Summertime, and the livin’ is easy
Fish are jumpin’ and the cotton is high
Oh, your daddy’s rich and your ma is good-lookin’
So hush, little baby, don’t you cry
The famous aria composed in 1934 by George Gershwin well describes a status quo where there is no reason to cry, there is no reason to complain. Maybe in autumn we could wake up in a different environment and Central Banks are going to radically change their attitude.
But for the time being the market is enjoying the weakness of loudly announcements. Indeed, the FX players are reacting in a more sanguine way with respect to the bonds and equity guys so far. In fact, at Sintra symposium, ECB President Mario Draghi’s statement was interpreted as hawkish with regard to the inflation outlook; only the press conference of the Governing Council of July clarified and calmed down the market. Equity continued to benefit from the extreme level of liquidity and the government yields are coming back to the lowest levels. But the Euro Dollar is telling us a different story, surging well above 1.18; it is not the baby that is crying yet, but it is a signal that in Autumn maybe the narrative from the ECB can be different. Some investors remained astonished from last appreciation of the Euro against its peers, but specifically against the greenback it seems a story much more related to the weakness of the Trump trade rather than a divergence of the two monetary policies.
In fact, Super Mario again tried to convince the market that there is a lot of uncertainty and that ECB must be data dependent until the Autumn comes. To sum up, the July ECB meeting was a perfect combination of confidence and a mix of prudence and patience.
On the other hand, in US, the final message seems to be the same. The Federal Reserve declared that it would start reducing its bond holdings “relatively soon” by closely monitoring the economic growth. There is a supportive stance from central banks with the aim of fighting the bubbles they have created. Anyway, we need to wait for the real announcements and look exactly into the details of their plan to shrink their balance sheet. Even if we should expect a steepening of the yield curve, especially in US, perhaps the final effect could arrive in a smoother tone. For instance, the FED can decide to substitute the long-term paper by buying consumer and commercial loans, deciding to help another segment of the economy that appears overheated.
In the end, last movement of the EUR/USD can be described as correction to price a fair value between the two currencies that was not considering the fundamentals for a long time. On top of it, political risk in Europe is dissipating and a stronger Euro is reflecting the positive expectations about the European economy.
Hence, let us enjoy this summertime.
One of these mornings you’re gonna rise up singing
And you’ll spread your wings and you’ll take to the sky
But till that morning, there ain’t nothin’ can harm you
With daddy and mammy standin’ by
Un cocktail o una fritturina di gamberi d’asporto, o meglio sarebbe dire da passeggio, fa bella mostra di sé sull’ultima copertina del nostro magazine. L’immagine, però, è strana, ricorda un mosaico, ma non solo questo: se guardiamo più attentamente, ci rendiamo conto di alcuni elementi non immediatamente percepibili. Innanzitutto scopriamo che si tratta di un foto collage realizzato con molte altre foto, inoltre, benché i gamberi sembrino freschi, appena pescati e cucinati, c’è qualcosa che non torna, la confezione che li avvolge non è il cartoccio di carta pane cui ci hanno abituato i vari venditori di street food, ma sembra un sacchetto di patatine di quelli industriali, anzi, se guardiamo con attenzione, sembra il sacchetto delle patatine “Più gusto” della San Carlo.
Copertina Smart Marketing Anno IV n.39 – Luglio 2017_A4
La domanda che ci sorge allora è: perché mai l’artista ha composto questo frankenstein gastronomico, legando, o meglio sarebbe dire cucendo, insieme questi due elementi all’apparenza così lontani e diversi?
Cosa mai potranno avere in comune un sacchetto di patatine commerciali con un cocktail o una fritturina di gamberi così alla moda oggi, nell’epoca degli chef star e dei talent gastronomici, che invadono e saturano i nostri palinsesti televisivi?
All’apparenza nulla, ma noi abbiamo imparato che la lente dell’arte vede più in profondità dei nostri occhi e che l’estro e la creatività degli artisti, come le profezie degli oracoli, pre-vedono e vedono più lontano.
L’artista, grazie al titolo dell’opera, ci chiarisce almeno una parte dei suoi intenti: “Fish prêt-à-porter”, non “fish takeaway” o più banalmente “d’asporto”, quindi non qualcosa che trasporto, porto via, mangio per strada, ma cibo che alla lettera è “pronto da portare”, “pronto da indossare”, in un certo senso da esibire.
L’artista di questo numero di Smart Marketing, Katia Sardano.
