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La Copertina d’Artista – Questione di Bias

Eccola qui l’interpretazione artistica dell’Intelligenza Artificiale Generativa “Dream” di WOMBO del tema di questo numero che, come avrete intuito, parla di bias, euristiche, pregiudizi, trappole mentali, che sono i nomi che diamo a quei veloci meccanismi cognitivi inconsci che ci hanno permesso di sopravvivere in passato, che ci consentono di decidere rapidamente e che però spesso ci inducono all’errore.

L’immagine che vedete è stata realizzata dopo una dozzina di tentativi, tutti di buon livello. In questo tentativo, l’AI ha sintetizzato al meglio le istruzioni ricevute realizzando un’opera dal grande impatto visivo e con dettagli fortemente evocativi. Il ragazzo dai toni realistici e con un cervello in bella mostra rappresenta, a mio parere, un’opera di ottimo livello che centra perfettamente il tema di questo numero del nostro magazine.

Come avevo anticipato nella Copertina d’Artista dello scorso numero, le 12 copertine di questo 2023 saranno realizzate interamente dal sottoscritto con l’ausilio di varie tipologie di AI generative, tipo Dream di WOMBO, DALL-E di OpenAI o Midjourney.

GLOSSARIO
Che cos’è il Prompt?
Il prompt è un insieme di istruzioni da fornire a un algoritmo di apprendimento automatico per generare un output specifico; consente all’utente di fornire suggerimenti all’AI, come ad esempio un colore, un soggetto o un tema.
Grazie a queste istruzioni l’AI genererà un’opera d’arte o un testo basati su quelle indicazioni.
Il sito di Agenda Digitale ci dice che:
“La prompt engineering è un concetto di elaborazione del Natural language processing (Nlp, in italiano Elaborazione del linguaggio naturale), branca dell’IA che consente a una macchina di decifrare il linguaggio umano e che implica la scoperta di input capaci di produrre risultati desiderabili o utili”.
Quindi, i prompt si possono definire come il mezzo di comunicazione per le AI generative, che trasmettono l’idea (cioè cosa dovrebbe contenere l’immagine o il testo) ai modelli di machine learning, trasformando i prompt in un’immagine o in un testo scritto.

Lo scopo è duplice: da una parte testare ed imparare ad usare questi nuovi strumenti a disposizione dei content creator e fornire a chi ci legge suggerimenti d’uso e buone pratiche per utilizzarle al meglio; dall’altra realizzare, nel 2024, una mostra digitale online e un catalogo sempre online su questo anno di Copertine d’Artista generate con AI e cogliere l’occasione per una riflessione pratica e concettuale su questi nuovi strumenti.

Cominciamo con la Copertina d’Artista di questo 106° numero, intitolata “Questione di Bias”; per realizzarla mi sono servito, come ho già detto, di Dream by WOMBO, una AI artista molto semplice da usare che presenta un’interfaccia grafica intuitiva e la possibilità, per il momento anche con la sola versione free, di scaricare l’immagine generata.

Nell'immagine la Copertina d'Artista del n° 106 del Febbraio 2023 di Smart Marketing dedicato al tema dei Bias
La Copertina d’Artista del n° 106 del Febbraio 2023 di Smart Marketing.

Una volta creato un account, l’homepage ci presenta sulla sinistra una serie di strumenti, fra cui, cominciando dall’alto, una barra di ricerca denominata Enter prompt che permette di inserire richieste di 200 caratteri complessivi. Subito sotto, nella sezione Art Style, l’AI mi fornisce una serie di stili artistici preimpostati che, nel momento in cui scrivo, sono ben 73, dei quali meno di una decina sono a pagamento. In fondo a questa sezione si trova il tasto Create che permette appunto di generare l’immagine.

Sulla sinistra dell’homepage si trovano invece quattro riquadri rettangolari dove appunto viene generata l’immagine; per l’abbonamento free ne viene usato solo uno, mentre per la versione premium si usano tutti e quattro.

Una volta generata l’immagine, possiamo ripetere il processo se non ci convince o salvare il risultato nella sezione galleria del nostro profilo e da qui decidere se condividerla con gli altri utenti o meno, e persino decidere se trasformarla in un NFT o stamparla in vari formati; ovviamente, per usufruire di questi ultimi due servizi dovremo fare l’upgrade alla versione premium.

L’homepage di Dream by Wombo.

Ho scelto Dream by WOMBO per l’estrema facilità d’uso e per la possibilità che offre di scaricare le proprie creazioni senza bisogno di avere un abbonamento premium.

Per generare l’immagine di questa Copertina d’Artista, nello specifico, ho utilizzato:

DREAM SOURCE
Dream by WOMBO

DREAM STYLE
Realistic v2

PROMPT
“cognitive bias, mental traps, human being, head, brain,”

Fateci sapere se il risultato vi piace e se vi è venuta voglia di cominciare ad usare AI generative artistiche come questa.

Noi ci vediamo il prossimo mese con una nuova Copertina d’Artista e con altre curiosità e consigli sull’uso delle AI generative artistiche.

