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Simply the best 2022 – L’editoriale di Ivan Zorico

ivan-zorico-01-min1 anno è fatto da 12 mesi, 52 settimane, 365 giorni, 8.760 ore e 518.400 minuti.

Quando affermiamo che un anno è volato, di fatto stiamo dicendo che è trascorsa una quantità immensa di tempo senza che ce ne rendessimo conto. Senza riconoscerle il giusto valore. Questa enorme porzione di tempo – che ricordiamolo, non tornerà mai più – avremmo invece potuta impiegarla consapevolmente in progetti personali, nell’attenta gestione delle nostre finanze, nella cura del nostro corpo, nello sviluppo di abitudini potenzianti, nella scelta di una corretta alimentazione, nel fare del volontariato, nel concentrarci su noi stessi, nel rispettare gli altri, nello stare con le persone care, nel costruirci nuove strade, nell’attenzione alla nostra salute mentale, nel fare emergere la parte migliore di noi, e via discorrendo.

L’aspetto interessante è che spesso, proprio quando diciamo che un anno è volato, lo facciamo perché in realtà siamo ben consci che quel tempo avremmo potuto impiegarlo per perseguire quegli obiettivi, ma ahinoi non l’abbiamo fatto perché, quel cattivone del tempo, è scappato via troppo velocemente. Mica è colpa nostra, noi avremmo voluto, ma è lui che ha messo le ali ed è andato via. Ovviamente sappiamo che non è così, ma in qualche modo ci tranquillizza crederlo. O, meglio, ci deresponsabilizza.

Scopri il nuovo numero: “Simply the best 2022”

Un anno non è mai solo un anno. E il tempo non ha le ali, non vola. Diventiamo padroni di noi stessi e riappropriamoci del nostro tempo.

Ci ritroviamo a vivere gli ultimi giorni dell’anno cercando di mettere un po’ insieme quello che abbiamo vissuto e immaginando quello che sarà. Senza avere capacità divinatorie, te lo dico subito: se non cambierai abitudini, il prossimo anno difficilmente otterrai risultati diversi da quelli che hai precedentemente raggiunto.

Follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.
(Albert Einstein)

In un anno, sicuramente avrai fatto qualcosa di buono. Qualcosa che ha fatto la differenza. Anche se quel qualcosa ad una prima vista sembra minimale, ha invece avuto un grande impatto. Ti sei impegnato, hai investito energie.

Bene, riparti da lì. Tienilo a mente. Non sottovalutarlo.

Un errore che facciamo comunemente è quello di concentrare tutta la nostra attenzione su quello che non abbiamo fatto, tralasciando quello che invece abbiamo fatto. Questo meccanismo ci porta a pensare che non siamo in grado di raggiungere dei risultati perché, appunto, ci persuadiamo di non essere all’altezza. E questo non farà altro che confermare le nostre convinzioni negative.

In questi giorni, fai una cosa: focalizzati solo su ciò che di buono hai fatto nel 2022 – sul tuo personale Simply the best –, solo su quello. Ripensa a come hai agito per raggiungere quegli obiettivi e ricorda le sensazioni che hai vissuto. Cristallizzale nella tua mente e, su quelle, cerca di immaginare cosa potrai fare di grandioso nel 2023. Fallo ora! Ti sentirai già in grado di fare di più; sentirai crescere in te fiducia ed autostima.

Un anno non è mai solo un anno. E il tempo non ha le ali, non vola. Diventiamo padroni di noi stessi e riappropriamoci del nostro tempo.

Buona lettura,

Ivan Zorico

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Facciamo chiarezza su ChatGPT: limiti, potenzialità e falsi miti. Intervista a Antonio Lieto, ricercatore informatico.

Nel marketing esistono target che più di altri hanno la capacità di diffondere le innovazioni e farle diventare conosciute al grande pubblico. Gli early adopter, così è stata definita questa categoria dal sociologo americano Everett Rogers, sono persone (e/o mass media) che per primi utilizzano, o per meglio dire, adottano una data innovazione tecnologica e che poi si fanno carico di comunicarla ai propri contatti contribuendo, di fatto, alla sua diffusione.

