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W il Personal Branding – L’editoriale di Ivan Zorico

Ti sblocco un ricordo.

Qualche anno fa, precisamente nel 2015, il tenente colonnello Filippo Petrucci diventò virale sul web per una sua dichiarazione avvenuta durante la trasmissione sulle notizie del meteo.

Forse detta così, visti gli 8 anni trascorsi, non ti dirà nulla, ma probabilmente se ti dico “grazie alle mie 2 lauree…” ti tornerà in mente qualcosa.

In pratica, Petrucci era riuscito a condurre la trasmissione anche se aveva avuto un problema tecnico (cfr. assenza del touch screen) ed al rientro in studio si era poi lanciato in un’autocelebrazione – “[…] grazie alle mie due lauree in Ingegneria e Scienze della comunicazione, conseguite entrambe con la lode, che mi permettono di avere un’ottima comunicazione, anche senza il touch screen” – che l’aveva fatto diventare ironicamente famoso sui social in brevissimo tempo.

 

Ricordo sbloccato, ma cosa c’entra questo con il personal branding?

Molto, se non tutto. Infatti, uno degli errori più diffusi da parte di chi vuole lavorare sullo sviluppo del proprio brand personale è proprio quello di focalizzarsi sulla propria persona, raccontando quanto è bravo nel fare un dato lavoro o quanto è competente, dimenticandosi totalmente di una delle regole fondamentali della comunicazione: si comunica per gli altri, non per se stessi.

Tutti noi siamo interessati ad una sola persona: noi stessi. Quindi, quando leggiamo qualcosa, o guardiamo un video, lo facciamo con l’idea che ci possa tornare utile in qualche maniera. Per informarci, per ridere, per imparare, etc.. Anche quando condividiamo un contenuto, lo facciamo per noi. Vogliamo fare sapere a chi ci segue di essere d’accordo (o in disaccordo) con un qualche concetto. Siamo sempre noi al centro.

Scopri il nuovo numero: “W il Personal Branding”

Chi è riuscito a costruire nel tempo (ed a mantenere) un ottimo brand personale, ha davanti a sé molteplici possibilità. Il lavoro lo attrae e non lo cerca. Questa è la figata del personal branding.

Questo è un passaggio essenziale per lavorare bene sul proprio personal branding. Perché se le persone sono interessate a loro stesse, allora dobbiamo essere in grado di dare loro delle utilità, un consiglio, un punto di vista; qualcosa insomma in grado di farci apprezzare come professionisti. Quindi, parlare a loro e non parlare di noi.

E qui, la domanda sorge spontanea: sì ok, ma per quanto tempo?

Questa è la domanda delle domande. Potrei rispondere dipende, mettere un punto e finirla qui. Sarei incontestabile, perché è davvero così. Di fatto nessuno può dire quanto tempo si deve impiegare su questa attività per iniziare ad avere dei risultati. Può essere sei mesi, un anno, due o anche molti di più, come mi ha raccontato in questa bell’intervista Massimiliano Allievi, il commercialista del web. La cosa certa è che è un’attività che non ha fine. Mai. Non puoi iniziarla e ad un certo punto dire: “basta così”. Pena, dissipare il lavoro svolto. È un percorso fatto di tentativi, sperimentazioni, costanza e perseveranza. Insomma, non facile. Che poi è il motivo per il quale ad un certo punto le persone mollano se non vedono subito i primi risultati.

Ma essere utili non basta neanche più. Bisogna essere anche empatici e capaci di comunicare i propri valori. Le persone scelgono le persone. Oltre al professionista deve emergere chi sei. La tua etica, il tuo pensiero. Potrai anche correre il rischio di non piacere a tutti. Pazienza. Ma a quelli a cui piacerai, piacerai davvero e ti sceglieranno. Sempre.

Ed è questa la figata di tutta questa storia. Chi è riuscito a costruire nel tempo (ed a mantenere) un ottimo brand personale, ha davanti a sé molteplici possibilità. Il lavoro lo attrae e non lo cerca. Le collaborazioni si stringono più facilmente. Le opportunità nascono “spontaneamente”.

Certo, come abbiamo visto, non è facile, ma una volta riusciti a crearlo ci sono enormi soddisfazioni. E questo può avvenire in tutti i settori.