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Questione di Bias – L’editoriale di Ivan Zorico

Si scrive bias, si legge pregiudizio.
Tutti abbiamo dei pregiudizi e questo di per sé non è il male assoluto. I pregiudizi sono delle scorciatoie mentali che usiamo per semplificare il processo decisionale e risparmiare energie mentali. Insomma, ogni qualvolta ci troviamo a vivere una nuova situazione o quando ci troviamo a prendere delle decisioni, dalle più piccole alle più grandi, il nostro cervello cerca degli appigli nelle nostre esperienze e conoscenze pregresse (personali, culturali e collettive) per aiutarci a decifrare la realtà che ci circonda, ed il momento che stiamo vivendo, e per fornirci soluzioni e risposte nella maniera più efficiente, ossia nel più breve tempo possibile, e, si spera, anche più efficace.

Ogni giorno prendiamo migliaia di decisioni e, ovviamente, non sempre abbiamo il tempo necessario per fermarci, ponderare, raccogliere tutte le informazioni necessarie ed arrivare a prendere la migliore decisione possibile. Proprio per sopravvivere a queste situazioni, facciamo involontariamente ricorso ai pregiudizi – ai bias – che intervengono nelle nostre scelte decisionali molto più spesso di quanto pensiamo.

Altrettanto ovviamente, molte delle nostre scelte sono errate o quanto meno negativamente viziate da questi bias cognitivi. Il punto è che non ci rendiamo conto di questo processo e di volta in volta pensiamo di aver preso la decisione migliore, la più imparziale e la più razionale, quando, invece, così non è. A tal proposito ti voglio dare un consiglio di lettura: “Rumore. Un difetto del ragionamento umano” di Daniel Kahneman, Olivier Sibony e Cass R. Sunstein. Ti dico subito che non è una lettura facile, per cui armati di pazienza. Però è sicuramente uno di quei libri che vale la pena leggere. Fidati e poi mi dirai.

I BIAS COGNITIVI NEL MARKETING, MA NON SOLO.

Sin qui la teoria. Adesso veniamo alla pratica.

Se mi leggi, saprai che qui parlo di due grandi passioni: la comunicazione ed il marketing, e la crescita personale. I bias cognitivi sono molto utilizzati nel marketing per portarci a fare determinati acquisti o per influenzarci in una negoziazione, ma hanno anche risvolti anche in ambito personale.

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Ogni giorno prendiamo migliaia di decisioni e non sempre abbiamo il tempo necessario per raccogliere tutte le informazioni necessarie per prendere la migliore decisione possibile. Proprio per sopravvivere a queste situazioni, facciamo involontariamente ricorso ai pregiudizi – ai bias – che intervengono nelle nostre scelte decisionali molto più spesso di quanto pensiamo.

Uno dei più famosi è certamente il “bias dell’ancoraggio“: se durante una negoziazione emerge un dato prezzo iniziale, tale valore farà da “ancora” e sarà su quello che la negoziazione sarà condotta. Non importa se il prezzo sia “giusto” o “sbagliato”, la conoscenza di quel valore influenzerà le nostre decisioni. Dal punto di vista personale, quando ci poniamo un obiettivo spesso ci basiamo dei riferimenti capaci di condizionare le nostre aspettative e le nostre percezioni di successo o fallimento.

Un altro molto noto è il “bias di conferma“: come consumatori tendiamo a cercare informazioni che confermano le nostre convinzioni e ad ignorare quelle che le contraddicono. Ecco spiegato perché compriamo sempre la stessa pasta, ordiamo sempre la stessa pizza o prenotiamo sempre lo stesso albergo. Ma questo bias cognitivo agisce anche sotto la sfera personale: cerchiamo le informazioni che confermano le nostre convinzioni e ignoriamo quelle che le contraddicono.

Un ultimo bias che vorrei proporti è quello dello “status quo“, ossia tendiamo a preferire la situazione attuale, rispetto al cambiamento. Come avrai intuito ha molto a che vedere con la zona di comfort e con il rischio di non cogliere nuove opportunità per paura di cambiare anche solo una nostra abitudine.

Di bias cognitivi ce ne sono tantissimi e, se sei interessato all’argomento, ti basterà fare una semplice ricerca su Google e vedrai che ti si aprirà un mondo. Potrebbe essere un buon modo per conoscerli e per difendersi. Intanto, però, ti invito a non guardarli con troppo sospetto perché, come ho detto all’inizio, non sono né buoni né cattivi. Esistono e dobbiamo farne i conti. Anche perché come disse lo scrittore inglese William Hazlitt: “Senza l’aiuto del pregiudizio e dell’abitudine io non sarei in grado di attraversare la stanza”.

Buona lettura,

Ivan Zorico

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Rimaniamo in contatto: www.linkedin.com/in/ivanzorico

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Questione di Bias – L’editoriale di Raffaello Castellano

Raffaello Castellano direttore responsabile Smart MarketingBias, pregiudizi, euristiche, trappole mentali: a questi argomenti che, si badi bene, non sono sinonimi, è dedicato questo numero di Smart Marketing, e dovendo decidere come introdurlo scrivendo questo editoriale mi è venuto in mente un episodio di vita vissuta che credo spieghi bene in che maniera agiscano i Bias.

