Musica è Memoria: Canzoni per non dimenticare la Shoah.

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Foto di Peter Tóth da Pixabay
“Son morto con altri cento
Son morto ch’ero bambino
Passato per il camino
E adesso sono nel vento
Adesso sono nel vento..”

Recita così “Auschwitz” (La canzone del bambino nel vento), una delle più celebri canzoni italiane che racconta l’orrore dei campi di sterminio, composta Francesco Guccini nel 1966.

Allora, come oggi, quei versi che si interrogano sulla ferocia degli uomini (“Io chiedo come può un uomo – Uccidere un suo fratello”) e che rivelano una velata rassegnazione sulla reale natura umana (“Ancora tuona il cannone – Ancora non è contento – Di sangue, la belva umana”), continuano a risuonare come monito contro tutte le guerre, ci esortano a non dimenticare, perché ciò che è accaduto una volta può ripetersi in futuro; del resto, quello degli Ebrei non è l’unico genocidio sistematico, né l’unico crimine contro l’umanità della storia recente.

A ricordarcelo, un bellissimo brano dei Radiodervish, “Giorni senza memoria”, pubblicato il 25 aprile del 2019, il cui testo si sofferma ad elencare una serie di genocidi e di crimini contro l’umanità spesso dimenticati.

Eppure, adesso, nel momento in cui l’attenzione mondiale è rivolta a combattere un nemico invisibile che ha già colpito milioni di vittime nel mondo, la pandemia da Covid-19, che ha toccato tutti indistintamente (modificando abitudini, stili di vita e di lavoro, imponendo distanziamento sociale e coprifuoco tanto da farci sentire in guerra, coinvolti in una guerra il cui nemico non ha un volto, una nazionalità, un ideale), oggi la Shoah ci appare ancora più lontana, come se appartenesse ad un passato ormai remoto. Invece sono trascorsi appena 76 anni da quando le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di Auschwitz, il 27 gennaio 1945.

Ecco perché, proprio ora, quando la nostra attenzione, come quella mondiale, è rivolta ad altro, la musica deve aiutarci a non dimenticare questa dolorosissima pagina di storia contemporanea, la musica deve essere testimonianza di tutte quelle atroci storie che non vorremmo mai più ascoltare, ma che abbiamo il dovere e l’obbligo morale di non dimenticare, come quella dell’“Orchestra delle ragazze di Auschwitz” (Mädchenorchester von Auschwitz).

Creata dalle SS nel 1943 nel campo di Auschwitz-Birkenau con lo scopo di dare parvenza di un clima disteso, che in realtà non esisteva, ed offrire svago alle truppe, era l’unica orchestra femminile composta da detenute del campo, mentre ne esistevano omologhe maschili in altri campi di concentramento.

Orchestre spesso create con musicisti improvvisati, costretti a suonare per tantissime ore al giorno, malnutriti e vessati dei loro aguzzini, ma che assolvevano un ruolo sociale molto importante, dare conforto a chi, come loro, era detenuto in quei campi dell’orrore, a dimostrazione di quanto la musica possa essere terapeutica anche nei momenti più tragici.

L’“Orchestra delle ragazze di Auschwitz”, oltre ad avere la particolarità di essere composta da sole donne, ebbe il privilegio di ospitare, ad esempio, Alma Maria Rosé, talentuosa violinista austriaca e nipote del grande compositore Gustav Mahler, e Fania Fénelon, nota cantante e pianista francese.

Purtroppo, nessuna musica, suonata persino in prossimità dei forni crematori come ad Auschwitz, poté salvare i deportati nei campi di sterminio da morte certa, ma sicuramente li accompagnò a morire con dolcezza, così come racconta Leonard Cohen nella sua “Dance me to the end of love”.

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Dopo un 2020 così pesante sotto tutti i punti di vista, il 2021 deve rappresentare, per tutti noi, l’alba di un nuovo inizio.

Quei forni crematori non risparmiarono neanche i religiosi, come la santa Edith Stein, ebrea convertita al cattolicesimo e deportata dal convento carmelitano di Echt, nei Paesi Bassi, ad Auschwitz-Birkenau, dove morì incenerita.

È dedicato alla sua storia “Il Carmelo di Echt”, brano dalla forte potenza mistica ed evocativa, che Juri Camisasca compone nel 1990, successivamente interpretato anche da altri artisti come Giuni Russo e Franco Battiato.

I forni crematori costituiscono anche una parte importante dell’incubo caustico dell’ermetica canzone di Francesco De Gregori “Cercando un altro Egitto” (“Lontano più lontano degli occhi del tramonto – Mi domando come mai non ci sono bambini – E l’ufficiale uncinato che mi segue da tempo – Mi indica col dito qualcosa da guardare – Le grandi gelaterie di lampone che fumano lente – I bambini, i bambini sono tutti a volare”), che anche nella sua “Numeri da scaricare” ci esorta a non essere indifferenti volgendo lo sguardo altrove, non solo di fronte all’olocausto degli Ebrei, ma anche davanti a tutte le guerre ed ingiustizie del nostro tempo (“Puoi pure non guardare – Ma non è possibile che non vedi”).

Il momento presente, in cui la pandemia ha dimostrato che in fondo non esistono differenze razziali e siamo tutti vulnerabili allo stesso modo, ed allo stesso modo stiamo soffrendo, forse dovrebbe essere il momento migliore per fare riflessioni importanti anche a livello mondiale, forse è davvero arrivato il tempo di abbattere muri, appianare differenze, promuovere la cultura di tolleranza e di pace, eliminare le disuguaglianze, per evitare che in futuro anche questi siano “Giorni senza memoria”; solo così “dopo il buio sai nascerà la luce”.

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