Bonus track – Dato che uno dei grandi “problemi” di chi vuole buttarsi in questa attività è di non sentirsi pronto (cfr. sindrome dell’impostore), ti lascio con una frase di Seth Godin: “Aspettare la perfezione non è mai stato un buon modo per fare progressi”. Quindi, inizia. C’è sempre tempo per migliorare.

Wow: Smart Marketing questo mese ha compiuto 10 anni. Oltre 1700 articoli pubblicati. 3 restyling del sito, di cui uno, l’ultimo, ancora in fase di completamento. E numerosi protagonisti del mondo del marketing, e non solo, intervistati. Sono molto emozionato. 10 anni sono un sacco di tempo. Tempo nel quale ho imparato moltissimo e sono cresciuto molto. Con lui. Che dire: grazie per essere stato al nostro fianco.
PS se ti va di farci un regalo di compleanno lasciaci un commento sui social, scrivici per email (redazione@smarknews.it) o scrivimi un messaggio privato su LinkedIn. Ah, e condividi questo articolo e/o questo numero. Te ne sarei grato!

Buona lettura,

Ivan Zorico

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W il Personal Branding – L’editoriale di Raffaello Castellano

Raffaello Castellano direttore responsabile Smart MarketingSe ne sente parlare tanto, alle volte anche a sproposito, in un mondo online ed offline sempre più congestionato, interconnesso, affollato e con un assordante e onnipresente rumore di fondo, emergere, farsi notare, diventare autorevoli, passa sempre più dal “chi siamo” che dal “cosa facciamo” o “cosa vendiamo”.

Eppure il problema, o meglio la complessità, che oggi comporta fare personal branding  in quella immensa infosfera che abitiamo offline, ma soprattutto online, non è nata ne è sopraggiunta con le nuove tecnologie, ma esisteva anche prima.

Ricordo sempre con piacere la mia esperienza di venditore che ho svolto per 7 anni, più o meno meglio, dal 1993 al 2000. Ho avuto la fortuna di lavorare con un’azienda che poneva sulla formazione grandissima attenzione ed investimenti, che organizzava convegni di formazione full immersion di 3, 5 o 7 giorni almeno due volte all’anno, e che ogni due mesi teneva corsi di una o due giornate nei vari uffici regionali.

In questi incontri, poco più che 20-25enne ho avuto la fortuna di conoscere personalità come Virgilio De Giovanni, fondatore del magazine Millionaire, esperti di PNL (negli anni ‘90, non oggi), di comunicazione, di vendita e perfino di pirobazia; tanta roba, una formazione che ancora oggi, a distanza di oltre 20 anni, mi torna utile nelle mie esperienze come giornalista, formatore e content creator.

Fra tutti questi docenti, uno dei più capaci e comunicativi che abbia mai conosciuto non era un esterno, ma un interno all’azienda, il direttore vendite e formazione Roberto Vangelista; fu lui, più come mentore che come docente, che mi introdusse ai fondamentali della comunicazione umana, alla prossemica e a Paul Watzlawick, e che per primo mi fece conoscere i concetti fondamentali del personal branding, che all’epoca ancora non si chiamava così, ma era un’attitudine (Roberto Vangelista avrebbe preferito la parola abitudine) a fare le cose in un certo modo.

Voglio parlarvi fra i tanti di due esempi, la teoria del “come se” e l’importanza dell’abito nel fare il monaco e il venditore.

Cominciamo dalla prima: quando un nuovo collaboratore cominciava a fare il venditore in azienda e durante i convegni si confrontava, sentiva e vedeva i risultati di quelli più bravi ed esperti (niente supercar a Dubai, ovviamente), stentava a credere di poter avere quel successo solo applicando una corretta programmazione e pianificazione degli appuntamenti della sua agenda di lavoro, e lo sappiamo tutti noi quanto i primi tre/quattro mesi siano difficili in qualunque lavoro. Per ovviare a questa subdola insicurezza lui ci diceva “semplicemente” di comportarci “come se” fossimo già il venditore di successo che volevamo diventare.

Ci ho messo un bel po’ per capire l’importanza di questo insegnamento, ma devo dire che quando ho cominciato ad applicarlo le opportunità, le vendite e gli appuntamenti si sono magicamente moltiplicati.

Nell'immagine alcune persone scrivono su una lavagna trasparente - Smart Marketing
Image by rawpixel.com on Freepik.