Era, più o meno, la metà del 1994 quando intrapresi la professione del venditore per un’azienda di Padova che vendeva un innovativo (per l’epoca) aspirapolvere e depuratore d’aria con filtro ad acqua chiamato “Hydra”.

Ma non era solo il prodotto quello che rendeva forte questa azienda, ma un piano marketing e una formazione del personale davvero di prim’ordine.

L’Hydra si vendeva a domicilio, fissando un appuntamento telefonico con il potenziale cliente, al quale si proponeva una consulenza sull’inquinamento indoor di circa un’oretta, dopo la quale si proponeva il nostro prodotto come soluzione.

La consulenza era strutturata in spiegazioni con l’ausilio di un raccoglitore ad anelli (altri tempi) che conteneva immagini ed articoli di giornale, nella visione di un VHS con un breve documentario sull’inquinamento di 10 minuti tratto da una puntata di Quark e in alcune dimostrazioni pratiche di inquinamento indoor attraverso la raccolta di polvere e fumi in diverse parti della casa del cliente.

Fra le varie immagini che si utilizzavano per spiegare cosa portavamo nelle nostre case sotto le suole delle scarpe ce n’era una particolarmente forte che mostrava vari animali investiti sull’asfalto. Quell’immagine, che contribuiva non poco a incrementare le vendite se mostrata nel modo e al momento giusto, impressionò anche noi venditori, e ricordo distintamente che da quando cominciammo ad usarla nelle consulenze la mia percezione degli animali morti investiti sulle strade aumentò a dismisura.

Vedevo animali spiaccicati dappertutto, sotto casa, andando in ufficio, sulle strade provinciali, in autostrada, sulla strada che conduceva a casa mia e alle case dei clienti, e non solo in macchina ma anche a piedi; insomma, in quel periodo mi resi conto che con le nostre auto noi umani eravamo artefici di una vera ecatombe di animali.

Nell'immagine la Copertina d'Artista del n° 106 del Febbraio 2023 di Smart Marketing dicato al tema dei Bias

Per dirla parafrasando un famoso film: vedevo animali morti ovunque!

Ovviamente non era così, questa storia, credo, illustri perfettamente uno dei bias più subdoli e diffusi, l’Illusione della frequenza, ossia quel bias che ci fa sovrastimare la reale frequenza delle informazioni che ci riguardano e che ci interessano in un dato momento.

Pensate a quando avete comprato l’ultima automobile: quanti di voi vedevano quel particolare modello con maggior assiduità?

A cambiare, ovviamente, è l’attenzione che noi poniamo a quello che in questo momento ci interessa e quindi cominciamo “improvvisamente” a vederlo con sempre maggior frequenza.

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Ogni giorno prendiamo migliaia di decisioni e non sempre abbiamo il tempo necessario per raccogliere tutte le informazioni necessarie per prendere la migliore decisione possibile. Proprio per sopravvivere a queste situazioni, facciamo involontariamente ricorso ai pregiudizi – ai bias – che intervengono nelle nostre scelte decisionali molto più spesso di quanto pensiamo.

Ma adesso torniamo alle differenze fra i vari termini che ho usato in apertura di questo editoriale.

La parola euristica deriva dal greco e il suo significato letterale è scoprire, trovare. Le euristiche sono delle scorciatoie mentali che ci consentono di scegliere, molto velocemente, la migliore soluzione possibile con il minimo sforzo e rappresentano un atteggiamento ancestrale del nostro cervello, uno stimolo ad agire velocemente di fronte alle situazioni di pericolo che ci ha permesso di sopravvivere in epoche in cui decidere in fretta faceva la differenza tra vivere o morire.

La parola bias viene dal francese biais che significa obliquo.  Oggi la parola bias è utilizzata spesso come sinonimo di pregiudizio, ma c’è da dire che non tutti i pregiudizi sono bias.

Anche i bias sono delle euristiche, ma definiscono quelle inclinazioni errate della mente  che portano a decisioni sbagliate.

Il termine pregiudizio, come ci ricorda Wikipedia, deriva dal latino prae, “prima” e iudicium, “giudizio” e può assumere diversi significati, tutti in qualche modo collegati alla nozione di preconcetto o “giudizio prematuro”, ossia basato su argomenti pregressi e/o su una loro indiretta o generica conoscenza.

Infine per trappole mentali possiamo intendere una sorta di macro categoria nella quale ricadono tutti e tre i precedenti concetti.

Nell'immagine un'ombra sinistra tira i fili di un gruppo di persone in un ufficio - Smart Marketing
Image by Freepik.

Insomma, tutte queste trappole mentali, che siano euristiche, bias o pregiudizi, sono meccanismi automatici ed innati che il nostro cervello utilizza per affrontare “velocemente” le oltre 35.000 decisioni quotidiane che siamo chiamati a prendere.

Capire l’utilità e la pericolosità di questi meccanismi cognitivi automatici può aiutarci a migliorare la qualità delle nostre decisioni e a difenderci da quei bias utilizzati dal marketing per influenzare le nostre scelte, non solo di acquisto.

