Growth Hacking e Inbound Marketing: il futuro delle imprese italiane è qui. Intervista ad Alessia Camera.

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Alessia Camera, Growth Manager & Head of Digital, professionista e consulente di Marketing digitale
Alessia Camera, Growth Manager & Head of Digital, professionista e consulente di Marketing digitale

L’ancora di salvezza delle aziende italiane si chiama internet e vede in due approcci, due facce della stessa medaglia, la sua massima espressione: Growth Hacking e Inbound Marketing.

Entrati ormai nei nuovi anni ’20, è imprescindibile che le imprese che vogliano continuare a fare business, abbiano una strategia chiara su tutto quello che è il posizionamento online e sul come sfruttare le opportunità che il web offre.

Lo scenario dei consumi in cui viviamo è profondamente mutato negli ultimi 20 anni e continua a farlo sempre più velocemente grazie alla tecnologia e all’innovazione che viene sviluppata ogni giorno. Restare fermi a guardare equivale a perdere quote di mercato che regaliamo direttamente ai nostri competitor senza possibilità di ritorno.

Il consumatore e il processo d’acquisto del 2020

L’esperienza è la chiave del successo di ogni impresa perché il consumatore di oggi è profondamente cambiato:

  • utenti sempre connessi, multi-schermo e multi-device
  • utenti attivi che utilizzano il Web in ogni fase del processo d’acquisto
  • utenti che vogliono essere protagonisti di un’esperienza a loro dedicata
  • utenti che rigettano comunicazioni di massa ma pretendono la personalizzazione del messaggio

La creazione di valore della marca si realizza attraverso una total customer experience ossia un’esperienza totalizzante, nutrita da diversi touch points con il consumatore da cui derivano il vantaggio competitivo e la difendibilità del valore stesso. Con la diffusione dei canali digitali, le opportunità di contatto con il cliente sono cresciute esponenzialmente.

Con il cambiamento e l’evoluzione del consumatore, abbiamo assistito all’inevitabile mutamento del percorso d’acquisto. L’emblema di questa rivoluzione è lo ZMOT, creato da Google e oggi usato da tutti i marketer per spiegare cosa è successo al consumatore.

Infatti l’esperienza d’acquisto offline, prima del Web e prima dei social, si suddivideva in 3 fasi:

  • stimolo,
  • scaffale dove avveniva la scelta fra le diverse opzioni disponibili (first moment of truth)
  • esperienza del prodotto (second moment of truth).

Con l’avvento della tecnologia e il successo di massa del Web e degli strumenti digitali, secondo Google esiste un ulteriore passaggio focale: lo Zero Moment of Truth, ZMOT.

Si tratta del momento in cui il potenziale cliente costruisce le sue convinzioni e quello in cui il suo proprio personale processo d’acquisto inizia. È la possibilità, che ogni potenziale cliente ha, di cercare informazioni di ogni tipo (schede prodotto, recensioni, forum, blog dedicati, video tutorial e molto altro) online e di farsi una propria opinione sul prodotto o servizio, ancor prima di averlo visto dal vivo o provato.

Inbound Marketing, metodologia e applicazione

Lo scopo dell’Inbound Marketing è creare esperienze di valore che abbiano un impatto positivo sulle persone e sulle aziende, che siano assolutamente utili a raggiungere i loro obiettivi. Ma come si fa Inbound Marketing?

  1. Attirando prospect e clienti sul vostro sito web e sul vostro blog attraverso contenuti pertinenti e utili.
  2. Dando valore ai loro bisogni e alle loro esigenze, instaurando conversazioni 1 a 1 grazie agli strumenti di marketing come e-mail e chat.
  3. Fidelizzandoli, continuando ad essere il loro consulente ed esperto, un punto di riferimento unico.

