Nel saggio “La macchina dei memi. Perché i geni non bastano” Susan Blackmore espone la teoria dei “memi” molto prima che il fenomeno esplodesse sul web, spiegandoci un mondo che pensavamo sbrigativamente di conoscere

Un libro al mese, in piccole schede, in poche battute, per decidere se vale la pena comprarlo e soprattutto leggerlo. Perché la lettura, come diceva Woody Allen, è anche un esercizio di legittima difesa.

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Nello slider la copertina del libro

Quest’anno vi propongo un libro al mese, forse due, per raccontare chi siamo, da dove veniamo, dove vorremmo andare e come ci vogliamo arrivare. Perché la lettura può essere svago, intrattenimento, ma anche un valido esercizio per imparare a pensare e sviluppare una certa idea del mondo.

Un libro al mese, in piccole schede, in poche battute, per decidere se vale la pena comprarlo e soprattutto leggerlo. Perché la lettura, come diceva Woody Allen, è anche un esercizio di legittima difesa.

Nel 1976,  negli ultimi capitoli del suo celeberrimo libro “Il gene egoista”, Richard Dawkins definisce, fra i primi al mondo, il concetto di “meme”, dedicando a questo nuovo tipo di replicatore uno spazio esiguo.

Ma tant’è: visto il successo planetario del saggio, il “meme” salta al centro del dibattito scientifico fra detrattori e promotori, tracciando una via molto feconda di studi, esperimenti e pubblicazioni, non solo accademiche.

“La macchina dei memi. Perché i geni non bastano”, pubblicato nel 1999 dalla psicologa britannica Susan Blackmore, è forse il testo che ha avuto più successo, non solo tra gli specialisti, e che ha generato il più ampio dibattito scientifico.

La Blackmore tenta di costituire una vera e propria scienza della memetica, discutendo il suo potenziale empirico e analitico, così come alcuni importanti problemi che riguardano la memetica. La prima metà del libro cerca di fare maggiore chiarezza sulla definizione del meme, mentre l’ultima metà del libro, forse la più interessante e divulgativa, consiste in una serie di possibili spiegazioni memetiche per problemi diversi, come l’origine della lingua, l’origine del cervello umano, i fenomeni sessuali, l’origine delle religioni, internet e la stessa nozione di sé.

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L’autrice vede il meme come un replicatore universale, di cui il gene è un’altro esempio, piuttosto che considerare il meme uguale al gene. I replicatori universali, secondo la Blackmore, per essere tali devono avere tre caratteristiche fondamentali: replicazione ad alta fedeltà, alti livelli di fecondità (e quindi molte copie di sé stessi), e longevità.

L’esistenza dei memi è accettata da gran parte della comunità scientifica, anche se essi sono visti, principalmente, come entità subordinata ai geni. La Blackmore suggerisce che questo non è vero, e che i memi sono replicatori indipendenti e che addirittura in alcuni casi possono guidare l’evoluzione genetica, ed essere, inoltre, la causa delle dimensioni insolitamente grandi del cervello dell’Homo Sapiens.

Nell'immagine la copertina del libro La macchina dei memi. Perché i geni non bastano, di Susan Blckmore - Smart MarketingLa macchina dei memi

Perché i geni non bastano

Autore: Susan Blackmore

Editore: Instar Libri

Anno: gennaio 2001

Pagine: 480

Isbn: 9788846100436

Prezzo: € 18,60

 

 

L’autrice scrive che il cervello umano ha iniziato ad espandersi di dimensioni nello stesso periodo in cui abbiamo iniziato a fabbricare ed usare degli strumenti e suggerisce che, una volta che gli individui hanno cominciato a imitarsi l’un l’altro, la pressione selettiva ha favorito coloro che potevano fare buone scelte su cosa imitare, e coloro che sapevano imitare in modo intelligente. Il nostro grande cervello in pratica si è sviluppato per “imitare” e “diffondere” memi e in ultima istanza è l’imitazione e non il linguaggio che davvero ci distingue dagli altri animali.

Perché dovremmo leggere “La macchina dei memi. Perché i geni non bastano”?

Va chiarito che la Blackmore parla dei “memi analogici” e non di quelli “digitali” a cui siamo abituati noi e che da una decina d’anni spopolano sul web ed i social network, per cui non dovete aspettarvi un manuale che illustri i memi, soprattutto fotografici, più celebri e virali. Il saggio in questione, però, è un compendio indispensabile per comprendere la natura profonda e l’evoluzione dei memi, siano essi analogici o digitali, e quindi risulta una lettura interessante e, come mi piace dire, indispensabile per il social media manager, il copywriter, il content creator e in definitiva per chiunque si occupi di comunicazione sul web.

 

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