia aperte le porte di un quarto rialzo per l’anno in corso e la BCE che invece si mostra del tutto aperta a mantenere elevato il livello di liquidità in circolazione e una politica sui tassi ancorata allo zero per almeno un altro anno.Dollario

Eppure, probabilmente, la chiave di lettura potrebbe non essere esaustiva: in realtà il movimento dell’Euro/Dollaro potrebbe nascondere un posizionamento pre-evento esageratamente confidente in toni più aggressivi di Draghi. Potremmo essere nella posizione in cui le oltre due figure di movimento registrate intraday sull’Euro nei confronti del biglietto verde possano essere frutto di un positioning degli operatori di mercato fin troppo speranzoso. D’altro canto a sottolineare che forse gli atteggiamenti delle due banche centrali non siano poi cosi divergenti ne ha dato prova il mercato proprio sulla decisione della FED. Apparentemente possibilista nell’alzare i tassi fino a 4 volte durante il 2018 eppure al termine della conferenza stampa ci siamo ritrovati con una curva governativa americana ancora più piatta e soprattutto con la curva forward che sconta le probabilità implicite che non va oltre il 50% delle possibilità per il meeting di dicembre per il quarto potenziale rialzo.

E allora tornando alla Banca Centrale Europea, probabilmente sta telefonando, in gergo teatrale, l’atteggiamento della FED. Si deve riconoscere a Powell un modo di comunicare molto esplicito e chiaro, testimonianza della FED di volersi togliere dalla poco confortevole posizione di ancorarsi dietro la curva, tuttavia è anche vero che il modus operandi della principale banca centrale al mondo, se non suggerisca le decisioni delle altre banche centrali, quanto meno ne spiega parte dei loro movimenti. E’ proprio qui che non evidenzio un chiaro divergere delle politiche monetarie e non tanto per colpa della BCE che comunque si trova in un’altra fase del suo ciclo, ma per una minore incisività della FED, che deve a questo punto sperare negli effetti inflativi della nuova riforma fiscale e nella gestione oculata della guerra di dazi.

Diverse incognite che lasciano poco spazio per errori e insieme una sorta di cautela nel determinare le scelte future. Un super dollaro potrebbe mettere in crisi le economie emergenti già segnate da uno slowdown o da problemi politici. E allora il mercato ne tira le somme e per quanto piatta la curva americana, per quanto i timori inflativi restino all’orizzonte, preferisce sovrappesare il new normal sintetizzato dalla simmetria con cui si potranno accettare dati inflativi temporaneamente sopra il target di lungo periodo. Sembra che gli operatori di mercato abbiano non solo subodorato questa particolare inclinazione, ma ne abbiano sposato appieno la visione di base.

 

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