Come ha scritto Raffaele Gaito, che ai Bias ha dedicato un agile ed interessante manuale, “Guida ai bias cognitivi”(lo trovate su Amazon in formato ebook a 0,99 centesimi): “Non credete ad ogni cosa che pensate”.

E se non dovesse bastare e siete ancora dubbiosi, allora vi propongo una citazione dello psicologo israeliano Daniel Kahneman, vincitore, insieme a Vernon Smith, del Premio Nobel per l’economia nel 2002 per i suoi studi sulla finanza comportamentale, che nel suo celebre e citatissimo saggio “Pensieri lenti e veloci” scrive:

“Molte persone sono troppo sicure delle loro intuizioni e tendono a riporre in esse troppa fiducia.”

Quindi, per finire, se volete scoprire qualcosa di più su bias, euristiche e pregiudizi, leggete il nostro ultimo numero, e se volete approfondire ulteriormente continuate con i due libri che ho citato.

Buona lettura.

Raffaello Castellano
 
 
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Bias cognitivi: la riprova sociale e i social media

Tra i bias cognitivi teorizzati da Robert Cialdini nel suo libro “Le armi della persuasione” si parla del principio della riprova sociale, che tutti coloro che si occupano di marketing e comunicazione sanno bene come si possa applicare al mondo dei social media.

Il libro di Cialdini ha contribuito a lasciare un segno indelebile nel mondo della psicologia applicata al marketing e descrive con grande semplicità ed esempi di vita quotidiana comprensibili a tutti i bias cognitivi alla base delle regole per la comunicazione persuasiva. Si tratta di una anticipazione di quello che oggi è il mondo del neuromarketing e che comprende anche il principio della riprova sociale.

Principio della riprova sociale e mondo del web

Cosa ti fa scegliere un ristorante piuttosto che un altro su Tripadavisor quando cerchi un posto dove cenare mentre sei in vacanza? Cosa ti induce a scegliere un’aspirapolvere piuttosto di un altro simile su Amazon?

La risposta è semplice: si tratta delle recensioni ovvero delle valutazioni di altri utenti che già hanno mangiato in quei locali o hanno già acquistato l’uno o l’altro prodotto. Basi il tuo pre-giudizio su ciò che hanno fatto gli altri. Le recensioni ci permettono di velocizzare il nostro processo di scelta e prendere una decisione in poco tempo. Nonostante non abbiamo mai avuto un’esperienza diretta con l’oggetto o il luogo che stiamo scegliendo.

Scopri il nuovo numero: “Questione di Bias”

Ogni giorno prendiamo migliaia di decisioni e non sempre abbiamo il tempo necessario per raccogliere tutte le informazioni necessarie per prendere la migliore decisione possibile. Proprio per sopravvivere a queste situazioni, facciamo involontariamente ricorso ai pregiudizi – ai bias – che intervengono nelle nostre scelte decisionali molto più spesso di quanto pensiamo.

Ecco, le recensioni sono un’importante strumento di riprova sociale, la sesta ed ultima leva di persuasione. Questa logica si può applicare in diversi ambiti della nostra vita quotidiana. Tendiamo a seguire quello che fanno gli amici, a vestirci in un certo modo perché lo fanno anche i nostri coetanei a guardare un film perché “tutti ne parlano bene”.

Quindi diffida da chi ti dice che non si fa influenzare dalle opinioni altrui. A chi più e a chi meno, questo principio funziona con tutti.

I social media e la riprova sociale

Chiunque conosca dei ragazzi preadolescenti o adolescenti avrà potuto notare quanto alcuni parametri social (follower, visualizzazioni, recensioni e via dicendo) siano per loro fondamentali per valutare e giudicare qualsiasi cosa. Se gli strumenti sono relativamente nuovi, non lo è il principio: in quell’età è normale sperimentare una sorta di desiderio di omologazione rispetto a ciò che fanno i propri coetanei.

Tuttavia, il bias cognitivo della riprova sociale coinvolge anche gli adulti e tutti noi abbiamo modificato la nostra opinione – in negativo – su un prodotto/servizio/luogo dopo aver scoperto il nostro disaccordo con il popolo della rete?

Il principio di riprova sociale ci dice in modo banale come, prima di fare qualcosa, guardiamo a ciò che fanno gli altri. Si tratta, a ben vedere, della base del fenomeno psicologico-sociale alla base delle mode. Secondo questa teoria, tendiamo statisticamente (e inconsapevolmente) ad aderire ad una proposta se questa è condivisa da un gran numero di persone. Nella pratica, si tratta di adottare una scorciatoia mentale.

Se non ho gli strumenti – o mi costa acquisirli – per valutare un prodotto, un servizio o quant’altro, potrò basarmi semplicemente sul comportamento e sulle scelte di persone a me simili.

In conclusione, il bias cognitivo della riprova sociale si basa sul fatto che “il gregge non sbaglia” e su un mix di disattenzione e pigrizia che coinvolge tutte le nostre vite. A questo punto la domanda quasi filosofica diventa “siamo liberi? Siamo in grado di difenderci dal condizionamento degli altri?” La risposta è aperta.