Insomma il credere in se stessi, quando ancora nessuno ci crede, è un atto di fede e coraggio necessario che appunto crea effetti miracolosi e finisce per influenzare la realtà della nostra condizione professionale, un concetto che, sono sicuro, qualunque esperto di personal branding sposerebbe ed applicherebbe, anche oggi.

Il secondo riguardava l’importanza dell’abito per i venditori: dobbiamo considerare che eravamo negli anni ‘90 e che la mentalità e anche il dress code di lavoro erano diversi, ma io ho potuto sperimentare l’importanza inconscia che l’abito riveste su chi lo indossa.

Mi spiego meglio, una delle cose più importanti e più difficili da far capire ai venditori, me compreso, era che la cosa fondamentale da ottenere dal cliente non era l’acquisto del nostro prodotto, ma che il potenziale cliente ci fornisse almeno 10 nominativi di suoi amici o parenti con i quali organizzare altri appuntamenti.
Io ero un buon venditore, ma sono stato, soprattutto all’inizio, un pessimo raccoglitore di nominativi.

Scopri il nuovo numero: “W il Personal Branding”

Chi è riuscito a costruire nel tempo (ed a mantenere) un ottimo brand personale, ha davanti a sé molteplici possibilità. Il lavoro lo attrae e non lo cerca. Questa è la figata del personal branding.

Ma veniamo al punto: gran parte degli appuntamenti di vendita, noi li chiamavamo consulenze, venivano fissati per telefono e principalmente di mattina o nei fine settimana, quando a casa, in tuta o peggio in pigiama, facevamo le telefonate per stabilirli. Il consiglio del giusto abito era proprio per questi particolari momenti, Roberto Vangelista ci diceva che se avessimo messo giacca e cravatta ed avessimo fissato quegli appuntamenti avremmo avuto risultati migliori.

Lo so che può sembrare strano, perchè a casa e per telefono il potenziale cliente non poteva vederci, e non so perchè funzionasse, ma io ho visto aumentare più del doppio la mia capacità di fissare appuntamenti telefonici solamente vestendomi come se stessi lavorando. 

Nell'immagine un ragazzo in cravatta telefona e lavora al computer - Smart Marketing
Foto di MART PRODUCTION da Pexels.

Togliermi il pigiama per fare le telefonate da casa, non so come, mi fece diventare più incisivo e professionale e mi permise di riempire la mia agenda di appuntamenti di lavoro.

Furono questi i primi e forse più importanti insegnamenti di Personal Branding che io abbia mai appreso e messo in pratica, ottenendo quei risultati “magici” che solo l’azione riesce a conferire alla teoria.

Lo so, sono andato un po’ lungo, ma voi affezionati lettori di Smart Marketing perdonerete questo direttore 50enne che comincia a riscoprire la nostalgia dei ricordi, ancora di più oggi che con questo numero, che vi apprestate a leggere, il nostro magazine festeggia i 10 anni di pubblicazioni.

Un traguardo importante, al quale hanno contribuito tutti i nostri collaboratori, tutti voi lettori, tutti i partner che ci hanno dato fiducia, il mio socio ed amico Ivan Zorico e, forse, anche quel ragazzo in giacca e cravatta che 25 anni fa fissava gli appuntamenti al telefono e si comportava “come se” fosse già un venditore di successo.

Buona lettura e buon personal branding a tutti!
Raffaello Castellano

 

 

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Travel Marketing – L’editoriale di Ivan Zorico

Con la cucina, in Italia, non si scherza. Se parlando dell’amatriciana nomini la pancetta e non il guanciale tra gli ingredienti, probabilmente verrai subito ripreso o troverai qualcuno che, più o meno bonariamente, ti darà dell’ignorante. La cucina per noi italiani ha a che fare con la nostra identità.

Con il calcio, in Italia, non si scherza. Basta questa frase di Winston Churchill “Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio” per inquadrare la rilevanza che questo sport ha nel nostro Paese e l’animosità che, effettivamente, scatena ogni singola partita, ogni singolo provvedimento arbitrale controverso. Siamo tutti allenatori e opinionisti da bar.

Con il marketing e con il turismo, in Italia, non si scherza. Ecco questa è nuova, almeno per me. Il marketing ha sì avuto negli ultimi anni molta visibilità, ma tutto sommato resta un affare da addetti ai lavori e che scalda poco i cuori. Magari mi sbaglio, ma a mia memoria il turismo non è mai stato un tema divisivo in grado di spaccare l’opinione pubblica. Eppure, date queste premesse, qualcosa di altro è successo in questi giorni. La campagna promozionale lanciata dal Ministero del Turismo, e firmata dalla società Armando Testa, con la Venere di Botticelli diventata virtual influencer, ha in brevissimo tempo scatenato polemiche, commenti e discussioni sui social e non solo, travalicando anche i confini nazionali.