È qui, secondo chi scrive, che l’artista, al secolo Katia Sardano, classe 1995, pone la sua riflessione più lucida e la sua critica più acuta a tutto il sistema del cibo, non soltanto da strada: l’artista sembra volerci mettere in guardia dalle trappole ed insidie che una moda dilagante nasconde nelle sue pieghe più sottili.
Oggi la riscoperta del cibo naturale, fors’anche biologico, magari cucinato per strada, in maniera semplice, non deve ingannarci: il confezionamento industriale del cibo ha rappresentato, lo si voglia o no, uno dei traguardi più importanti dell’umanità. Pensiamo alle banalissime uova, certo comprarle dal contadino fresche di giornata e berle crude può avere il suo fascino, ma i pericoli, anche seri, per la nostra salute sono innumerevoli rispetto alle uova comprate al supermercato, che magari sono di galline allevate a terra, ma che presentano un codice alfanumerico che permette una sicura tracciabilità oltre ad aver subito il trattamento della pastorizzazione che ha eliminato il batterio della salmonella, fra i più insidiosi per la nostra salute.
Ma allora, cosa dobbiamo concludere? Forse che il cibo di strada, biologico o naturale, è più pericoloso di quello industriale, confezionato e prodotto in serie? Non credo che sia questo l’intento della nostra artista, credo piuttosto che l’opera “Fish prêt-à-porter” sia un consiglio, un suggerimento, uno sprone a tutti noi ad andare più in profondità, a riflettere di più ed ad esercitare il nostro dubbio e senso critico; credo che l’opera della Sardano sia un esercizio di scetticismo, una palestra per reimparare a pensare. Ed è molto significativo che questa lezione di ginnastica mentale ci sia proposta da una artista di appena 22 anni che dimostra, ancora una volta, che nelle cose importanti della vita, come nell’arte, il mero dato biografico sia molte volte sopravalutato.
“Mazzo di fiori”, 2017, collage fotografico
Insomma, questa giovane paladina dell’arte contemporanea ci sta mettendo in guardia dal diventare tutti “fashion food victim”, perché mai come ora, nella nostra epoca complessa e caotica, siamo ciò che mangiamo.
Katia Sardano, di Andria. Si diploma nel 2014 al Liceo Artistico di Corato Federico II Stupor Mundi nell’indirizzo di oreficeria. Diverse le partecipazioni a stage ed esperienze lavorative. Nel 2014 comincia a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Bari, corso di studi in pittura. La sua arte matura attraverso vari stili pittorici per affermarsi, infine, nel concettuale. I suoi temi sono esistenziali e puntano a dar voce alla complessità del mondo contemporaneo. Sperimenta materiali e tecniche ricercando sempre una sorta di diafanità delle immagini. In ultimo si appassiona ai collage fotografici che le permettono di allargare ed approfondire la percezione visiva dei suoi elaborati, che acquisiscono nuovi sensi e significati.
” Scale dell’illusione” 2017, collage fotografico
Ultime mostre
2016
Mostra “Nikolart”, Sala Murat di Bari, a cura dell’Accademia di belle Arti di Bari.
Mostra per il concorso “Emilio Notte”, Ceglie di Messapica.
Mostra organizzata dal team Myhomegallery per il concorso ArtVerona
2016, Verona.
2017
Mostra “La pittura ovunque”, Accademia di Belle Arti di Mola di Bari.
Mostra “Nikolart”, Accademia di Belle Arti di Mola di Bari.
Mostra per il concorso “Emilio Notte”, Ceglie Messapica.
Premi
2015
Vincitrice del concorso “Vivere d’Arte” a cura di A. Del Guercio,
esposizione a Brera nella Chiesa di S. Carpoforo.
Per informazioni e per contattare l’artista Katia Sardano:
Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla selezione della seconda edizione di questa interessante iniziativa scrivendo alla nostra redazione: redazione@smarknews.it
Editoriale Luglio 2017 – Ivan Zorico
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È difficile trovare qualcuno che non conosca o che non abbia mai provato la street food o, per gli amanti dell’italianità, il cibo di strada.
Secondo quanto emerge da un recente studio condotto da Coldiretti/Ixe proprio sulla street food, oltre un italiano su due dichiara di aver consumato cibo di strada. Numeri che confermano una tendenza già registrata lo scorso anno, sempre da Coldiretti: nel 2016 c’è stato un incremento del 13% rispetto al 2015 nel consumo di cibo di strada, con oltre duemila attività commerciali impegnate in questo settore.
Dal più classico e nostalgico baracchino ai più moderni ed evoluti food truck, la scelta è davvero vasta.