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The White Lotus: la sofisticata serie antologica da non perdere per nessun motivo!

Nel 2021 ha debuttato la serie americana intitolata “The White Lotus”, inizialmente pensata per essere una miniserie di sei episodi, creata, sceneggiata e diretta da Mike White, attore, sceneggiatore e regista americano.

Visto il grande successo di pubblico e critica è stata poi rinnovata per una seconda stagione e trasformata in una serie antologica, infatti, le storie della prima e della seconda stagione sono slegate, tranne per un personaggio presente in entrambe.
Filo conduttore delle stagioni è la location della storia, il lussuoso resort “The White Lotus” delle Hawaii nella prima stagione e in Sicilia nella seconda, ed in questa meravigliosa location di vacanza prendono vita le più assurde storie del suo staff e dei suoi ospiti.

Il trailer della prima stagione.

Si capisce dai primi minuti della prima puntata l’atmosfera surreale e a tratti inquietante del White Lotus, se da una parte ammiriamo splendidi panorami mozzafiato, acque cristalline, suite incantevoli e sole cocente, dall’altra c’è costantemente nell’aria quella sensazione di pericolo imminente, sensazione magistralmente sottolineata dalle musiche del compositore di colonne sonore Cristobal Tapia de Veer. Le musiche e le sigle, infatti, sono uno dei punti di forza di questa bellissima serie, quella della prima stagione si intitola “Aloha!” e quella della seconda “Renaissance”, divenute virali anche dopo la creazione di versioni remix da discoteca. Ma non solo musica nella sigla della seconda stagione, vengono, infatti, mostrati una serie di affreschi tratti da Villa Tasca a Palermo, che rappresentano scene idilliache che man mano diventano sempre più inquietanti.

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Ogni giorno prendiamo migliaia di decisioni e non sempre abbiamo il tempo necessario per raccogliere tutte le informazioni necessarie per prendere la migliore decisione possibile. Proprio per sopravvivere a queste situazioni, facciamo involontariamente ricorso ai pregiudizi – ai bias – che intervengono nelle nostre scelte decisionali molto più spesso di quanto pensiamo.

Ma torniamo alla trama, entrambe le stagioni si aprono con il ritrovamento di un cadavere per poi andare subito indietro nel tempo: nella prima stagione seguiamo le strane vicende della famiglia Mossbacher, dei giovani sposi in luna di miele Shane e Rachel e di Belinda e Armond, direttrice della spa e direttore del resort e infine conosciamo anche la storia del grandioso personaggio, comune ad entrambe le stagione, Tanya McQuoid, donna inquieta che ha perso la madre di recente, interpretata magistralmente dall’attrice Jennifer Coolidge. La Coolidge, nota per aver recitato nel ruolo della famosa mamma di Steve Stifler nell’esilarante saga di “American Pie”, grazie a questo ruolo nella serie tv ha vinto Critics Choice Television Award, un Emmy e un Golden Globe.

Il trailer della seconda stagione.

La serie, come detto in precedenza, è diventata poi antologica quindi quando andiamo a guardare la seconda stagione ci troviamo davanti uno scenario completamente diverso, restano i luoghi bellissimi e le musiche a tratti angoscianti, ma cambiano i personaggi, il ritmo e le storie. Ora siamo in Sicilia e la protagonista degna di nota, oltre a Palermo, Noto e il meraviglioso mare siciliano, è sicuramente l’attrice italiana, Sabrina Impacciatore, apprezzata e famosa qui per moltissimi film, ma diventata, grazie a questa serie, una vera e propria star in America, tanto da essere invitata al Jimmy Kimmel Show. Suo il personaggio della gelida Valentina, direttrice del resort, accanto a lei altri grandi attori internazionali come la già citata Coolidge, F. Murray Abraham e Michael Imperioli e due giovani attrici italiane Beatrice Grannò, vista nelle serie “Zero” e nel film “Security” e Simona Tabasco, presente nel film “Perez” e nella serie “Luna Park”.

La seconda stagione racconta le storie di Tanya e della sua assistente Portia, di due coppie di “amici” in vacanza, della famiglia Di Grasso, nonno, figlio e nipote americani di origini siciliane e dello staff dell’hotel; le vicende delle due stagioni finiranno per incrociarsi grazie al personaggio di Tanya.

Se ho esaltato le fantastiche musiche del compositore canadese Cristobal Tapia de Veer, non posso non dire che a rendere bellissima la seconda stagione di “The White Lotus” (sì, la seconda stagione mi è piaciuta molto di più della prima, perché più ricca di eventi, più avvincente, più emozionante) è stata sicuramente anche la presenza di canzoni imprescindibili della musica italiana, capolavori di Fabrizio De André, Ornella Vanoni, Mina, Gino Paoli, Franco Battiato, Raffaella Carrà, Umberto Bindi, tanti ma proprio tanti bei pezzoni.

La colonna sonora di “The White Lotus”.