Difficile non essersi imbattuti in un post, in una conversazione, in un articolo, in una trasmissione televisiva che non parlasse di questa campagna. Toni accessi ed ironici, condivisioni e migliaia di commenti su una campagna promozionale che, seppur presenta diverse perplessità, resta pur sempre una campagna promozionale. Ma, evidentemente, non è così. E’ riuscita a toccare corde più vicine ai primi due casi citati (cucina, italianità e calcio), oltre a quelle di chi si occupa della materia.

Scopri il nuovo numero: “Travel Marketing”

Mai come in questo periodo, per via della campagna “Open to Meraviglia”, si sente parlare di marketing e turismo. E, quest’ultimo, è certamente uno di quei settori che ha maggiormente subito gli effetti della pandemia e che rappresenta un asset molto importante per il nostro Paese.

Nell’era della polarizzazione è ormai diventato (purtroppo) normale vedere questa tipologia di reazioni. Quando l’onda sale è difficile restarne fuori. Tutti ci sentiamo in diritto/dovere di partecipare (anche solo per non sentirci esclusi) e ad ogni passaggio la marea monta diventando sempre più incontrollabile. Per carità, i social sono sinonimo di condivisione ed è giusto commentare. Personalmente tifo sempre per una comunicazione gentile e, in generale, quando vedo nascere queste tipologie di situazioni non sono mai troppo contento. Un caso recente, analogo e diverso allo stesso tempo, l’abbiamo potuto osservare con la performance di Blanco a Sanremo. Gestire queste situazioni non è mai facile: ci vuole preparazione, competenza e conoscenza dei processi comunicativi. E più la marea è alta e più bisogna saperla maneggiare con consapevolezza. Vedremo come andrà a finire. Probabilmente ne sentiremo ancora parlare. A naso, più male che bene.

IL NUOVO NUMERO DI SMART MARKETING: TRAVEL MARKETING

Di marketing e turismo parleremo a nostro modo in questo nuovo nuovo numero di Smart Marketing.

Un numero che vuole anticipare un po’ i trend che vedremo nei prossimi mesi, capire che azioni di marketing possono essere messe in campo per farsi scegliere dai turisti e che vuole raccontare come sono cambiati gli usi e costumi di chi si appresta a compiere un viaggio.

Il turismo è certamente uno di quei settori che ha maggiormente subito gli effetti della pandemia e che rappresenta un asset molto importante per il nostro Paese. Di cose da fare ce ne sarebbero molte. Certo, promuovere la nostra immagine all’estero è un punto di partenza. Nel bene e nel male. Ma la domanda che secondo me bisogna farsi è: quanto poi siamo davvero accoglienti – open to – una volta che le persone le abbiamo fatte arrivare qui? Quanto i siti web degli enti locali sono realmente aggiornati e danno risposte puntuali (e in multilingua) ai visitatori in cerca di informazioni? Quanto anche solo le semplici indicazioni stradali sono sempre esaustive? Quanto davvero abbiamo un sistema integrato capace di fare vivere l’esperienza Italia ai turisti? Forse è anche su tutto questo che dovremmo confrontarci per crescere come Paese.

Buona lettura,

Ivan Zorico

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Travel Marketing – L’editoriale di Raffaello Castellano

Raffaello Castellano direttore responsabile Smart MarketingDiciamolo subito: questo numero di Smart Marketing non poteva uscire in un momento migliore per almeno due motivi chiave, uno strategicamente pianificato, l’altro fortunosamente capitato:

Il primo è dovuto al periodo Aprile, con i ponti e le festività di Pasqua, Pasquetta, 25 Aprile e 1° maggio, che rappresenta il mese ideale nel quale le temperature più o meno miti ci invitano ad uscire e viaggiare e dove il comparto del turismo comincia a testare strutture, ricettività e numeri, in vista delle vacanze estive vere e proprie.

Questo è il motivo che abbiamo strategicamente pianificato.

Il secondo è dovuto al polverone mediatico legato alla campagna “Open to Meraviglia”, presentata da poco più di 10 giorni dal Ministero del Turismo retto da Daniela Santanchè e realizzata dalla nota Agenzia Armando Testa.

