Da “Tutti gli uomini del Presidente” a “Sbatti il mostro in prima pagina”, da “Quarto Potere” a “Vogliamo i colonnelli”: quando il giornalismo fa politica.

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Tutti gli uomini del presidente-1976Tra Usa e Italia una serie di film costruiti come delle vere e proprie inchieste giornalistiche, hanno portato alla luce momenti di storia spesso nascosti. Il cosiddetto “giornalismo d’inchiesta” non ha fatto altro che rialzare polveroni ormai sopiti, o riportare alla luce scandali meritevoli di una loro versione cinematografica. Il giornalismo che descrive la politica attraverso il cinema dunque; non la politica che entra nella pellicola, con le classiche ingerenze di cui è piena la storia del cinema. Il cosiddetto giornalismo d’inchiesta ha offerto quindi a registi e sceneggiatori un ventaglio di potenzialità tutt’altro che indifferente. Il film più importante e celebrato, per capire la valenza e il significato di questo genere cinematografico piuttosto particolare è “Tutti gli uomini del presidente”(1976), capolavoro di Alan J.Pakula. Indiscussa pietra miliare quando si parla di cinema d’inchiesta, il film è interpretato da una coppia di protagonisti d’eccezione, Dustin Hoffman e Robert Redford, nei rispettivi ruoli dei cronisti del Washington Post Carl Bernstein e Bob Woodward. Basato sull’omonimo non-fiction book di Bernstein e Woodward, Tutti gli uomini del presidente è un’esemplare ricostruzione dell’inchiesta, iniziata nell’estate del 1972, che due anni più tardi avrebbe portato alle dimissioni del Presidente Richard Nixon, coinvolto in prima persona nello scandalo Watergate. Film magistrale per la capacità di fondere il senso dello spettacolo con il rigore della messa in scena e la denuncia contro i soprusi della politica, Tutti gli uomini del presidente è un classico intramontabile ricompensato con quattro premi Oscar: miglior attore supporter per Jason Robards, miglior sceneggiatura, miglior scenografia e miglior sonoro.Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto-1970

Con “Tutti gli uomini del Presidente” siamo negli anni ’70, proprio nel periodo in cui l’Italia è scossa dalle stragi brigatiste e dai tumulti sociali e politici. In questo clima culturale, nettamente diverso da quello del decennio precedente, si sviluppa il cosiddetto “cinema sociale e politico”, che ha in Elio Petri il suo autore più importante e in Gian Maria Volontè, la maschera italica della corruzione e dell’abuso di potere tipico di gran parte della classe politica italiana. Con “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”(1970), l’accoppiata raggiunge i massimi livelli e l’Oscar come miglior film straniero. Uno splendido thriller psicoanalitico sulla cristallizzazione e le aberrazioni del potere che analizza in chiave grottesca i metodi e i fini degli apparati polizieschi. Il film attribuisce poi, ai rappresentanti del potere un’eccessiva coscienza (ancorchè negativa) del proprio ruolo e della propria funzione. Resta molto convincente, anche per merito della perfetta interpretazione di Gian Maria Volonté, la descrizione di “un piccolo personaggio della piccola borghesia meridionale che non ha la possibilità di accesso a un potere diverso da quello burocratico e che sfoga nell’autorità le sue repressioni sessuali e di classe”.

sbatti il mostro in prima pagina-1972E poi l’anno successivo c’è il film “Sbatti il mostro in prima pagina”, ancora interpretato da Gian Maria Volontè e diretto da Marco Bellocchio, è forse il film da cui ha preso spunto Alan J.Pakula, per la sua precisa descrizione del caso Watergate, che sconvolse l’America nel 1972. Un’aberrante campagna giornalistica diffamatoria nei confronti di un extraparlamentare di sinistra, condotta da un redattore capo, sullo sfondo di un’Italia cupa, grigia, che ha smarrito la spensieratezza del boom economico e si prepara alla strategia della tensione, con la rivoluzione sessantottina ormai andata verso il definitivo fallimento. Il potere della diffamazione a mezzo stampa, il potere della politica che si serve dei mass-media, nel bene e nel male.

