Secondo l’Agenzia Italiana per la gioventù, lo youth worker (in italiano identificato con l’animatore socio-educativo) è un operatore, professionista che facilita l’apprendimento e lo sviluppo personale e sociale dei giovani affinché diventino cittadini autonomi e responsabili attraverso la partecipazione attiva ai processi decisionali e l’inclusione nelle rispettive comunità.
In Italia sono poco conosciuti, anche se svolgono un silenzioso lavoro prezioso per i giovani e le comunità, una guida discreta e attenta, fondamentale soprattutto in quei contesti di fragilità socio-economica ed educativa.
Ho conosciuto Andrea Rega grazie al progetto Galattica – Rete Giovani Puglia (di cui ho già parlato in questo articolo), lui youth worker e coordinatore dei Nodi della provincia di Taranto, io referente operativo per uno di essi; prima d’allora non conoscevo questa preziosa figura professionale che ha il punto di vista previlegiato sul mondo giovanile in quanto lo vive quotidianamente, scontrandosi con le tante problematiche ma anche con le tante risorse che questo offre.
Ho chiesto ad Andrea di raccontarci il mestiere complesso dello youth worker (che, conoscendolo, mi piace pensare sia una vera e propria vocazione) e la sua visione sul mondo giovanile, il risultato è questa intervista, che ci restituisce un quadro completo sull’impatto delle politiche giovanili dal punto di vista di chi le vive tutti i giorni.
Chi è e cosa fa uno youth worker?
Lo youth worker, in italiano animatore socio-educativo per i giovani, è una persona che promuove lo sviluppo personale, sociale e professionale dei giovani (15/18-30/35 anni, con limiti flessibili) attraverso attività di educazione non formale, come laboratori, scambi culturali, progetti di cittadinanza attiva e orientamento, apprendimento in situazione. Agisce in contesti extra-scolastici (centri giovanili, spazi digitali, associazioni) e lavora con giovani vulnerabili per contrastare discriminazioni e marginalità.
Attività chiave che pone in campo uno youth worker: facilitazione di processi partecipativi, co-progettazione di iniziative con i giovani, supporto all’autonomia (es. accesso al lavoro, formazione), mediazione con istituzioni e famiglie.
Strumenti: educazione non formale, metodi creativi (arte, teatro), media digitali, educazione peer-to-peer.
Obiettivi prefissati sono molteplici e variabili: inclusione sociale, prevenzione del disagio, sviluppo di competenze trasversali (soft skills, digitali).
Come si diventa youth worker? E come mai hai deciso di diventarlo?
In Italia, ma direi in generale, non esiste un percorso unificato. Alcuni partono da lauree in scienze dell’educazione o servizio sociale, altri acquisiscono competenze tramite certificazioni europee (es. Erasmus+ Youth Pass) o esperienze sul campo in associazioni.
La formazione in situazione associata a corsi mirati tematici e l’aggiornamento continuo credo siano il percorso più classico.
Nel mio caso ho iniziato quando ero molto giovane a supportare ragazzi più giovani della parrocchia che frequentavo, e una volta avuta l’opportunità ho iniziato a partecipare a progetti, scambi culturali e corsi di formazione internazionali che mi hanno portato in tutta Europa, iniziando come partecipante e finendo come youth worker e formatore.
Successivamente ho anche preso un Master come esperto youth worker (il primo e unico al momento in Italia). Adesso collaboro con diverse istituzioni, tra cui la Regione Puglia e l’Agenzia Italiana per la Gioventù, come youth worker e formatore, e diverse organizzazioni come ONG e ETS sul territorio nazionale e europeo).
In Italia, molte regioni riconoscono figure simili (es. “animatore o operatore socioeducativo”), ma spesso associate al settore socio-sanitario, non specificamente giovanile.