Questo è il motivo che è fortunosamente capitato.

Se sul primo motivo c’è poco da aggiungere che non sia stato spiegato nelle due righe di sopra e che è approfondito dai vari contributi dei nostri collaboratori, sul secondo ci sarebbe, probabilmente,  da realizzare un numero di Smart Marketing ad hoc: mai, a mia memoria, era successo un qualcosa di paragonabile a questa faccenda.

Ma andiamo con ordine: tutto comincia, come gran parte delle cose che ci succedono nella nostra vita, sui social: la campagna Open to Meraviglia viene messa sotto i riflettori del popolo dei social appena pubblicata, e subito vengono rilevati alcuni errori tecnici macroscopici, fra cui i più madornali sono la mancata registrazione del dominio del claim, le immagini stock, il video di presentazione con alcune location non italiane e le immagini della campagna scambiate via whatsapp e non opportunamente rinominate.

Nell'immagine una ragazza si fa un selfie a Venezia - Smart Marketing
Foto di teksomolika da Freepik.

Il polverone mediatico si lega anche a giudizi estetici, opinabili, sulla scelta della Venere del Botticelli, trasformata in virtual influencer, come testimonial della campagna e sulla pubblicazione dei costi dell’intera operazione che, almeno inizialmente, si aggiravano sui 9 milioni di euro, poi drasticamente ridimensionati a 138 mila euro per la sola operazione creativa, mentre i restanti 8.9 milioni, si scoprirà, saranno necessari per la diffusione nei 33 mercati chiave individuati dal Ministero del Turismo.

Ma il polverone mediatico si è assai in fretta trasformato in una shitstorm che è sempre e comunque una cosa sbagliata.

In questo caso doppiamente sbagliata, in quanto anche questa volta abbiamo fatto ridere il mondo, non solo per i risultati della nostra creatività e la modesta riuscita della campagna in sé, ma anche perché per l’ennesima volta abbiamo dimostrato quanto siamo divisi su tutto ciò che ci riguarda; anche questa volta abbiamo dimostrato la nostra mancanza di coesione, come comunità, come popolo e come nazione.

Attenzione, la critica è sacrosanta e costituzionalmente sancita, ma prima di sparare a zero su tutto e tutti, forse dovremmo fermarci un attimo e riflettere se questo comportamento ci possa poi giovare, sia in casa che all’estero.

Nell'immagine di copertina di Smart Marketing, una ragazza si scatta un selfie a Venezia
La Copertina d’Artista “Travel Marketing” dell’Aprile 2023.

Il turismo, come tanti altri comparti produttivi, riuscirà a fare il grande salto di qualità ed evolvere solo se riuscirà a fare “sistema” e, volenti o nolenti, questo dipenderà anche e soprattutto dall’immagine che diamo e vogliamo dare di noi all’estero, sia nella buona che nella cattiva sorte.

Forse il Ministero del Turismo doveva gestire meglio la crisi ed ammettere i propri sbagli, forse l’agenzia Armando Testa doveva essere meno spocchiosa ed ammettere almeno gli errori tecnici piuttosto che pubblicare una compiaciuta lettera sui quotidiani, ma forse anche noi, leoni da tastiera, avremmo dovuto riflettere un secondo in più prima di pubblicare i nostri commenti al vetriolo.

Scopri il nuovo numero: “Travel Marketing”

Mai come in questo periodo, per via della campagna “Open to Meraviglia”, si sente parlare di marketing e turismo. E, quest’ultimo, è certamente uno di quei settori che ha maggiormente subito gli effetti della pandemia e che rappresenta un asset molto importante per il nostro Paese.

Perchè, alla fine, il Governo, il Ministero del Turismo, l’agenzia Armando Testa, la Venere del Botticelli e anche questa controversa campagna Open to Meraviglia sono tanti pezzetti della nostra Italia, della nostra identità, della nostra cultura e forse, dico forse, dovremmo provare un po’ più di amore per tutti quei pezzi, sia belli che brutti, che compongono il nostro “essere italiani”. 

Essere cittadini maturi, integrati e coscienziosi significa sia denunciare ed ammettere gli sbagli, sia anche evitare di autoinfliggersi punizioni come faceva il mitico Tafazzi, il personaggio interpretato da Giacomo Poretti in tanti sketch, che però era masochista e quindi, psicologicamente, ricercava il piacere attraverso il dolore; noi, anche in questa occasione, siamo stati solo autolesionisti.