Unico comun denominatore evidenziato dai consumatori è la preferenza verso i prodotti locali e della tradizione.
Ma il fenomeno della street food è in qualche modo figlio di un più generale interesse rivolto al cibo. Negli ultimi anni, anche grazie ai numerosi programmi di cucina, siamo diventati tutti degli abili conoscitori della materia e utilizziamo termini come “cucina molecolare” un po’ come dieci anni fa avremmo parlato di “pane e salame”. Personalmente, a dire il vero, in questo tempo non mi sono poi così tanto evoluto preferendo indubbiamente il classico pane e salame con magari un po’ di rucola bella fresca; ma questa è un’altra storia.
* No, questa frase non è del sempre illuminato Seth Godin e neanche di Mark Twain che pare si sia espresso su tutto. È mia, e se avete intenzione di usarla, dovrete citarmi :).
Social Food: quando condividere il cibo diventa uno stile di vita, un mestiere, un’opportunità.
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Un’istantanea per stimolare i sensi
Cucinare, preparare il cibo, assaporarlo è da sempre un’esperienza innata che fa parte di noi, consumare del cibo insieme è uno dei momenti del vivere comune, la convivialità e l’ospitalità diventano un simbolo ma ancor di più un gesto espresso con naturalezza da ciascuno di noi che spontaneamente, intorno ad una tavola condivide con l’altro il pasto disponibile.
Da sempre banchetti e feste sono stati momenti di incontro accomunati dal bere e dal mangiare, raccontati nella storia quali intramontabili attimi che ancora oggi, anche se modificati ed evoluti, restano fondamentali.
Una volta la tavola era considerata sacra, la famiglia vi si riuniva per consumare il pasto caldo e discorrere della giornata, si preparavano grande cene per festeggiare avvenimenti importanti, si condividevano momenti ed esperienze assaporando del buon cibo.
Famiglia a tavola
Oggi è il cibo a diventare esperienza di convivialità, è il cibo a diventare protagonista della tavola non solo nei discorsi per l’occhio critico di chi assapora pietanze stellate, ma anche per chi ne fotografa l’impiattamento o ne immortala la bellezza.
Con la complicità dei social, quali Instagram, Flickr, Pinterest e dei numerosi programmi di cucina, i food blogger impazzano sul web, ma chiunque condivide pietanze altrui che stimolano vista e gusto.
Fotografare il cibo al ristorante è ormai una prassi, uno scatto di “un’opera d’arte” che chiunque può condividere. Ma è un po’ come rubare un quadro famoso solo che lo scatto rubato diventa virale e spesso non ha la firma del vero autore.
Un tempo erano le ricette a farla da padrone sulle riviste oggi, invece, quello che conta è l’immagine, che sia un piatto cucinato con maestria, una semplice insalata, o un abbinamento strano, l’importante è immortalarne i sensi e condividerlo per collezionare like e piacevoli commenti.
Social food
Se da un lato il Social Food sta contribuendo a rendere tutti più “conoscitori di specialità” indottrinando le masse, anche con il supporto dei diversi format di cucina disponibili, dall’altro si crea il paradosso della condivisione.
Condividere sui Social porta, spesso, a non condividere nella vita reale. Si è pronti a scattare un’istantanea da pubblicare ma viene sempre meno il concetto di tavola e cibo nel significato che fino ad oggi gli abbiamo sempre attribuito.
Spesso, infatti, manca la vera condivisione quella di chi è davvero a tavola con noi, e non nella vita virtuale sul web.
Basta guardarsi intorno al ristorante per vedere come di un’intera famiglia, capita spesso, che gli sguardi siano focalizzati sullo smartphone dopo un’istantanea del proprio piatto.
Social food, il paradosso della condivisione
Condividere attraverso il web, però, offre anche grandi opportunità come permettere azioni benefiche. Ne e’ un esempio I Food Share, “una piattaforma on line di condivisione del cibo che permette di coniugare la richiesta di prodotti agroalimentari per scopi umanitari con il recupero e la messa a disposizione del cibo a partire dal comune cittadino fino alla grande e piccola distribuzione e alle aziende agricole che vorranno offrire il loro surplus a scopi solidali.”
Il Social Food è a tutti gli effetti “cibo sociale” sia che l’uso ne venga fatto per condividere cibo con chi non ne ha, sia per condividere del cibo in maniera virtuale, oppure intorno ad una tavola imbandita, nella maniera più tradizionale quale intramontabile convivialità.