La mia motivazione nell’essere uno youth worker è soprattutto quella trainata dal desiderio di incidere sulle disuguaglianze, diffondere modelli positivi (es. progetti europei), fare e promuovere l’attivismo per i diritti giovanili, incrementare il livello e le opportunità di partecipazione giovanile. La scelta è molto legata a esperienze personali di empowerment che ho sperimentato in prima persona grazie alle opportunità raccolte soprattutto in ambito europeo.
Perché in Italia questa figura professionale è poco conosciuta e non si ritengono strategiche le politiche giovanili?
Secondo me innanzitutto perché manca una normativa di riferimento nazionale. Non esiste una legge quadro sulle politiche giovanili, né una definizione univoca di youth worker, tantomeno il riconoscimento della figura professionale. Alcune regioni (es. Piemonte, Campania, Puglia) hanno leggi specifiche, ma manca coordinamento e riconoscimento ufficiale.
Un’altra motivazione è la presenza di frammentazione istituzionale. Le competenze sono divise tra Stato, Regioni e Comuni, con finanziamenti discontinui dal Fondo nazionale per le politiche giovanili.
La presenza forte in Italia della prassi e convinzione secondo la quale le problematiche giovanili sono spesso delegate alle famiglie, non una tematica di interesse pubblico, strategico oserei dire..
Non si può non menzionare le narrazioni mediatiche fuorvianti, come quelle secondo cui i giovani sono spesso dipinti come “bamboccioni” o problematici, riducendo l’urgenza di investimenti efficaci ed efficienti.
Infine ritengo che c’è anche un tema politico: dal momento che molte azioni di youthwork coinvolgono anche persone più giovani, che non possono ancora votare, si riduce il loro potere di rappresentanza e decisionale e le persone che ricoprono incarichi dirigenziali non hanno interesse a prendere seriamente in considerazione le istanze che possono provenire dal mondo giovanile.
In Italia il tasso dei NEET è molto elevato: secondo te, da cosa dipende?
In Puglia secondo gli ultimi dati abbiamo un tasso del 20%, leggermente inferiore a quello nazionale, e si rileva in ogni caso un miglioramento rispetto ai 20 anni trascorsi, nei quali si è ridotto questo numero del 10%.
Personalmente ritengo che tra le motivazioni ci siano:
- Disallineamento formazione-lavoro: Scuole e università poco connesse al mercato, bassa diffusione di ITS e apprendistati seri e poco investimento sulle politiche giovanili che promuovono tra le altre cose imprenditoria e orientamento e sviluppo personale.
- Economia stagnante: Scarsa domanda di under 30, specie al Sud, se non si tengono in considerazione nuove forme di sfruttamento e forme di lavoro povero.
- Gender gap: La maggioranza dei NEET sono donne, spesso costrette a scegliere tra lavoro e cura familiare per carenti misure di welfare e servizi.
- Povertà educativa: La riduzione della qualità educativa degli adulti, come la competenze di lettura e comprensione insufficienti, si riflette sulle nuove generazioni.
In base alla tua esperienza, come le altre nazioni europee affrontano il problema dei NEET e cosa potremmo imparare da loro?
Mi servirebbe troppo tempo per offrire un’analisi completa su questo, ma di getto ti rispondo che ho visto che avere centri giovanili, centri sociali, centri di aggregazione di prossimità dove le persone giovani possano trovare il loro spazio di sperimentazione e crescita, informazione accompagnata da youth workers in molti posti virtuosi offrono reali opportunità di integrazione nella società nella quale si vive e soprattutto un maggiore impatto nella trasformazione della stessa.
Opportunità di supporto (economico e non solo) alle idee giovanili aiutano a favorire processi di apprendimento in situazione dal grande impatto a livello personale e anche comunitario.
Ci siamo conosciuti grazie al progetto Galattica, mi piacerebbe che raccontassi la tua esperienza di youth worker in Puglia e il percorso che ha portato alla legge regionale sulle politiche giovanili.