Ma giunti a questo punto, val la pena citare il film capostipite di tale genere, quel “Quarto Potere”(1942), di Orson Welles, ripetutamente eletto dai critici come “il film più bello di tutti i tempi”. Opera capitale nella storia del cinema è il ritratto di un magnate della stampa (sempre Orson Welles) e di un mistero che si porterà nella tomba, e sul quale indagherà un volenteroso giornalista. Sullo sfondo della vicenda, l’America che avanza e che si candida ad essere il motore trainante dell’intero Globo terrestre. Quello di “Quarto Potere” è il ritratto faustiano di un americano al “cento per cento”, ed un opera capitale nella storia del cinema. Il modello assoluto per capire il giornalismo d’inchiesta e ancora di più per capire come si crea un film d’inchiesta politica o sociale.Quarto potere-1942

Ritornando in Italia, c’è un film del 1973, ingiustamente dimenticato, vuoi per la valenza culturale che esso riveste, vuoi per il merito di descriverci, con grande precisione storico-sociologica un pezzo nascosto di storia patria. Il 5 marzo 1973 arriva sugli schermi “Vogliamo i colonnelli”, un soggetto che Mario Monicelli, insieme ad Age e Scarpelli, ha concepito qualche anno prima ispirandosi alle voci che giravano per l’Italia su un imminente colpo di stato. Sfruttando la tematica del gruppo di imbecilli che si mettono insieme per combinare un’impresa più grossa di loro, Monicelli e i due sceneggiatori seguono le vicende di un manipolo di militari e fascisti irriducibili che portano avanti un tentativo di golpe naufragato nel ridicolo, capitanati da un vanaglorioso onorevole di destra (Ugo Tognazzi). La pellicola è scatenata, con un tono grottesco, acido e cattivissimo di perfida efficacia, e con una spassosa galleria di fascisti cialtroni e di militari rimbambiti. Alle spalle, precisi riferimenti al tentato golpe del generale De Lorenzo (scoperto e denunciato dall’Espresso nel 1969, cinque anni dopo i fatti) e a quello ancora più farsesco di Junio Valerio Borghese del dicembre del 1970. La pellicola procede esattamente come il golpe del 1970, e sui quali Monicelli e sceneggiatori si erano documentati corposamente: i campi di addestramento paramilitari preparatori al fallito golpe Borghese, la mancata occupazione della Rai, il progettato arresto del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Un film di violenta satira politica, un film che mette a nudo e rende pubblico un pezzo di storia segreta della repubblica italiana e dei rischi che la sua democrazia ha corso, e forse è proprio per quanto denuncia, che il film viene ritirato quasi subito dal mercato: sabotato, ritirato nelle sale dopo pochi giorni di proiezioni, ci si adopera nei piani alti perché la pellicola sparisca il prima possibile dalla circolazione. E “Vogliamo i colonnelli” diviene così una delle pellicole che ha incassato meno nella storia del cinema italiano. Un film scomodo, troppo scomodo per ciò che denunciava, ma preziosissimo: un documento storico, realisticamente ineccepibile, retto dalla memorabile interpretazione di Ugo Tognazzi.

Vogliamo i colonnelli-Ugo Tognazzi, 1973 E oggi? E oggi c’è “Il caso Spotlight”(2015), di Tom McCarthy. La storia di come il Boston Globe rivelò – con un’inchiesta alla vecchia maniera, forse l’ultima del suo genere già nell’epoca digitale – lo scandalo dei preti pedofili a Boston. Ma anche la storia di come lo stesso giornale l’aveva trascurata. Di sei nomination, ha vinto due Oscar, tra cui il più importante per il miglior film. Bisogna dire la verità, non c’è nulla di originale, all’interno del fatto che sia effettivamente un grande film, i modelli di riferimento sono quelli citati qui sopra e alla loro grandezza, che si vinca l’Oscar o meno, è difficile se non impossibile arrivarci.

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