I dieci film italiani di sempre sul cibo
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L’Italia è il paese per eccellenza della buona tavola, del buon cibo. Questa nostra prerogativa, che ci contraddistingue in positivo dal resto del mondo è stata immortalata al cinema, a teatro e nella pubblicità, da divi e star del grande schermo. Il fatto poi, che, negli anni ’60, gli americani abbiano ribattezzato proprio “spaghetti western” i film italiani che, da Sergio Leone in poi, rileggevano con sguardo europeo il mito del Bel Paese, la dice lunga su come, nell’immaginario collettivo planetario, il cibo sia considerato uno tra i simboli più immediatamente riconoscibili dell’italianità. E, lungo la sua storia, proprio il cinema italiano ha fatto ricorso in innumerevoli occasioni al “made in Italy” culinario, per arricchire e tratteggiare in maniera rapida ed efficace personaggi e situazioni. Proviamo ora a selezionare dieci film italiani sul cibo, o comunque che hanno almeno una scena memorabile basata sul piacere italiano della buona cucina.
1. Miseria e nobiltà (1954), di Mario Mattoli
La prima immagine che torna alla mente quando si parla di cibo, è quella di Totò in piedi sul tavolo, impegnato in una danza quasi da baccanale in “Miseria e nobiltà” (1954), pronto a soddisfare una fame atavica arraffando spaghetti a più non posso, in bocca, nelle tasche del soprabito, ovunque, colto da un appetito insaziabile. La scena è uno strepitoso inno alla pasta con Totò e compagnia che ballano sul tavolo mangiando spaghetti e ficcandoseli in tasca, perchè nessuno li porti loro via: geniale! Una testimonianza della grande verve comica di questa scena, creata sul momento dall’immortale Totò, è data dall’attrice Valeria Moriconi, che nel film ha parecchie scene insieme al Principe De Curtis: “Mentre si stava girando, vidi con la coda dell’occhio il tecnico del suono che si tappava la bocca. Poi mi giro ancora meglio, vedo gente cianotica perchè non poteva ridere, alzo lo sguardo e vedo che Totò si era alzato, era salito sopra il tavolo e s’era inventato di mettersi gli spaghetti nelle tasche. Chissà la scena quanto sarebbe andata avanti, e invece il regista Mario Mattoli fu costretto a dare lo stop perchè mentre infilava questi spaghetti dentro le tasche, Totò aveva preso anche uno zampirone messo dentro la pasta per fare del fumo, e questo zampirone gli stava bruciando la tasca. Girammo un unico ciak, quello inserito nel film”.
Mattatore di questa pazza pellicola, che si piazza fin da subito tra i più grandi successi comici degli anni ’50, è il mangiatore per eccellenza del cinema italiano, ovvero Aldo Fabrizi. Nello scatenato film, da lui diretto, prodotto e interpretato, è il capo-famiglia che prepara tutto l’occorrente a casa per una gita a Ostia il giorno di Ferragosto, non manca proprio nulla: frigge le cotolette, prepara gli spaghetti, e immancabile, ha cura di un bel cocomero freddo al punto giusto. La pellicola rimane uno strepitoso spaccato della piccola borghesia italiana degli anni ’50, che si confronta a fatica con i primi segni del benessere economico.
3. I soliti ignoti (1958), di Mario Monicelli
Nel capolavoro di Monicelli, la banda di rapinatori falliti si consola con la pasta e ceci trovata nella cucina che dovevano scassinare: non tutto è perduto, la pancia, almeno, è piena. Chi non ricorda infatti, la celebre scena del film, quando i ladri più iellati e simpatici del cinema italiano, scavando scavando, invece che arrivare al tesoro del Monte di Pietà, sbucano in una cucina qualunque dove, per il colpo mancato, si consolano con la pasta e ceci e gli involtini al sugo. Era il 1958 e, mentre quelli erano per tante famiglie i piatti di ogni giorno, la fame rimaneva la protagonista in un’Italia ancor alle prese con la sopravvivenza, ma che si preparava a ricevere i benefici dell’ormai imminente benessere economico. Una curiosità: il copione prevedeva pasta e fagioli, fu Marcello Mastroianni, uno dei ‘ladri’, a chiedere che fosse sostituita con la pasta e ceci, che, sul set, mangiò poi in piena naturalezza, insieme a Vittorio Gassman, a Tiberio Murgia e a Capannelle.