La bella notizia per tutti i fan della sofisticata serie è che il grandissimo successo di pubblico e critica, sancito anche dai numerosi premi vinti (Critics Choice Television Award, Golden Globe e Emmy), non poteva non spingere l’autore a proseguire la narrazione, quindi, “The White Lotus” avrà una terza stagione, ambientata molto probabilmente nella suggestiva Asia.

Se non l’avete ancora vista avete un altro po’ di tempo per mettervi in pari e non fatevela raccontare!

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Sai cos’è l’Effetto Alone nel marketing?

Non è una novità che in tempi recenti il marketing faccia sempre più ricorso alle neuroscienze e alla teoria psicologica per influenzare le decisioni dei consumatori. Il neuromarketing cerca infatti di far leva sulle emozioni inconsce e sui meccanismi cognitivi della mente.

Cos’è un bias?

Il bias è un errore di valutazione della nostra mente, si tratta di un’interpretazione soggettiva non corretta degli eventi per fare in modo che questa corrisponda alle proprie convinzioni pregresse. Per tale motivo è frequente che un bias si verifichi in presenza di forti credenze e rigidi schemi mentali, che influenzano la percezione della realtà mostrandosi come delle vere e proprie “trappole mentali”. Spesso, infatti, i nostri comportamenti non sono razionali ma influenzati da errati convincimenti.

Il bias è diventato una leva del neuromarketing che, occupandosi dei processi decisionali del consumatore, (ad esempio la reazione di fronte ad una pubblicità), lo utilizza per creare volontariamente una visione distorta della realtà che possa incidere sull’acquisto.

I bias cognitivi sono raggruppabili in 4 principali macro-aree:

  1. Le strategie cognitive che il cervello mette in atto per selezionare rapidamente le informazioni più importanti tra le tante con le quali ha a che fare
  2. Le tecniche messe in atto dalla mente per riempire dei gap tra un’informazione e l’altra, ad esempio, quando cerchiamo di ricostruire un ricordo
  3. Le strategie mentali che riconoscono maggiore rilevanza ad alcune informazioni rispetto ad altre sulla base del tempo necessario per elaborarle
  4. La codifica delle informazioni richiede tempo, per questo la mente attua dei meccanismi che tendono a tralasciare alcune informazioni

L’importanza del bias è dunque scontata per le aziende, ma non solo. Per il consumatore risulta altrettanto utile imparare a riconoscerli per essere più consapevole dell’acquisto.

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L’effetto Alone

L’Halo effect, come viene definito in inglese, è un termine coniato dallo psicologo Edward Thorndike, sul Journal of applied psychology in un articolo dal titolo The constant error in psychological ratings.

L’effetto alone è un bias cognitivo secondo cui, la percezione di alcuni tratti della personalità di un individuo influenzano la valutazione di altri aspetti, proprio come farebbe l’alone di una macchia.

È uno dei bias più utilizzati nel campo del marketing: l’effetto alone diventa infatti una tecnica per contagiare con la percezione positiva che si ha di un prodotto anche gli altri appartenenti allo stesso brand.

Come utilizzare l’effetto alone nel marketing

I modi per attuare l’effetto alone nell’ambito del marketing sono diversi, tutti in realtà sperimentati, inconsapevolmente, da ogni consumatore quotidianamente.

  • Brand extension, nelle estensioni di marca (il caso in cui un brand lancia un nuovo prodotto successivamente ad uno particolarmente forte nelle vendite), l’effetto alone è molto utilizzato. La sensazione positiva derivante dal prodotto che registra alte vendite si estenderà anche sul nuovo lancio. Ne è un esempio vincente il caso Apple, che dopo la fortuna dell’Iphone ha messo sul mercato altri prodotti, apponendo il confortante simbolo della mela su ognuno di essi. Grande uso di questa tecnica si rinviene nel settore dell’editoria e del cinema, molto spesso sull’uscita di un nuovo libro troviamo la dicitura “dall’autore di…” o per un nuovo film “dal regista di…”
  • Influencer marketing, si basa sulla pubblicizzazione del prodotto attraverso un ambassador, un personaggio noto, che genera ammirazione tanto da seguire il suo esempio. Avendo ben presente il target a cui si punta, la scelta di un influencer adatta può comportare la traslazione delle emozioni suscitate dal personaggio sul prodotto stesso. Nella pubblicità Nespresso, Geoge Clooney, crea un alone positivo sul prodotto, permettendo al consumatore di percepire un senso di eleganza, raffinatezza e bellezza anche sul caffè stesso
  • E-commerce, sui siti di vendita online spesso troviamo dei dati relativi alle vendite che altro non sono che un metodo per creare l’effetto alone e influenzare la percezione del consumatore: il numero di vendite del prodotto o il numero di visitatori presenti in quel momento sulla pagina web, con il fine di creare un’associazione positiva con la popolarità del prodotto. Non è inusuale rinvenire anche le diciture relative ad eventuali partnership dell’azienda, o, ancora più semplicemente le recensioni, che molto influenzano le azioni dei consumatori.
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Gusti musicali e bias cognitivi: siamo davvero in grado di scegliere la musica che ci piace senza farci condizionare?