Una strategia di Inbound Marketing prevede un piano a medio-lungo termine che individui sia le Buyer Persona di riferimento e quindi i clienti tipo ed ideali da voler attirare, coinvolgere e fidelizzare, sia il loro Buyer’s Journey ovvero il percorso d’acquisto che si divide in tre fasi (awareness-consideration-decision) e che deve guidare l’utente verso la conversione finale. Vanno poi identificati gli obiettivi SMART (Specifici, Misurabili, Raggiungibili, Rilevanti e a Tempo) e definiti gli strumenti per raggiungerli.

Growth Hacking, definizione e sviluppo

Il termine “Growth Hacking” viene coniato nel 2010 da Sean Ellis, consulente noto per aver risollevato le sorti di Dropbox, LogMeIn, EventBrite e Qualaroo. In una recente intervista rilasciata a Ryan Holiday, Sean Ellis ha definito il Growth Hacking come un processo per trovare le modalità più efficaci per far crescere un’azienda che comprende rapide sperimentazioni per trovare opportunità di crescita in momenti specifici.
Mentre l’Inbound Marketing si occupa di creare una strategia a lungo termine, il Growth Hacking ci permette di strutturare un processo di rapide sperimentazioni per verificare quali strumenti inseriti nella strategia possano davvero essere performanti e scalabili. Per questo motivo devono essere considerati come complementari perché insieme riescono davvero a incrementare la crescita e a farlo sul lungo periodo.

Alessia Camera, Growth Manager & Head of Digital, professionista e consulente di Marketing digitale
Alessia Camera, Growth Manager & Head of Digital, professionista e consulente di Marketing digitale

Per capire ancora meglio lo scenario attuale e futuro e come le aziende debbano evolvere per continuare a sviluppare business, abbiamo intervistato Alessia Camera, Growth Manager & Head of Digital, professionista e consulente di Marketing digitale, che ha collaborato con 15+ startup, progetti tech, PMI e multinazionali a Londra e in Italia.

D. Buongiorno Alessia, sei approdata a Londra nel 2012 quando si era da poco iniziato a parlare di Growth Hacking, come hai vissuto l’inizio di questo pensiero rivoluzionario?

R. Sono arrivata a Londra alla fine del 2012 quando la capitale inglese era molto diversa da oggi. Stavano arrivando gli entusiasti delle startup un po’ da tutta Europa, si ritrovavano i founder che avevano sviluppato app e idee a Helsinki legati all’ecosistema Nokia e Tallinn, per esempio i founder di Skype che poi hanno dato vita a Transferwise proprio allora e gli americani, che dopo gli anni d’oro delle dot.com decidevano di mettere un primo piede in Europa o di tornarci, e ovviamente sceglievano Londra.
C’era moltissima energia e anche se nessuno sapeva davvero cosa significasse lavorare in una startup oppure che sviluppare strategie di marketing per startup si chiamasse Growth Hacking, era quello che ognuno di noi faceva nel proprio lavoro quotidiano.
Ero partita dall’Italia con un contratto come social media manager per una startup che poi si è trasformato in digital marketing manager per un e-commerce di arredamento in chiave sostenibile, non vedendo l’ora di toccare con mano cosa significasse fare marketing quando il prodotto fisico era una conseguenza di un’esperienza digitale.
Mi ricordo che ci trovavamo in quei 3 coworking a Londra (ora ce ne sono più di 50) e già nei primi mesi avevo scoperto che marketing non era solamente svolgere un insieme di attività con l’obiettivo di “farsi conoscere” come avevo studiato e visto in Italia. L’approccio delle startup era totalmente pratico, “scrappy” come si dice in gergo: qualsiasi attività doveva essere tracciata in modo da analizzare i dati e capire quali fossero le conseguenze in termini di business. Nessuno aveva grandi budget e nel 2012 i social media avevano ancora un po’ di potenzialità in termini di contenuto organico: ogni giorno testavamo nuove idee per capire quale fosse quella che poteva farci raggiungere le metriche e gli obiettivi che ci eravamo prefissati e non contava se per fare ciò dovevamo stare in ufficio fino alle 9 di sera, eravamo tutti motivati al risultato. In quel primo anno ho imparato le basi operative di quello che è ancora il mio modo di operare e il mio approccio: una palestra di vita personale e professionale incredibile, che non dimenticherò mai.