Buona lettura e buoni viaggi a tutti.

Raffaello Castellano
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Obiettivo Lavoro – L’editoriale di Ivan Zorico

Cosa ci si aspetta da un editoriale?

Da un editoriale ci si aspetta un indirizzo, una linea, un punto di vista specifico. Sono articoli che partono da una posizione, la sviluppano in maniera più o meno lineare a seconda dello stile dell’autore, e giungono infine ad una conclusione che esprime una tesi.

E cosa ci si aspetta da un editoriale intitolato “Obiettivo lavoro”?

Lo stesso. Da un editoriale dedicato al lavoro ci si aspetta di trovare un tema, che venga messo sotto una lente di ingrandimento ed in chiusura che tutto si ricongiunga sotto forma di un significato da lasciare al lettore.

Quindi, tu che stai leggendo questo editoriale (e ti ringrazio molto per questo!) presumibilmente, se non certamente, ti aspetti quanto detto sinora: una prospettiva chiara e netta sul lavoro. E lo fai a ragion veduta. Infatti, ho già scritto di lavoro in queste pagine digitali: l’ho fatto nel 2020 con Just Working, parlando dell’essenzialità del lavoro; nel 2021 con Holiday working, la nuova tendenza che vede il lavoro andare oltre le etichette del remote, dello smart o del south working, per incontrare un nuovo modo di pensare il lavoro stesso (e la vita), di cui abbiamo anche recentemente parlato in una delle nostre live di “Incontri ravvicinati” con Davide Fiz ed il suo progetto “Smart walking”; o, ancora, nel 2022 con Le Grandi Dimissioni, facendo il punto su un fenomeno che, a distanza di anni, non smette di avanzare.

Questa volta, però, dovrò “deluderti”. In questo editoriale, non ho una tesi chiara e precisa da condividere con te. La verità è che se mi chiedi di argomentare qualcosa sul mondo del lavoro come se fosse una domanda a piacere, per onestà, ti devo rispondere che non lo so.

Scopri il nuovo numero: “Obiettivo Lavoro”

Tanti sono i significati che una parola come “lavoro” porta con sé. E tante sono le dinamiche e le aspettative che possiamo trovare dietro al lavoro. E oggi, forse come mai prima di adesso, ognuno dà al lavoro un’accezione diversa ed unica.

Non lo so, non perché non abbia una mia visione (gli altri editoriali parlano per me), ma perché, pensandoci, tanti sono i significati che una parola come “lavoro” porta con sé.  Non lo so perché tante sono le dinamiche e le aspettative che possiamo trovare dietro al lavoro. E non lo so perché, oggi, forse come mai prima di adesso, ognuno dà al lavoro un’accezione diversa ed esclusiva.

Per cui per un numero come “Obiettivo Lavoro” non mi andava di dare una definizione sola. Se l’avessi fatto ne avrei limitato il potenziale. Avrei necessariamente dovuto tener fuori qualcosa. E questo non mi andava. Per dirla meglio, non mi sembrava giusto.

Il lavoro non è qualcosa di definito perché non esiste il lavoro in sé. Esiste il lavoro in relazione alla persona che lo svolge, aspetto che dovremmo sempre tener presente. E se il lavoro esiste solo in questo senso, non possiamo imbrigliarlo in categorie prestabilite perché ogni persona è diversa, con un suo vissuto, con le sue esperienze, con la sua storia.

Questa impostazione sta venendo fuori chiaramente in questo periodo: se prima la sola componente economica era la leva per la quale un’azienda era scelta da un candidato, oggi le persone cercano (anche) dell’altro. Ogni persona esprime istanze diverse. C’è chi vuole maggiore flessibilità, c’è chi ricerca uno scopo, c’è chi vuole far combaciare i propri valori con quelli aziendali, e così via.

Insomma, il lavoro è tante cose, ma non tutto. E anche questo è un messaggio non così scontato. La pandemia ci ha tolto tanto, tantissimo, ma ci ha dato anche delle nuove consapevolezze. Una di queste che la vita è una ed una sola. E che il lavoro ne fa parte e non la sostituisce.