Riprendo un po’ l’ultima domanda: con la mia esperienza in Galattica come youth worker regionale per gli scorsi due anni ho contribuito al lancio del progetto e allo start-up dei 96 nodi della rete in tutta la Puglia. Questi nodi si prefiggono come obiettivo proprio quello che descrivevo sopra, essere spazio fisico e virtuale (attraverso il portale) dove le persone giovani possano trovare accoglienza, stimoli e supporto nello sviluppare se stessi, le proprie idee e di conseguenza le proprie opportunità.
Con tutta la squadra della sezione Politiche Giovanili e Arti (l’Agenzia Regionale per la Tecnologia e l’Innovazione), con i miei compagni e compagne Youth Worker, abbiamo lavorato alacremente per cercare di supportare al meglio questo processo, che è in divenire e sta già dando bellissimi risultati.
Abbiamo offerto supporto agli operatori locali e ai comuni che hanno aderito alla rete per aumentare i livelli di qualità della comunità di pratica pugliese e il suo livello di interconnessione attraverso la cura della messa in rete dei vari piani locali dei nodi e lo stimolo della stessa attraverso iniziative del piano regionale di intervento.
Non per ultimo, ci siamo impegnati a supportare la regione nella creazione della sua prima legge regionale sulle politiche giovanili dopo un ciclo di incontri su tutto il territorio regionale, che ha attivato un percorso partecipato per la costruzione della stessa. Uno strumento per cercare di riconoscere e tutelare quello che di meraviglioso e talvolta anche pionieristico la Regione Puglia ha fatto negli ultimi venti anni in tema di Politiche Giovanili, per promuovere la diffusione di alcune pratiche anche a livello nazionale e per tutelare e promuovere il riconoscimento della figura professionale dello youth worker.
La Puglia è un esempio virtuoso, ma secondo te quali sono le criticità più urgenti da affrontare a livello nazionale e le prossime sfide per migliorare la condizione giovanile attuale?
Tra le sfide che mi vengono in mente, importanti anche per la condizione giovanile, resta la questione del divario nord-sud nella qualità e accesso ai servizi: il sistema educativo scolastico è a mio parere obsoleto, troppa teoria, poca pratica, poche competenze digitali, imprenditoriali e finanziarie.
Affrontare e de-stigmatizzare l’emergenza salute mentale: aumento di ansia e depressione post-pandemica tra under 30.
A livello politico la quasi totale assenza dell’utilizzo dello strumento degli Youth Check (Strumento per valutare l’impatto generazionale delle politiche messe in campo dallo Stato, già usato in Austria e Germania).
Se dovessi o potessi fare delle raccomandazioni strategiche, esse riguarderebbero tra le altre cose:
- non rimandare la creazione di una legge quadro nazionale che definisca e normi la figura professionale dello youth worker e le politiche giovanili con budget dedicati, consistenti e stabili.
- Riforma dell’orientamento: integrare scuole, università, centri giovanili e aziende, potenziando progetti virtuosi.
- Un coinvolgimento diretto dei giovani che sia reale.
- Fondi europei: Sfruttare meglio il Fondo Sociale Europeo+ e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per progetti generazionali.
Andrea Rega, nato a Taranto e cittadino del mondo, 37 anni, laureato in Scienze Politiche; Cooperazione Internazionale, Sviluppo e Diritti Umani a Bologna; master in Youthwork a Napoli. Da oltre 10 anni lavora nell’ambito delle politiche giovanili, in progetti educativi locali e internazionali, scambi culturali, corsi di formazione e progetti di solidarietà e volontariato in Italia, Europa e bacino del Mediterraneo. Collabora con diverse organizzazioni e enti pubblici in Italia e in Europa, come progettista, coordinatore, formatore, youthworker e facilitatore, promuovendo il rispetto dei diritti umani, lo sviluppo personale, la partecipazione attiva di giovani e adulti e l’imprenditoria nell’ottica dell’ecologia integrale sviluppo sostenibile e solidarietà.
Dal 2022 è anche eco-Imprenditore e porta avanti questa missione anche con la sua Impresa Sociale.
Dal 2023 è membro dell’esecutivo provinciale di Taranto di Europa Verde – Verdi.