La pellicola interpretata da Aldo Fabrizi e Renato Rascel si evidenzia soprattutto per la memorabile sequenza in cui Aldo Fabrizi, che interpreta un maresciallo dell’esercito, cerca inutilmente di resistere di fronte ad un piatto di pastasciutta, cedendo poi di schianto e mangiandosela tutta in un sol boccone. Davvero un inno alla pasta di eccezionale fattura comica. D’altronde Fabrizi aveva proprio un’autentica venerazione per la buona cucina, e si è sempre notato, ma soprattutto per la pasta, tanto da aver scritto addirittura un libro di poesie dedicate alla pastasciutta, e tutte addirittura in rima. Splendidi sonetti dove Roma e la pastasciutta la fanno da padroni. Ricette in versi dei piatti della tradizione romana, considerazioni sulle abitudini alimentari degli italiani, rimpianto per la vita semplice di un tempo, ironia sulle diete, ragionamenti sulla inattendibilità dell’informazione alimentare di giornali e televisione; questo e altro ancora sono gli argomenti di questi divertenti sonetti degni della più schietta tradizione della poesia romanesca.
5. La grande abbuffata (1974), di Marco Ferreri
Eccoci a quello che non solo è uno dei più grandi film della storia del cinema, ma anche uno di quelli interamente basati sul cibo. “La grande abbuffata” rimanda fin dal titolo ad una scorpacciata di cibo, unita al sesso e al senso della morte: una vera e propria abbuffata di vizi che fece gridare allo scandalo il mondo. E’ la storia di quattro amici annoiati che decidono di suicidarsi con un overdose di cibo e di sesso. Nel capolavoro di Ferreri, i quattro protagonisti sono Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Philippe Noiret e Michél Piccoli. Quattro grandi attori, ma anche quattro notevoli mangiatori, Tognazzi fu sempre celebre per le sue ricette e la sua passione per la cucina, Mastroianni viene ricordato da tutti i suoi amici come un buon mangiatore di cibi semplici e genuini, il musicista Armando Trovajoli sostenne che “avrebbe venduto la primogenitura per un piatto di pasta e fagioli”. “L’esperienza cinematografica più fantastica e fuori dalle righe mai capitatami. Un film dove il cibo entrava nelle interpretazioni di noi attori, così come le nostre interpretazioni erano strettamente legate al cibo, se non addirittura determinate da esso”, disse Ugo Tognazzi a proposito del film. Sul set ci si abbuffava veramente, tra un piatto di pasta e altre prelibatezze cucinate da Fauchon, il re parigino della gastronomia.
Strepitoso affresco agrodolce della storia italiana dalla seconda guerra mondiale agli anni ’70, la pellicola possiede un’amarezza di fondo e una forza evocativa ancora oggi di grande effetto. La buona tavola non è elemento principale del film, però è presente nella sequenza memorabile del film, quella rimasta nella memoria collettiva. Nel film di Scola, lo spaghetto è consolatore, ma è anche il motore per ricostruire una vecchia amicizia: rimasta nella memoria collettiva è la scena in cui Gassman, Manfredi e Satta Flores brindano alla ritrovata amicizia di fronte a un bel piatto di spaghetti e a un buon bicchiere di vino dal “Re della mezza porzione”.
C’eravamo tanto amati (1974), di Ettore Scola
7. Le vacanze intelligenti (1977), di Alberto Sordi
Nello strepitoso segmento di “Dove vai in vacanza?”, che per la verità è quasi un lungometraggio, data la sua lunghezza di quasi un’ora, il tema del cibo è presente, unito all’arte, in quasi tutto il film. Non si possono scordare le gesta di Alberto Sordi e della “moglie cinematografica” Anna Longhi, messi a dieta dai figli salutisti ed orientaleggianti, che ad un certo punto si sfogano con il peggio della cucina trucida ed ipercalorica, abbuffandosi fino all’inverosimile. Il loro ritorno a casa, dalle famigerate “vacanze intelligenti” li vede accolti dai figli progressisti, che per una volta si adeguano alle tradizioni e preparano per i genitori una vagonata di spaghetti al sugo.
Le vacanze intelligenti (1977), di Alberto Sordi
8. Spaghetti a mezzanotte (1979), di Sergio Martino
Anche la commedia sexy degli anni ’70-‘80 ha un suo ottimo rappresentante riguardo il cibo, ed è il film di Sergio Martino “Spaghetti a mezzanotte”, interpretato da Lino Banfi e Barbara Bouchet, con tanto di abbuffata finale con fiamminghe piene di maccheroni, bucatini e pennette all’arrabbiata. Nel film anche una deliziosa satira sulle diete, imposte dalla “moglie” Bouchet al “marito” Banfi, ovviamente disattese da quest’ultimo.