D. Se dovessi spiegare a un neofita del marketing e del mondo digitale cosa vuol dire fare Growth Hacking e quali sono i suoi vantaggi?

R. Il Growth Hacking è una metodologia, un approccio di marketing che si basa sul definire degli obiettivi e sperimentare delle attività in diversi canali digitali utilizzando un approccio numerico per definire se quegli obiettivi sono stati raggiunti. Mette da parte quello che è “il branding” per ragionare in ottica performance utilizzando un metodo sperimentale che ci spinge a pensare che solo i dati ci facciano capire quale è la via corretta.
Come dicevo a un evento recentemente, il fatto di “avere esperienza” è spesso una trappola perché chi ha esperienza è “biased”, pensa infatti che una campagna su un canale non funzioni perché in passato non ha funzionato. Il Growth Hacking mette in discussione tutto ciò e ci costringe a pensare di avere ragione solo se abbiamo i dati dalla nostra parte. Si parte da un’ipotesi che viene continuamente ottimizzata in ottica di esperienza digitale e di marketing con un mercato di riferimento molto specifico.
Oggi il digitale ci fornisce un’opportunità pazzesca, possiamo misurare quasi tutto, dalle performance ai processi aziendali, alla nostra attività e a quella dei nostri clienti online. Perché non sfruttarla, quindi e mettere da parte le nostre convinzioni, cercando di sviluppare un approccio basato su ipotesi che vengono continuamente validate e ottimizzate?

D. Come hai sfruttato il Growth Hacking nella tua esperienza in startup e nel progetto di lancio europeo che hai seguito per Playstation PS4?

R. Dalla mia esperienza di 5 anni di lavoro come dipendente e consulente per startup posso dire che l’approccio non è molto diverso dalle PMI italiane: budget ristretti, necessità di avere un riscontro sulle metriche di business e poche risorse. Nelle startup il livello di difficoltà è maggiore poiché non ci sono dati storici e c’è necessità di andare molto veloci (la media europea di vita di una startup è 1-3 anni) ma al di là di questo le esigenze sono molto simili, ecco perché credo che la metodologia di Growth Hacking possa essere utile anche se applicata dalle PMI italiane.

Nelle corporate invece la situazione è diversa e dipende molto dai progetti e dal team: abbiamo utilizzato un approccio di Growth Hacking per il lancio di PS4 perché avevamo obiettivi ambiziosi, potevamo testare i pre-ordini e poco tempo. Tuttavia i budget a 6 cifre che erano stati predisposti non erano un grande incentivo all’ottimizzazione, ecco perché sei molto più tranquillo nell’adottare un processo di Growth Hacking per lanciare un brand conosciuto da tutti: non c’è praticamente nessun rischio. Vai veloce, ottimizzi le attività se il tuo team è molto appassionato al proprio lavoro, com’è successo per il lancio di PS4, ma in realtà le grandi aziende hanno così tanto budget da spendere, che spesso lo spendono in attività poco profittevoli, senza che ciò rappresenti davvero nel breve termine. Bisogna prevedere il cambiamento e accorciare le distanze con i propri utenti, capendo quali sono le attività che portano valore a loro incentivando la relazione tra esperienza digitale e utenti, si impara a lavorare in un’ottica di lungo termine che non dipende solo dai budget che si spendono in pubblicità. Ed è proprio questa la potenza di un approccio di Growth Hacking!

D. Torni spesso in Italia per la promozione dei tuoi libri dedicati all’argomento, che scenario pensi ci sia oggi nel nostro Paese e come si stanno muovendo marketer e aziende?