Proprio di qualcosa del genere si può parlare in relazione al caso ChatGPT – l’intelligenza artificiale lanciata da OpenAI a novembre 2022 – che in pochissimi giorni è arrivata a raggiungere la soglia del milione di utenti.

Una intelligenza artificiale capace di scrivere testi, rispondere a domande, dare informazioni, etc. Non certo un unicum – non è né il primo né l’unico modello linguistico in circolazione – ma uno strumento tra i più potenti e performanti sul mercato.

Da quando è stata rilasciata, si sono subito visti sui social testi generati dall’AI che, va detto, sembravano serenamente scritti da chi li pubblicava: i creator hanno infatti giocato proprio su questo equivoco per magnificarne le capacità o per evidenziarne i pericoli. Commenti e discussioni si sono spesi su questo fenomeno, e l’eco non accenna a fermarsi.

Anche noi di Smart Marketing ne abbiamo parlato: trovi una nostra riflessione sulle opportunità e rischi di ChatGPT qui.

Per fare un po’ di chiarezza su cosa sia realmente ChatGPT, quali sono le sue caratteristiche e sin dove potrà spingersi, abbiamo intervistato Antonio Lieto, ricercatore di Informatica presso il Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino e ricercatore associato dell’Istituto di calcolo e reti ad alte prestazioni (ICAR) del CNR di Palermo.

In questi giorni in tanti hanno scritto e parlato di ChatGPT, tra chi l’ha osannata gridando ad una delle più “grandi rivoluzioni” di sempre, chi l’ha snobbata affermando che tutto sommato non cambierà poi un granché, e chi ne ha avvertito i rischi soprattutto in termini di perdita di posti di lavoro, ma non solo. Può fare un po’ di chiarezza su cos’è questa AI, quali sono le sue caratteristiche principali e a cosa secondo lei è dovuto tutto questo clamore?

ChatGPT è un sistema di dialogo basato su GPT-3, uno dei più grandi “modelli linguistici” fino ad ora sviluppati. I modelli linguistici rappresentano una importante rivoluzione nell’ambito delle applicazioni di AI legate al testo, nel senso che riescono a generare o a completare dei contenuti che hanno una ampia copertura in modo coerente e plausibile. Tuttavia, questi sistemi non hanno alcuna capacità effettiva di comprensione della materia linguistica che maneggiano (le parole e i loro significati). Questi sistemi riescono a fare benissimo il compito che sono chiamati a fare (la generazione automatica di frasi) mediante una procedura simile a quella dell’ “autocompletamento” basata sull’estrazione di milioni di correlazioni statistiche estratte da terabytes di dati testuali su cui tali sistemi sono stati “addestrati”. In letteratura sono stati chiamati anche “pappagalli stocastici” proprio per evidenziare il fatto che, sebbene abbiamo raggiunto notevoli capacità nella produzione linguistica, siano in realtà dei grossi “rimacinatori di testo” che sfruttano l’enorme capacità di memorizzazione di dati su cui sono stati addestrati e che ripetono le cose che sono più comunemente associate agli input linguistici che noi gli forniamo. Uno dei problemi emersi, tuttavia, riguarda il fatto che non hanno alcuna capacità di distinguere il vero dal falso. Spesso molte delle espressioni linguistiche generate sono, dal punto di vista della costruzione sintattica e dell’inserimento nel contesto di altre frasi, ineccepibili ma completamente false. Ne ho discusso anche in questa video intervista per Rai News – TGR Piemonte.

Qualche mese fa c’è stato un fortissimo hype su un’altra Intelligenza Artificiale – LaMDA, acronimo di Language Model for Dialogue Applications -, l’AI di Google: quali sono le differenze, se ci sono, con ChatGPT?