Spaghetti a mezzanotte (1979), di Sergio Martino
9. Ricette d’amore (2001), di Sandra Nettelbeck
Di coproduzione italo-tedesca, il film narra della storia delle abitudini solitarie di una cuoca depressa (Martina Gedeck), che ritrova la gioia di vivere, dopo un grave lutto, grazie all’esuberante cuoco italiano Mario (Sergio Castellitto). Al di là di una trama semplice, lineare, romantica, a tinte drammatiche, il vero protagonista del film, come si evince anche dal titolo è il rapporto tra cibo e amore. Il cibo come metafora dei sentimenti dei personaggi: il cibo elaborato e tecnicamente perfetto della protagonista, ma privo di sapore perché freddo e non coinvolgente, ostinatamente rifiutato della nipote, che cerca amore e affetto, cose che trova nel cibo offertole dal cuoco italiano, un cibo semplice ma caldo e saporito. Il cibo come seduzione ed espressione reale di amore verso quello per cui lo si confeziona e al quale lo si offre. Il cibo con i suoi odori, sapori e colori coinvolge tutti i nostri sensi ed è inevitabile quindi che ispiri la nostra sessualità: così accade per la protagonista femminile conquistata dall’apparente rozzezza e semplicità dei cibi del cuoco italiano.
«Non c’è dubbio che i profumi, i sapori, gli assaggi nel piatto dell’altro, sono tutti movimenti di seduzione, infatti la prima cosa che si chiede a una donna è quella di andare a cena insieme» (Sergio Castellitto sul film).
10. Pranzo di ferragosto (2008), di Gianni Di Gregorio
Il film narra la deliziosa storia di un figlio alle prese con la madre, una nobildonna decaduta leggermente caratteriale, cui vanno ad aggiungersi la mamma dell’amministratore e quella del medico. Il pover’uomo si trova allora a dover organizzare un pranzo di ferragosto per le simpatiche vecchiette, cercando di barcamenarsi tra battibecchi, manie, diete e quant’altro. Il menù : la pasta al forno che una di queste divora nonostante i divieti del figlio medico, e il pesce pescato nel Tevere. E allora il cibo diventa il mezzo per unire più generazioni e per abbattere le distanze.
Lo street food sposa il marketing per rinnovare la tipicità
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Cibo spazzatura, comodo, ricercato o semplicemente venduto bene?
Noi italiani di cibo ce ne intendiamo, ma nell’ultimo periodo inventare nuovi contesti alimentari sembra una necessità. Dilagano le specializzazioni: la tipicità, le sigle del DOP, DOC e affini, i presidi slow food, le botteghe del gusto, i percorsi enogastronomici. C’è stato il filone dell’etnico, partito con il messicano, approdato nel sushi e ora sembra che siano le hamburgherie la nuova frontiera del fashion. E dopo il cosa trovarsi nel piatto, arriva il momento di capire il come.
Fast food che vogliono essere sempre più accoglienti e quindi meno veloci? Oppure locali All you can eat che sostituiscono o si affiancano alla nostra tradizione di Menu fisso pranzo di lavoro 10 euro? Infine si alternano i fanatici del bio e del salutare con i maniaci delle offerte da primo prezzo incuranti della qualità.
Dietro a ognuna di queste situazioni si cela un’esperienza, una concezione che l’idea di mangiare si porta dentro.
Il lungo pasto in famiglia la domenica, lascia il posto a qualcosa di veloce in solitaria. La tovaglia e i piatti carichi diventano finger food sui vassoi. Con tanti programmi di cucina si diffondono i foodies, che si interessano al cibo fingendosi o diventando dei gourmet di alimenti strani o stellati.
Cosa cerca il consumatore nel cibo? E cosa offre il marketing per andare incontro alle esigenze del cliente?
Intanto la prima azione di marketing è stata quella di trasformare il cibo in food.
In quest’epoca di non-lingua tradurre una parola significa trasporre un nuovo concetto. Se il cibo è per nutrirsi, il food è esperienza e stile di vita. Anche le pietanze servite hanno un packaging e una pubblicità che, ben prima dell’acquisto del prodotto, devono essere accattivanti.
Le regole d’oro del marketing valgono anche per i baracchini dello street food.
Per il place è fondamentale scegliere di delocalizzare: lo stesso cibo, fuori dal contesto e dal luogo di origine, è ciò che serve per il successo. Il prodotto poi deve essere desiderabile e innovativo, non nei componenti, ma svecchiato nelle modalità di presentazione o di consumo. Il prezzo determina il posizionamento e se voglio creare un brand di successo bisogne far pagare la qualità che il cliente si aspetta. Per la promozione l’ideale sarebbe riuscire a inventarsi un marchio che sappia trainare e creare moda. Uno stile unico e inatteso, decontestualizzato e reso modaliolo.