Vi siete mai chiesti se la canzone che state ascoltando vi piaccia sul serio o il vostro gusto sia, invece, influenzato dalla fama che precede il suo esecutore?
Ritenete che una canzone sia bella perché incontra il vostro gusto musicale o semplicemente perché piace ai vostri amici?
E poi, vi è mai capitato di ritenere brutta una canzone senza averla mai ascoltata soltanto perché non vi piace chi la canta?

Sicuramente, almeno una volta nella vita, tutti noi abbiamo adottato uno di questi atteggiamenti e, magari, non ce ne siamo neanche accorti.

La musica ha la capacità di catalizzare la nostra attenzione, scatenare emozioni potentissime, accomunare generazioni intere; quando scegliamo che musica ascoltare, ci sentiamo liberi, ci sentiamo potenti, come se niente e nessuno possa influenzare i nostri gusti e spesso, senza volerlo, ci rispecchiamo nei nostri idoli e proviamo sentimenti di comunanza con gli altri fan.

Tutto normale, normalissimo, se non fosse per quei preconcetti, pregiudizi che in qualche modo influenzano involontariamente tanti nostri comportamenti (dai più illogici ai più razionali) e che condizionano, più di quanto si possa immaginare, anche i nostri gusti musicali; gli psicologi li chiamano “bias cognitivi”, e, se pensate di esserne immuni, forse dovreste continuare a leggere questo articolo.

Ad esempio, sareste in grado di riconoscere un talento a prescindere dal contesto in cui si stia esibendo ed in totale anonimato?

Gli esperti sono pronti a giurare che nessuno (o quasi) di noi ne sia in grado, a prescindere dalle nostre conoscenze musicali, questo perché il contesto in cui si svolge la performance ci influenza indipendentemente dalla qualità della stessa.

Nel gennaio 2007, il violinista di fama mondiale Joshua Bell imbraccia il suo stradivari (da 3 milioni di dollari) e si mette a suonare in una delle stazioni della metropolitana di Washington all’ora di punta; nessuno sa chi sia, per i passanti è solo un artista di strada e nessuno (o quasi) lo riconosce.

È questo l’esperimento sociale condotto dalla nota testata giornalistica Washington Post, che vuole dimostrare quanto i nostri gusti musicali siano influenzati dalla notorietà dell’esecutore e quanto realmente siamo in grado di riconoscere la bellezza e la perfezione dell’esecuzione musicale quando quest’ultima si trovi fuori dal contesto abituale e calata nella quotidianità di un giorno qualunque.

Gli ideatori dell’esperimento ipotizzarono che, in un’ora, Bell avrebbe guadagnato almeno 100 dollari e che si sarebbero fermati ad ascoltarlo tra i 75 e i 100 passanti, ma i risultati furono meno promettenti del previsto, a riprova del fatto che, da soli, difficilmente siamo in grado di riconoscere un talento o una performance d’eccellenza quando questa è decontestualizzata.

Joshua Bell suonò per 47 minuti tra la più totale indifferenza dei passanti: passarono 1097 persone, ma solo 6 si fermarono ad ascoltarlo e solo una persona lo riconobbe; in totale guadagnò 32 dollari e 17 centesimi, troppo poco in confronto al prezzo del biglietto di una poltrona in galleria (100 dollari) pagati per assistere ad un suo concerto qualche sera prima, sempre a Washington, concerto praticamente sold-out.

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Ogni giorno prendiamo migliaia di decisioni e non sempre abbiamo il tempo necessario per raccogliere tutte le informazioni necessarie per prendere la migliore decisione possibile. Proprio per sopravvivere a queste situazioni, facciamo involontariamente ricorso ai pregiudizi – ai bias – che intervengono nelle nostre scelte decisionali molto più spesso di quanto pensiamo.

Se non siete ancora convinti del fatto che preconcetti ed aspettative condizionino la nostra percezione, non potrete negare la valenza di un esperimento scientifico condotto dai ricercatori dell’Università dell’Arkansas, dell’Arizona State University e dell’Università del Connecticut e, pubblicata nell’aprile del 2018, sulla prestigiosa rivista scientifica Nature (fonte: www.nature.com/articles/s41598-018-24528-3) che ha evidenziato che la risposta cerebrale agli stimoli musicali cambia in base alle informazioni fornite sull’esecutore del brano.

In pratica, attraverso una ricerca sperimentale è stato chiesto a 20 volontari (che non avevano particolari conoscenze musicali) di ascoltare 8 coppie di brani musicali da 70 secondi mentre erano sottoposti a risonanza magnetica funzionale che permetteva di evidenziare le aree del cervello interessate a svolgere un compito preciso.

Il test si articolava in tre fasi: la fase preliminare in cui venivano fornite alcune informazioni, il test vero e proprio, il post ascolto in cui gli veniva chiesto di esprimere un gradimento sull’ascolto.

Ai volontari venivano fornite informazioni preliminari sugli esecutori dei brani, veniva detto loro se a suonare fosse uno studente del conservatorio oppure un musicista di fama internazionale mentre, durante il test, le attribuzioni delle esecuzioni venivano scambiate, così da essere sicuri di studiare l’effetto dell’informazione data ai partecipanti e non della performance dell’esecutore; al termine dell’ascolto i volontari dovevano classificare il gradimento del brano su una scala da 1 a 10 e indicare quale dei due esecutori avevano preferito.