In linea generale non c’è nessuna differenza sostanziale, nel senso che entrambi sono sistemi di dialogo basati su “language models” (i “modelli linguistici” di cui sopra).

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Un anno non è mai solo un anno. E il tempo non ha le ali, non vola. Diventiamo padroni di noi stessi e riappropriamoci del nostro tempo.

Da quando è stata lanciata da OpenAI, in molti hanno affermato che ChatGPT farà “morire” molti lavori soprattutto nel mondo della comunicazione (penso ai copywriting, al giornalismo, ai social media manager, solo per citarne alcuni): secondo lei è una previsione plausibile? E vede un utilizzo in tal senso anche in altri campi di applicazione?

Ci saranno senza dubbio posti di lavoro che saranno persi nei prossimi anni (ci sono già da alcuni anni porzioni di siti di Associated Press et similia dove gli aggiornamenti di news sportive e finanziarie, prima fatte da operatori manuali, ora sono completamente automatizzate). Tuttavia, credo che sia più probabile uno scenario in cui alcuni dei lavori menzionati cambieranno, nel senso che questi sistemi potranno essere utilizzati da operatori umani per velocizzare alcune fasi del proprio lavoro (ad es. partire da una porzione di testo già fatta e poi modificarla/estenderla etc.; è un lavoro diverso rispetto a scrivere tutto ex-novo).

Professor Lieto, nel 1982 esce il famoso film di fantascienza Blade Runner diretto da Ridley Scott, tratto da un romanzo di Philip Dick. In questo film Harrison Ford interpreta Rick Deckard, un poliziotto il cui compito è quello di riconoscere e dare la caccia agli androidi dissidenti e mal funzionanti. All’inizio del film vediamo Rick Deckard somministrare una sorta di test di Turing ad una donna per poter capire se si trattasse di un essere umano o di un androide. Nel film la donna non sa di essere una macchina e quasi riesce a prendere in giro il poliziotto. Allora mi chiedo se una delle tante Generative AI che stanno imperversando sul web, ignorasse, o venisse addestrata ad ignorare, la sua natura sintetica, potrebbe superare il test di Turing? E noi comuni mortali, che non abbiamo l’acume o l’esperienza di Rick Deckard, come potremmo sapere se stiamo parlando o interagendo con un essere umano o una macchina, visto che già adesso non riusciamo a riconoscere le opere d’arte, gli articoli o i profili generati dalle AI?

Il test di Turing non è un buon test per testare la presunta “intelligenza” di un sistema artificiale. Questo è ben noto nella comunità scientifica di Intelligenza Artificiale (io analizzo la questione nel mio libro “Cognitive Design for Artificial Minds”, Routledge, 2021). Banalmente uno dei problemi del test riguarda il fatto di essere interamente “comportamentale”: cioè guarda solo al comportamento finale (l’output) di un sistema senza analizzare quali sono i meccanismi che hanno portato a quell’output. Banalmente: un “pappagallo stocastico” del tipo di quelli descritti sopra (alla stregua di ELIZA, uno dei primi sistemi di dialogo sviluppati negli anni’60 e che “fingeva” di essere uno psicoterapeuta riuscendo ad “ingannare” alcuni interlocutori umani) potrebbe anche – in qualche sessione – ingannare il suo interlocutore umano senza avere, tuttavia, la minima idea del significato dell’intera conversazione ma ripetendo (a mo’ di “pappagallo” appunto) sequenze di parole e frasi che tipicamente sono legate ad alcuni input testuali. Insomma, il rischio di essere “allucinati” rispetto alle capacità effettive di questi sistemi è e sarà sempre più alto. La cartina tornasole è valutare quali sono gli errori che commettono. Sono errori spesso grossolani che nessun essere umano farebbe (ad esempio: dire che Giuda si è prima suicidato e poi ha cenato con Cristo durante l’ultima cena). E, per di più, sono errori che riguardano – naturalmente in misura diversa rispetto al passato – sempre gli stessi problemi fondazionali che hanno storicamente afflitto i sistemi neurali su cui questi modelli linguistici si basano (errori di ragionamento temporale, errori di ragionamento di “senso comune”, errori nel gestire la “negazione” in sequenze di frasi, etc.). Al momento uno degli elementi più evidenti che permette di intuire se stiamo “chattando” con un sistema di AI rispetto ad un essere umano (a parte il tratto distintivo della “prolissità” e alla “ripetitività” delle risposte del sistema di AI rispetto a domande dello stesso tipo e rispetto alle risposte tipicamente fornite da utenti umani) riguarda proprio la gestione di questi aspetti. Un altro aspetto importante: questi modelli sono “statici”. Nel senso che se gli si fanno domande su eventi più “recenti” e che vanno al di là della finestra temporale su cui sono addestrati (ad es. eventi relativi alla guerra in Ucraina) non sanno rispondere o rispondono fornendo informazioni non corrette.