Perché, almeno in Italia, lo street food è una moda, non una necessità.
Eccentricità, tipicità e focalizzazione: queste le caratteristiche per sfondare. Dai chioschi a forma di limone per proporre cocktail e granite, all’idea francese di enormi bignè ambulanti per offrire alta pasticceria d’autore, l’eccesso risulta per alcuni una chiave distintiva.
Se negli USA i food truck più apprezzati puntano alla salubrità con tanto di rating da A a F, in Italia spopolano quelli che portano la tipicità in ogni dove. Il giro d’affari aumenta e anche l’indotto, in primis di chi allestisce i veicoli, ha una crescita a 2 cifre. I costi variano dai 20.000 ai 40.000 euro per ogni mezzo e, burocrazia a parte, è facile iniziare.
L’idea in più, CAPEGGIATA dal comune di Milano, è di puntare a mezzi a basso impatto ambientale, per ridurre costi ed emissioni.
Le prossime tendenze che arrivano dagli States sono le Urban Oasis con frutteti e giardini pensili sui grattacieli per avere prodotti freschi e a Km zero. E dentro le stazioni ci sono Urbanspace Vanderbilt simili a temporary store con bancarelle di street food e spazi comuni, tavoli per mangiare insieme mentre altre aziende specializzate si occupano di gestire il marketing per lasciare ai cuochi tutto il tempo per creare nuove ricette.
Street food: molto più di una moda. L’evoluzione tra sapori antichi, storia e tradizioni.
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Se pensate che lo street food sia qualcosa di nuovo, nato negli ultimi anni, vi sbagliate di grosso! Non lasciatevi ingannare dal trend che si è sviluppato recentemente e dal fatto che improvvisamente il cibo da strada è diventato chic, con la complicità di chef famosi e rivisitazioni varie. Lo street food esiste praticamente da sempre. Se ne hanno notizie sin dall’antico Egitto, dalla Grecia e dall’antica Roma. Già ai tempi, infatti, esistevano quelli che oggi chiameremmo “baracchini” o “food truck”, che vendevano pesce fritto o verdure cotte. I consumatori tipici dello street food non erano di certo giovani modaioli non abbastanza sazi dall’aperitivo, ma le classi più povere della società, che spesso non avevano la cucina in casa ed erano costretti a consumare pasti frugali e poco costosi fuori casa. Il cibo da stradasi è evoluto pian piano, di pari passo alla società. In Francia, a Parigi, i “pâtés” farciti con carne o verdure, e venduti rigorosamente in strada, danno addirittura origine a una serie di ricette tipiche di piatti francesi attualissimi come i timballi, le sfoglie e le varie torte salate. L’usanza del pesce fritto venduto al porto di Alessandria d’Egitto, invece, la ritroviamo presto in Inghilterra, con il famoso Fish & Chips, ancora oggi molto amato in particolare nei paesini della costa.
Street food
Negli ultimi anni abbiamo invece assistito a un vero e proprio rilancio dello street food in Italia. L’Expo di Milano, nel 2015, è stata forse la più grande vetrina per la rivalutazione dello streetfood, grazie ai numerosi food truck che proponevano prodotti tipici sia italiani che del mondo. In tanti, ad esempio, hanno scoperto una vera passione per il lobster roll, Il panino all’astice del padiglione USA, tipico del New England, che è andato letteralmente a ruba nonostante il prezzo piuttosto alto: 15 euro. L’Olanda ha proposto deliziose pancake, il Belgio le patatine fritte (e la birra ovviamente), e la nostra Italia non si è lasciata scappare l’opportunità di deliziare tutti con piadine romagnole, “cuoppi” di fritture varie e tipicità regionali di ogni tipo.
Folla in attesa di entrare ad Expo 2015, Milano, 2 maggio 2015. ANSA/STEFANO PORTA
Secondo i dati diffusi dalla Coldiretti, lo street food in Italia è in crescita soprattutto nelle zone balneari, turistiche e nelle grandi città. Un italiano su due acquista cibo da strada mentre si trova in giro per la città, e più del 69% preferisce il cibo locale (arrosticini, arancini, piadine, fritture di pesce…). Solo il 17% sceglie specialità internazionali (hamburger e hot dog), mentre il 14% predilige cibi etnici come falafel e kebab.
