Nomadi digitali tra mito e realtà

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Foto di Matthias Zeitler da Pixabay.

Prendo spunto dal film di Chloe Zhao vincitore agli ultimi Oscar, Nomadland, per riflettere sul tema del nomadismo digitale. Il film racconta la storia di una 60enne sola che attraversa l’America con il suo van e vive in un modo diverso, ma attuale che nasce dalla crisi economica, lavorativa e dalla precarietà. In questo caso si parla di nomadismo, un fenomeno a cui si affianca quello del nomadismo digitale.

A differenza di quanto si possa credere non è una realtà per pochi e riservata ai Millennials che fuggono dal quotidiano per dedicarsi al divertimento. Lo spiega chiaramente Alberto Mattei, fondatore della community Nomadi Digitali, che da sempre si impegna a sfatare gli stereotipi diffusi su questo nuovo modo di vivere e lavorare.

Frances McDormand, che ha vinto l'Oscar per la miglior attrice protagonista, in una scena del film "Nomadland" di Chloé Zhao.
Frances McDormand, che ha vinto l’Oscar per la miglior attrice protagonista, in una scena del film “Nomadland” di Chloé Zhao.

Nomadismo digitale e lavoro a distanza

Anche a causa dell’emergenza sanitaria sono oggi più di 100 milioni i dipendenti in Europa che sono passati al lavoro a distanza e per ben 45 milioni si tratta di una “prima volta”. Sicuramente il 2020 è stato l’anno del lavoro da remoto, ma si tratta di una tendenza destinata a crescere nei prossimi anni. Studi e ricerche stimano che entro il 2025 oltre il 70% della forza lavoro lavorerà da remoto almeno 5 giorni al mese, senza legami con un ufficio o una sede fissa. I requisiti?

Tanta motivazione e disciplina, una buona connessione alla rete e gli strumenti giusti per dar vita ad un nuovo e inedito vista mare, immaginato dai più come una scrivania vista mare o nel bosco. Una realtà a cui si aggiunge la vita in camper, proprio come quella raccontata in Nomadland. Tuttavia, non tutto è così bello e si tratta pur sempre di lavorare!

Scopri il nuovo numero: “Holiday working”

Se l’anno scorso abbiamo scoperto il remote, lo smart e il south working, oggi si fa strada un nuovo concetto di lavoro: l’holiday working. Con un pc al seguito ed una connessione a internet è possibile lavorare ovunque, mantenendo inalterati i livelli di produttività. La rivoluzione è compiuta: non importa dove lo fai, ma cosa fai!

Il nomadismo digitale è definito da Mattei come “un movimento globale di professionisti, desiderosi di vivere nuove esperienze, di scoprire nuove destinazioni e di conoscere nuovi territori ricchi di cultura e tradizioni, ma al tempo stesso di lavorare e fare impresa in luoghi dove si può vivere meglio, dove i ritmi sono rallentati e dove c’è un rapporto più intimo con la natura.”

Si tratta di un modo di lavorare che privilegia competenze, creatività e soft skills e che è stato agevolato dalla pandemia, che ha reso quotidiani termini come lavoro da remoto e smart working. Si tratta anche di un modo di lavorare alla portata di tutti grazie a tablet e smartphone e che permette a tutti di seguire aspirazioni e sogni. Tuttavia, a differenza di quanto molti pensano, non è una bella vita caratterizzata da 100% divertimento e 0% produttività.

Falsi miti sui nomadi digitali

Il nomadismo digitale non trasforma la fatica del lavoro in divertimento, ma permette di scegliere da dove lavorare sulla base della fase della vita che si sta attraversando. Questo significa una maggiore qualità della vita per le persone e una maggiore produttività per le aziende, che possono accedere ai talenti indipendentemente dalla loro localizzazione geografica. Oggi i professionisti digitali sono quelli che più di altri lavorano senza ufficio e senza badge.

Foto di Matthias Zeitler da Pixabay.
Foto di Matthias Zeitler da Pixabay.

Molti pensano che si tratti di una scelta per giovani, eppure il nomadismo digitale non coinvolge solo gli under 30. La maggior parte sono giovani adulti che vivono in giro per il mondo e non sono necessariamente freelance, ma professionisti pronti a cogliere le nuove opportunità ovunque si trovino. Le nuove generazioni sono poco disposte a sacrificare la vita in azienda e vogliono viaggiare e conoscere Paesi e culture per mettere a frutto il loro talento. Di una cosa sono sicura: nei prossimi anni verrà meno la distinzione tra vacanza e lavoro e tra lavoro e viaggio e per la maggior parte delle persone questo è già una realtà, in particolare per chi si occupa di digitale.

Non è neanche vero che per essere nomadi digitali bisogna essere geek o possedere strumenti hi tech di alto livello. Chi sceglie di vivere e lavorare da remoto sicuramente deve saper usare le tecnologie di comunicazione e gli strumenti di collaborazione, ma ancora più importante è saper scegliere strumenti efficaci, che non compromettano lavoro e produttività.

Il lavoro da remoto, lo smart working, il nomadismo digitale sono termini e modi di lavorare con cui faremo presto tutti sempre più conoscenza. Non sono, invece, modi di lavorare che sacrificano la produttività e la nuova immagine del lavoratore moderno non è certo quella del freelance che sorseggia cocktail in piscina.

E tu, cosa ne pensi del nomadismo digitale?

Ti piacerebbe vivere come in Nomadland o sei ancora ancorato al lavoro tradizionale?

Raccontalo nei commenti!

 

 

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