Come ho scritto da altre parti, questo 2025 è stato all’insegna della formazione. Da inizio anno ho svolto per tre enti circa 160 ore di formazione in vari ambiti: da Garanzia Giovani ai corsi GOL, dai DM65 ai DM66.
Ogni volta l’aula, a prescindere dall’età dei corsisti, mi regala fortissime emozioni e grandi insegnamenti, perché per essere un buon docente, io credo, bisogna non solo saper trasmettere, ma anche saper accogliere conoscenza.
Come esperto, ho insegnato varie cose: dalla propedeutica all’uso delle AI generative, all’etica e all’uso consapevole dei social, dal marketing al potenziamento delle competenze trasversali. E se c’è una cosa che lega assieme tutte queste discipline, penso sia la comunicazione interpersonale.
La comunicazione è importante sia nella forma, perché per farmi capire bene devo saper comunicare bene, sia nella sostanza, perché se la vogliamo padroneggiare dobbiamo comprenderne i meccanismi e il funzionamento.
Quando posso, cerco sempre di inserire qualche slide sulla comunicazione nei miei corsi, soffermandomi sui concetti base:
- I tre livelli della comunicazione interpersonale codificati dallo psicologo statunitense di origine armena Albert Mehrabian nel 1967;
- I cinque assiomi della comunicazione codificati da Paul Watzlawick e i ricercatori di Palo Alto, sempre nel 1967;
- La Prossemica, ossia lo studio delle relazioni di vicinanza e distanza nella comunicazione, introdotto dall’antropologo Edward T. Hall nel 1963 attraverso il suo libro La dimensione nascosta.
Ed ogni volta che mostro la rappresentazione grafica della comunicazione interpersonale di Albert Mehrabian, la reazione dei corsisti – a prescindere dall’età – è sempre la stessa: meraviglia, stupore, diffidenza e, qualche volta, rifiuto.
Per noi esseri umani, credere che le sole parole che diciamo – nel migliore dei casi – influiscano solo per il 10% nel processo comunicativo è molto duro da accettare.
Anche se, per essere sinceri, quel famoso grafico – un po’ come la celebre Piramide dei bisogni di Maslow – è in realtà una semplificazione (per non dire una forzatura) degli studi originali di Mehrabian, fatta da consulenti aziendali troppo zelanti ed esperti di PNL in vena di slogan.
Eppure il nostro corpo comunica ed occupa uno spazio. Come ci hanno detto altri grandi ricercatori – primo fra tutti lo zoologo ed etologo britannico Desmond Morris – se vogliamo capire se il nostro interlocutore dice la verità, è il corpo che dobbiamo osservare, più che ascoltare le sue parole.
Ho appreso l’importanza della comunicazione nel 1994, o giù di lì, quando a 21 anni cominciai a fare il venditore per un’azienda di Padova che credeva molto nella formazione dei propri dipendenti. Come ho detto altre volte, i miei ricordi più belli sono legati al lavoro da venditore e a ciò che apprendevo durante i corsi di formazione di questa azienda.
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Nella Società dell’Informazione, dove tutto ruota intorno alla creazione, diffusione e fruizione delle informazioni, e nella Società dei Meme, dove qualsiasi argomento è ridotto, semplificato, ironizzato, dire che tutto è comunicazione non pare essere un azzardo. Anzi.
La mia voglia di leggere per approfondire le materie dei corsi nasce proprio in quegli anni. I libri di comunicazione, psicologia e tecniche di vendita avevano una caratteristica molto particolare: una volta letti, potevi applicarli subito al lavoro e i “risultati” si vedevano. Anche in termini di provvigioni e fatturato.
Tanta roba, in quei sei anni e più che vanno dal 1994 al 2000: insegnamenti ed esperienze che ancora oggi – in un mondo totalmente diverso – continuano ad essere fondamentali nella mia vita professionale, sia che io faccia il giornalista, l’esperto di marketing o il formatore.
La comunicazione sarà sempre basilare per noi umani: sia che comunichiamo tra noi, con i nostri animali domestici o con le intelligenze artificiali.
E non importa che nel farlo usiamo tutti e tre i livelli di Albert Mehrabian, come facciamo tra esseri umani, o che usiamo solo le parole, come facciamo con le GenAI.
Comunicare sarà sempre la nostra caratteristica peculiare, quella che ci rende più umani, quella che ha permesso il nostro sviluppo e il nostro straordinario successo.
Quello che per mia esperienza vi posso consigliare è questo: anche se dagli anni ’60 del secolo scorso a oggi la comunicazione ha fatto passi da gigante ed è cambiata, non dimenticate le basi. Perché non solo sono ancora valide, ma anche perché con solide basi non c’è limite al palazzo della vostra professionalità che potete erigere.
Perché alla fine, che lo vogliamo o no: Tutto è Comunicazione.
E voi, qual’è il vostro primo ricordo legato alla comunicazione? Scrivetemelo nei commenti.
Buona lettura.