Non abbiamo di certo scoperto lo street food nel 2015 con Expo, no, ma abbiamo imparato ad apprezzarlo maggiormente negli ultimi anni, anche grazie ad Expo, scegliendolo sia durante le nostre vacanze che, sempre più spesso, in città. In viaggio lo street food ci affascina da sempre, perché è una buona opportunità per provare qualcosa di tipico a prezzi bassi e senza dover perdere troppo tempo. Lo si consuma anche in movimento, o seduti in modo informale su una panchina. Il cibo da strada di una determinata zona è spesso quello più semplice, e ci aiuta a scoprire di più anche sul territorio, sulla sua storia, sulle dominazioni che ha subìto e così via.
Pensiamo, ad esempio, alle panelle in Sicilia, fatte con un impasto di farina di ceci e acqua, e poi fritte. Un piatto di chiara derivazione araba, come le arancine (o gli arancini a seconda delle zone), anche queste introdotte durante la dominazione araba ma ormai parte fondamentale della cucina siciliana.
Arancini
La maggior parte dei prodotti tipici trasformati in street food profumano di tradizione, di storia, di abitudini di un tempo, di piatti poveri, anche se oggi a volte li ritroviamo in versioni gourmet e a prezzi tutt’altro che bassi.
In linea di massima però, il classico baracchino (ormai sempre più spesso modaiolo, curato e trendy) offre l’opportunità di mangiare qualcosa di buono velocemente e spendendo poco. Questo è il vero mood dello street food, quello che anima questa opportunità sin dalle sue origini, da secoli, dai primi insediamenti urbani, e che ci sta riconquistando.
Come potrebbe, in effetti, non riaffermarsi oggi un trend come questo? In un momento storico in cui la vita è sempre davvero frenetica, si ha poco tempo e si cerca spesso di contenere i costi, come non essere attirati dallo street food? Se aggiungiamo poi la spinta mediatica proveniente dai tanti programmi televisivi dedicati alla cucina, dai food blogger e dai contenuti condivisi sui social (foto appetitose su Facebook, Instagram o social network dedicati totalmente al cibo come Snapfood), ecco che lo street food si trasforma in un vero fenomeno di lifestyle.
Benvenuti NELL’ERA in cui il cibo da strada è più amato di quello di un ristorante stellato!
I 3 migliori blog di cucina selezionati da noi
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Sono anni ormai che è esploso il fenomeno del food e delle ricette in cucina. Programmi televisivi, film, riviste e format esportati in tutto il mondo. E, ovviamente, non potevano mancare i blog di cucina. Alzi la mano chi, almeno una volta, non ha digitato su Google: “Come cucinare la faraona”? Ok, proprio la faraona forse no, ma una qualsiasi altra ricetta, magari si.
E, se lo avrete fatto, vi sarete sicuramente imbattuti in uno dei tanti blog di cucina: magari vi avranno dato una dritta sui tempi di cottura o su come meglio impiattare le vostre pietanze. Insomma, nel momento del bisogno, sono sempre molto utili.
Per questo ne abbiamo selezionati3 per non farci mai cogliere impreparati.
Questo blog di cucina nasce nel 2006 da un’idea di Sonia Peronaci (che ora ha iniziato una nuova avventura con il suo blog personale) quando i blog erano allo stato primordiale ed in poco tempo è divenuto un punto di riferimento per tutti quelli che volevano un consiglio per cucinare o proprio per imparare a farlo. Oggi è una realtà imprenditoriale ormai affermata con un team formato da una trentina di persone tra cuochi, redattori, fotografi e videomaker, una rivista cartacea molto diffusa ed una community online compatta e dai numeri incredibili: ad oggi piace a 1.946.352 persone, conteggiando solo Facebook.
Questo blog di cucina nasce nel 2007 per opera di Flavia Imperatore con l’intento di raccontare i piatti con l’ausilio di immagini, video e principalmente aneddoti. Tra cucina tradizionale, soprattutto di origine napoletana, e cucina più internazionale, in questo blog potrete trovare una soluzione a tutte le vostre necessità.
Questo blog di cucina prende vita dalle mani di Alice Agnelli che lo definisce un “loveblog” nel quale troverete racconti di viaggi, moda e ovviamente di cibo, in un percorso che vi porterà in giro per il mondo.
Questo non è proprio un blog di cucina come gli altri appena citati. Prende il nome dal suo autore – Luciano Pignataro, giornalista professionista – e rappresenta più che altro una guida dei ristoranti, trattorie, vini, agriturismi e prodotti tipici del nostro Paese, scelti autonomamente da un gruppo di giornalisti. Ovviamente, all’interno di questo blog, potrete trovare numerose ricette.