R. Negli ultimi 7 anni ho visto che l’Italia sta crescendo e si sta creando sempre più consapevolezza verso i temi di startup e marketing digitale. Certo, non in modo estremamente veloce, ma sta arrivando quella famosa trasformazione digitale di cui tanto abbiamo sentito parlare in questi anni. Professionisti e aziende stanno capendo che non c’è più spazio per le definizioni ed è ora di agire, di tirarsi su le maniche e iniziare a capire dove e come applicare i concetti di Growth Hacking, di marketing e di innovazione che faranno davvero bene al Paese nei prossimi anni e che permetteranno all’Italia di tornare a essere considerata un asset nel panorama internazionale. È vero, sono un’inguaribile ottimista, ma io credo davvero che in Italia ci siano le competenze e l’approccio giusto perché ciò arrivi, siamo persone abituate “a fare” con una grande creatività e capacità di risolvere problemi (cosa che per esempio in UK non sono molto bravi a fare).

I libri pubblicati da Alessia Camera editi da Hoepli: Startup marketing e Viral Marketing, quest'ultimo assieme a Michele Pagani
I libri pubblicati da Alessia Camera editi da Hoepli: Startup marketing e Viral Marketing, quest’ultimo assieme a Michele Pagani

Siamo tuttavia anche conservatori, poco bravi a cogliere la visione d’insieme delle cose e un pochino individualisti, ci aspetta una nuova trasformazione culturale spinta da una nuova ondata tecnologica: useremo la realtà aumentata, il 5G, l’Internet delle cose non solo nel nostro tempo libero ma sempre più in azienda. Ed ecco che sarà proprio nella capacità di applicare queste novità che potremo usare il Growth Hacking per capire come sperimentare e innovare non solamente in fabbrica, ma nel marketing e nella capacità di essere attrattivi per clienti e mercati internazionali. Le opportunità ci sono, dovremo “solo” essere capaci a coglierle, ed è forse nel rischiare che le nostre aziende non sono bravissime a fare, ma sono sicura che guidate e consigliate dalle persone giuste, ce la faremo.

D. Qual è il consiglio che ti senti di dare ad una startup italiana che oggi vuole entrare nel mercato ed avere successo?

R. Darei tre consigli che sono molto legati tra di loro: non innamoratevi dell’idea, ma testatela con il vostro mercato di riferimento, che non è esclusivamente quello italiano ma è anche quello estero, usando i dati per capire quale strada sia quella corretta da percorrere. Spesso chi si occupa di startup si focalizza sull’idea, con la paura che qualcuno gliela possa copiare. Nonostante siano anni che lo dico, mi trovo ancora a dover firmare degli accordi di non divulgazione (NDA) prima di fare un meeting per discutere dell’idea di un app o di una piattaforma di e-commerce. Colgo l’occasione per ribadire che nessuno vi ruba davvero l’idea, perché l’idea vale solo l’1% di un progetto imprenditoriale. Quello che davvero conta è come sviluppare quell’idea e soprattutto come ottimizzare quel prodotto digitale nel tempo, secondo i dati raccolti, le metriche di business e il mercato di riferimento, che deve crescere velocemente. Ne approfitto anche per dire che è bello parlare di blockchain o di intelligenza artificiale, ci fa sembrare più interessanti al pubblico, ma non ci garantisce scorciatoie a lungo termine. La tecnologia è solo un abilitatore di un progetto, e spesso, nella fase iniziale è importante davvero testare la nostra idea con gli strumenti che abbiamo a disposizione, e pensare che se ciò funziona, allora possiamo integrare la tecnologia per crescere in modo esponenziale. Il focus deve sempre rimanere sulla relazione tra prodotto digitale e utenti, se ciò non avviene fin dalle prime fasi, beh, ottimizzate affinché questa relazione diventi un’abitudine o lasciate perdere, perché la situazione non potrà che peggiorare.

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