Lo Specchietto Retrovisore. Benvenuta inflazione, o forse no?

Blog di mercati e finanza a cura di Christian Zorico (rubrica settimanale)

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E’ tutta una questione di credibilità insieme ad un gioco di pesi e contrappesi che si sono indissolubilmente legati alle dichiarazioni dei grandi della Terra. L’ultimo G7 andato in onda a Charlevoix, in Quebec, Canada, nelle giornate dell’8 e del 9 giugno è stato all’insegna del politichese più estremo, volto quantomeno a non accentuare le divergenze in materia di tariffe e dazi che hanno caratterizzato la narrativa degli ultimi mesi. Ad atteggiamenti provocatori del Presidente Trump, come ritardi nel presenziare l’agenda dei lavori, hanno fatto seguito tentativi riconcilianti da parte degli altri partecipanti. Addirittura il neo eletto Presidente del Consiglio Italiano annunciava nella sua conferenza stampa di aver ricevuto un invito ufficiale presso la Casa Bianca, sinonimo di un colloquio tra i due leader, edificante.

Eppure proprio dalle dichiarazioni durante la conferenza stampa del Primo Ministro del Canada, Justin Trudeau, è scaturito un incidente diplomatico. In realtà il politichese o quel minimo di attitudine che fa di un politico anche un gran comunicatore trova i suoi limiti nell’impeto che connota l’atteggiamento di Donald Trump. Un suo tweet, poche parole e anche quell’insignificante documento firmato da tutti al termine del summit, sembra divenire carta straccia in un istante. Già non si erano prese decisioni che potessero consacrare questo G7 come straordinario per obiettivi raggiunti e per temi discussi. Una presa di coscienza comune che il commercio internazionale probabilmente non può più essere interpretato e condiviso con le regole attuali, ma un nulla di fatto riguardo il tema principale.

E’ in atto una guerra commerciale, Trump la sta conducendo con annunci e clamorosi dietro front. Di fatto anche l’ultimo tweet in cui condanna le parole di Trudeau utilizzate nel corso della sua conferenza stampa al termine degli incontri, in cui stigmatizza con il termine “insulto” l’insieme delle tariffe imposte dall’amministrazione americana, è un chiaro messaggio di rottura. Non una semplice condanna, ma l’ennesima prova di forza impartendo indicazioni al proprio staff di non approvare  il comunicato siglato durante l’incontro.inflazione

E ritorniamo alla credibilità, non tanto a quella degli attori della scena internazionale, ma delle dichiarazioni degli stessi. E’chiaro che la partita si gioca proprio sull’autorevolezza delle manifestazioni di volontà e sull’ampiezza degli effetti che potrebbero generare. Tuttavia ci si rende subito conto che a fronte di un singolo player che minaccia l’imposizione di dazi, seguono evidentemente contro tariffe ad opera degli altri Paesi. Una escalation di protezionismo che tenta di tutelare gli interessi nazionali, ma che alla fine probabilmente si ridurrà in un aumento dell’inflazione, creando le condizioni affinché il prezzo dei beni si adeguino tutti ad un nuovo livello più alto.

Stai a vedere che dopo anni tentati dalle politiche monetarie per cercare un livello di inflazione più alto e le politiche fiscali volte a sostenere il mercato del lavoro, il contributo più elevato all’innalzamento dei prezzi derivi proprio da questa politica comune di estremo protezionismo?
Grazie, allora. Dovremo addirittura ringraziare Trump per aver innescato o rivitalizzato questa azione globale. Ma è un grazie che inevitabilmente trova nei suoi limiti strutturali, la soddisfazione generale. E’ un’inflazione che non fa bene alla gente, soprattutto a quella parte più populista che immaginava di aver trovato una soluzione ai propri problemi.

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