Certo, mi dirai che ci sono persone per cui il lavoro è tutto. E ti do ragione. Ampiamente pure. E questo conferma la mia scelta di non dare un indirizzo preciso a questo editoriale. Avrei tenuto fuori qualcuno o qualcosa. E, come detto, non sarebbe stato giusto.

Buona lettura,

Ivan Zorico

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Obiettivo Lavoro – L’editoriale di Raffaello Castellano

Raffaello Castellano direttore responsabile Smart MarketingIl lavoro è al centro dei nostri pensieri, della discussione politica ed è la questione sociale più importante di questo periodo.

Dopo i due anni e mezzo di Covid, che hanno messo in profonda discussione le nostre priorità, ci siamo divisi, grossomodo, in due grandi categorie:

Da una parte abbiamo chi un lavoro ce l’ha e spesso si licenzia perché è alla ricerca di un migliore work life balance, e da qui fenomeni come le Grandi Dimissioni e i quiet quitting.

Dall’altra chi un lavoro lo cerca da mesi, se non anni, ed è pronto ad accettare qualsiasi compromesso, e da qui nascono fenomeni come lo sfruttamento ed il lavoro nero.

In mezzo a questi due estremi ci sono un’infinità di variazioni sul tema: una popolazione di lavoratori atipici, pendolari estremi, nomadi digitali, part time fittizi da 50 ore settimanali, lavoratori mobbizzati, minacciati e ricattati a vario titolo.

Ma la domanda nasce spontanea: cosa è cambiato durante i due anni e passa di Covid che ha fatto sì che il lavoro e i lavoratori si dividessero in questi due grandi schieramenti così radicalizzati e contrapposti?

Il tutto parte da molto più lontano del Covid: per almeno 50 anni l’economia capitalista ci ha illusi che dopo aver studiato e conseguito un buon diploma, o meglio ancora una laurea, avremmo potuto, dopo un po’ di gavetta, entrare in un’azienda dove saremmo rimasti per tutta la vita e che ci avrebbe consentito di mettere su famiglia e magari accendere un mutuo per comprare una casa.

Ma la società “democraticamente meritocratica” nella quale viviamo non ha mantenuto le promesse che ci aveva fatto: perfino il merito, come ha scritto molto bene il filosofo Michael J. Sandel nel suo saggio “La tirannia del merito. Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti”, si è dimostrato un altro strumento di divisione sociale, perfino più subdolo dell’aristocrazia, perché ci dà l’illusione che il futuro ed il successo siano “esclusivamente” nelle nostre mani.

Ai perdenti della meritocrazia, ci dice Sandel, si aggiunge il danno alla beffa: non sono stati in grado di emergere e la colpa è tutta loro.

Nell'immagine un momento di formazione in un'azienda moderna ed innovativa - Smart Marketing
Foto di Austin Distel da Unsplash.

Ripensare il lavoro, dalle fondamenta, dai suoi assunti principali, conciliando i suoi tempi e i suoi ritmi con quelli della vita privata dei lavoratori, ridefinendo i luoghi e gli spazi di lavoro, migliorare la formazione continua e l’aggiornamento delle competenze verticali e trasversali, sono solo alcuni degli argomenti che vanno affrontati da tutti gli attori coinvolti, siano essi dipendenti, datori di lavoro, manager, istituzioni o politici, affinché questa rivoluzione copernicana del lavoro, in atto da almeno 30 anni, non ci colga “di sorpresa” come al solito.

Noi di Smart Marketing ci stiamo dedicando da più di un mese a questi argomenti attraverso il nostro format di “Incontri ravvicinati” che da fine febbraio stiamo dedicando al macrotema “Obiettivo Lavoro”, lo stesso titolo e tema che abbiamo deciso di affrontare nell’ultimo numero del nostro magazine che state appunto leggendo.

Scopri il nuovo numero: “Obiettivo Lavoro”

Tanti sono i significati che una parola come “lavoro” porta con sé. E tante sono le dinamiche e le aspettative che possiamo trovare dietro al lavoro. E oggi, forse come mai prima di adesso, ognuno dà al lavoro un’accezione diversa ed unica.

Fino ad ora abbiamo affrontato tematiche come lo smart working e il nomadismo digitale con Davide Fiz (27 Febbraio), le risorse umane con Nicoletta Vadalà (20 Marzo) e i nuovi modelli di leadership con Leonardo Dri (27 Marzo), tutti professionisti affermati e riconosciuti del loro settore grazie ai quali abbiamo impugnato un binocolo per cercare di vedere il lavoro che verrà. Il nostro Obiettivo Lavoro continuerà dopo le pagine di questo numero del magazine con altre puntate di “Incontri ravvicinati”; come al solito fateci sapere se gli argomenti che stiamo trattando vi piacciono e proponetecene altri legati a questo importante tema.