Nell'immagine il ricercatore informatico Antonio Lieto - Smart MarketingAntonio Lieto è membro di AIxIA (Ass.Italiana per l’Intelligenza Artificiale), ricercatore di Informatica presso il Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino e ricercatore associato dell’Istituto di calcolo e reti ad alte prestazioni (ICAR) del CNR di Palermo. I suoi interessi di ricerca si focalizzano su modelli computazionali della cognizione, ragionamento di senso comune e architetture cognitive per agenti intelligenti e robot. E’ attualmente Vice Presidente dell’Associazione Italiana di Scienze Cognitive. Nel 2020 è stato nominato ACM Distinguished Speaker dall’ Association for Computing Machinery e nel 2018 è stato insignito del “Outstanding Research Award” dalla società scientifica americana BICA (Biologically Inspired Cognitive Architecture Society) per il suo contributo nell’area dei sistemi artificiali di ispirazione cognitiva. E’ autore del libro “Cognitive Design for Artificial Minds” (Routledge/Taylor & Francis, 2021).

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Engaging with Music 2022: lo studio che ci racconta che tipo di consumatori di musica siamo stati nel 2022.

Quanta musica abbiamo ascoltato in media in Italia nel 2022?
Abbiamo scelto di assistere ai Live dei nostri musicisti preferiti o ascoltare musica in Streaming?
E ancora, che tipo di musica abbiamo preferito ascoltare?

Per rispondere a queste ed altre domande rilevanti per il mercato della musica nell’anno che sta per volgere al termine abbiamo analizzato i dati messi a disposizione dall’International Federation of the Phonographic Industry (“Federazione internazionale dell’Industria Fonografica”, nota anche con l’acronimo IFPI) che ha condotto il più grande studio a livello mondiale incentrato sul consumo di musica, producendo il report “Engaging with Music 2022”, che ha esplorato i modi in cui le persone ascoltano, interagiscono e scoprono la musica nel mondo.

Questo studio è stato condotto tra giugno e settembre 2022 su un campione demograficamente rappresentativo della popolazione compresa tra i 16 e i 64 anni, in 22 Paesi (Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Nigeria, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Sud Africa e Svezia) che insieme rappresentano l’89% dei ricavi del mercato della musica registrata nel 2021.

In totale sono stati intervistati oltre 44.000 utenti suddivisi in campioni di quote rappresentative a livello nazionale, stabiliti in base alla dimensione della popolazione online e alla struttura demografica, assicurando così un livello di affidabilità del 95%.

La progettazione, la costruzione e l’analisi dei dati sono state condotte da IFPI coaudivata da AudienceNet.

Questi dati ci permettono di avere un’istantanea veritiera, imparziale ed affidabile anche del consumo di musica in Italia e ci fanno scoprire realtà che non immaginavamo esistessero accanto a trend ormai consolidati ed affermati.

Ad esempio, sapevate che il 61% del campione italiano intervistato afferma che la musica è fondamentale per la salute mentale?