Esaminando questi dati, gli scienziati hanno notato che c’erano delle differenze nell’attività cerebrale a seconda che i soggetti preferissero il musicista professionista allo studente del conservatorio; ad esempio, l’attività del cervello iniziava, nel caso in cui i soggetti fossero stati informati che l’esecutore del brano era un professionista, ancora prima che la musica iniziasse, e rimaneva costante durante tutta l’esecuzione.

Da queste evidenze, gli autori della ricerca hanno ipotizzato che a stimolare l’attività cerebrale fosse l’informazione fornita sul performer più della musica effettivamente eseguita, influenzando la reazione all’ascolto del brano sulla base di un preconcetto.

Invece, i soggetti che avevano preferito l’esecuzione dello studente di conservatorio (che in realtà era il professionista), ad esempio, registravano un’attività più elevata nelle aree del cervello destinate al controllo cognitivo e al pensiero deliberativo, in pratica erano più abituati a ragionare ed a prendere decisioni senza farsi influenzare.

Alla luce di questo studio, siamo ancora sicuri che i nostri gusti musicali non siano influenzabili? E il mercato musicale utilizza questi meccanismi per condizionare la nostra domanda?

Pensate un po’ a quello che state ascoltando nell’ultimo periodo e chiedetevi se effettivamente lo ascoltate perché vi piace davvero, oppure perché ha vinto il Festival di Sanremo, lo ascolta un influencer che vi coinvolge particolarmente, o magari è la canzone preferita di una persona che ritenete importante, così capirete da soli che, forse, le nostre scelte musicali non sono scevre da preconcetti, pregiudizi o mode e che anche la musica, al di là dei tecnicismi e dai virtuosismi, è una questione di percezione.

Del resto, anche Franco Battiato ci ricorda che “La Mente è qualcosa di stupefacente, un tesoro, che soddisfa il desiderio, uno scrigno, di ogni possibile cosa” (Aurora, 2012).

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Il Bias del Pavone: il più pervasivo e diffuso dei nostri tempi

Il bias del Pavone, noto anche come “Self-Enhancing Transmission BIAS”, è probabilmente il bias più diffuso e meno conosciuto dei nostri tempi.

In psicologia il bias cognitivo del Pavone è quello che spinge l’essere umano a condividere i lati positivi della sua vita piuttosto che quelli negativi.

Furono due ricercatori della Stanford University, i dottori Bing Han e David A. Hirshleifer, a studiare ed approfondire questo bias nell’ambito dei mercati d’investimento in una celebre ricerca dal titolo: “Self-Enhancing Transmission Bias and Active Investing“.

Ma, oltre che nei mercati d’investimento, il luogo dove spopola a dismisura questo bias cognitivo sono i social media; Facebook, Instagram e anche LinkedIn sono luoghi affollati di gente meravigliosa, intelligente, bella e ricchissima, e questo ovviamente non può essere vero.

Tutti noi siamo sia vittime che artefici di questo bias e, in misura minore o maggiore, tendiamo sui social media in particolare a dare di noi la versione migliore.

Ma una cosa è postare una foto in cui siamo venuti bene, tutt’altra è essere ossessionati dall’apparire sempre al top, super motivati, super belli e intenti a goderci la vita fra lussi ed eccessi di ogni tipo.

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Ogni giorno prendiamo migliaia di decisioni e non sempre abbiamo il tempo necessario per raccogliere tutte le informazioni necessarie per prendere la migliore decisione possibile. Proprio per sopravvivere a queste situazioni, facciamo involontariamente ricorso ai pregiudizi – ai bias – che intervengono nelle nostre scelte decisionali molto più spesso di quanto pensiamo.

Il bias del Pavone va a braccetto con la riprova sociale, il web ed i social media ci mettono ogni giorno in contatto e a “confronto” con centinaia, migliaia di persone che, almeno apparentemente, sono più brave, più belle, più intelligenti e più ricche di noi, ma questo, oltre a non corrispondere sempre alla realtà, alimenta in noi lo stesso comportamento, spingendoci a mostrare di noi solo gli aspetti positivi, magari esagerandoli.

Su YouTube un video del 2014 che conta + di 16 milioni di visualizzazioni riesce a spiegare le dinamiche del bias del Pavone meglio di tante parole.

Anche se ironicamente, il video ci mostra un chiaro ed eloquente esempio di come agisca il bias del Pavone. Ogni giorno la spasmodica ricerca di riprova sociale ci spinge a condividere immagini irreali di noi stessi, fino a ritenere che se non “mostriamo” una vita cool agli occhi degli altri non saremo interessanti. Ma tutto questo non è a costo zero, il bias del Pavone ci costringe ad una spirale faticosa da gestire, con un aumento costante di stress ed ansia, con il risultato che il divario fra come appariamo sui social e come siamo realmente si fa sempre più incolmabile.

“Buona parte della nostra energia viene usata per alimentare la nostra sensazione di essere importanti”.

Deepak Chopra

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