In un paese in cui la musica è relegata al ruolo dell’intrattenimento, questo dato sulla coscienza del benessere che ne deriva dalla sua fruizione non ce l’aspettavamo.

Forse le privazioni e le restrizioni dovute alla pandemia degli anni precedenti hanno fatto maturare negli Italiani la consapevolezza di quanto siano importanti la musica, e le arti in generale, per la nostra salute mentale e per il nostro benessere.

D’altro canto, questo dato è perfettamente in linea con il tempo che abbiamo speso ad ascoltare musica, circa 20,5 ore a settimana (1,4 in più rispetto al 2021) con, in media, 28 brani ascoltati ogni settimana.

Nonostante qualcuno continui a definirlo un media vetusto, noi Italiani confermiamo il grande amore e l’affezione per la Radio, che detiene ancora il 20% dello share di ascolto, di pari passo con il Video Streaming, sempre al 20% di share, seguita da Audio Streaming a pagamento (15%) e free (12%), e dalla musica acquistata (12%), mentre si attestano al 4% i Live (nonostante la netta ripresa del mercato della musica dal vivo) e la musica fruita attraverso i Social Network (5%).

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Un anno non è mai solo un anno. E il tempo non ha le ali, non vola. Diventiamo padroni di noi stessi e riappropriamoci del nostro tempo.

La classifica cambia, invece, se si chiede agli intervistati quali sono i formati preferiti per interagire con la musica: in questo caso, dopo Video Streaming, Radio e Video Streaming, ai primi posti troviamo Short Form Video e Social Media, mentre il 72% degli intervistati afferma che mai come oggi esistono diversi modi per fruire la musica.

Per quanto riguarda l’Audio Streaming, nel nostro paese il 70% ascolta musica via servizi di audio streaming (free e paid), mentre il 39% utilizza servizi di audio streaming a pagamento, con un picco tra i giovani nella fascia 16 – 24 anni, in cui la percentuale sale al 52%.

In un mondo dove la musica è sempre più liquida, ci piace far notare che nel nostro paese l’acquisto di musica su supporti fisici è ancora alto e non si rinuncia all’acquisto di cd e vinili.

L’Italia è anche tra i primi paesi fruitori degli Short Form Video, in cui il 42% degli utenti utilizza App per fruirne e dove il 58% degli intervistati afferma che la musica è centrale nel tempo speso sulle App di Short Form Video.

Se da un lato il nostro appare come un paese nostalgico, in cui non si riesce a rinunciare a Radio e Vinili, dall’altro c’è una popolazione, soprattutto giovanile, proiettata nel futuro, che fruisce di musica in Live Streaming utilizzando soprattutto App di Gaming; l’Italia è infatti al sesto posto nella classifica mondiale per utenti che fruiscono musica in live streaming.

Per quanto riguarda i generi musicali ascoltati, restiamo legati alla musica italiana (con il 50% degli ascolti), seguita da Pop (48%), Rock (45%), Cantautorato (33%), Dance (25%) e Rap Italiano (24%), ma le percentuali cambiano nettamente se prendiamo in considerazione campioni specifici.

Analizzando questo studio, sembra di trovarsi davanti un panorama frammentato, dove coesistono vecchi e nuovi modi di consumare la musica e che rispecchia perfettamente quest’Italia del 2022 a due velocità, che da un lato corre troppo e dall’altro è troppo lenta.

Non bisogna meravigliarsi, quindi, se anche il modo in cui fruiamo la musica ci riporta questa frammentarietà e queste enormi differenze, perché proprio queste differenze sono lo specchio di un panorama musicale estremamente vivo e variegato, che fanno parte integrante del nostro estro e della nostra cultura e che da sempre coesistono e rendono la nostra musica unica al mondo.

Che tipo di musica ascolteremo nel 2023 e come ne fruiremo? Ancora non possiamo prevederlo, ma restiamo in ascolto per raccontarvelo sulle pagine del nostro mensile.

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