Vi lascio come d’abitudine con una citazione, questa volta ho trovato quella giusta nella saggezza della filosofia greca, ricordiamoci quello che diceva il grande Aristotele:

“Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero.”

Buona lettura e buon lavoro a tutti.

Raffaello Castellano

 

 

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Questione di Bias – L’editoriale di Raffaello Castellano

Raffaello Castellano direttore responsabile Smart MarketingBias, pregiudizi, euristiche, trappole mentali: a questi argomenti che, si badi bene, non sono sinonimi, è dedicato questo numero di Smart Marketing, e dovendo decidere come introdurlo scrivendo questo editoriale mi è venuto in mente un episodio di vita vissuta che credo spieghi bene in che maniera agiscano i Bias.

Era, più o meno, la metà del 1994 quando intrapresi la professione del venditore per un’azienda di Padova che vendeva un innovativo (per l’epoca) aspirapolvere e depuratore d’aria con filtro ad acqua chiamato “Hydra”.

Ma non era solo il prodotto quello che rendeva forte questa azienda, ma un piano marketing e una formazione del personale davvero di prim’ordine.

L’Hydra si vendeva a domicilio, fissando un appuntamento telefonico con il potenziale cliente, al quale si proponeva una consulenza sull’inquinamento indoor di circa un’oretta, dopo la quale si proponeva il nostro prodotto come soluzione.

La consulenza era strutturata in spiegazioni con l’ausilio di un raccoglitore ad anelli (altri tempi) che conteneva immagini ed articoli di giornale, nella visione di un VHS con un breve documentario sull’inquinamento di 10 minuti tratto da una puntata di Quark e in alcune dimostrazioni pratiche di inquinamento indoor attraverso la raccolta di polvere e fumi in diverse parti della casa del cliente.

Fra le varie immagini che si utilizzavano per spiegare cosa portavamo nelle nostre case sotto le suole delle scarpe ce n’era una particolarmente forte che mostrava vari animali investiti sull’asfalto. Quell’immagine, che contribuiva non poco a incrementare le vendite se mostrata nel modo e al momento giusto, impressionò anche noi venditori, e ricordo distintamente che da quando cominciammo ad usarla nelle consulenze la mia percezione degli animali morti investiti sulle strade aumentò a dismisura.

Vedevo animali spiaccicati dappertutto, sotto casa, andando in ufficio, sulle strade provinciali, in autostrada, sulla strada che conduceva a casa mia e alle case dei clienti, e non solo in macchina ma anche a piedi; insomma, in quel periodo mi resi conto che con le nostre auto noi umani eravamo artefici di una vera ecatombe di animali.

Nell'immagine la Copertina d'Artista del n° 106 del Febbraio 2023 di Smart Marketing dicato al tema dei Bias

Per dirla parafrasando un famoso film: vedevo animali morti ovunque!

Ovviamente non era così, questa storia, credo, illustri perfettamente uno dei bias più subdoli e diffusi, l’Illusione della frequenza, ossia quel bias che ci fa sovrastimare la reale frequenza delle informazioni che ci riguardano e che ci interessano in un dato momento.

Pensate a quando avete comprato l’ultima automobile: quanti di voi vedevano quel particolare modello con maggior assiduità?

A cambiare, ovviamente, è l’attenzione che noi poniamo a quello che in questo momento ci interessa e quindi cominciamo “improvvisamente” a vederlo con sempre maggior frequenza.

Scopri il nuovo numero: “Questione di Bias”

Ogni giorno prendiamo migliaia di decisioni e non sempre abbiamo il tempo necessario per raccogliere tutte le informazioni necessarie per prendere la migliore decisione possibile. Proprio per sopravvivere a queste situazioni, facciamo involontariamente ricorso ai pregiudizi – ai bias – che intervengono nelle nostre scelte decisionali molto più spesso di quanto pensiamo.

Ma adesso torniamo alle differenze fra i vari termini che ho usato in apertura di questo editoriale.

La parola euristica deriva dal greco e il suo significato letterale è scoprire, trovare. Le euristiche sono delle scorciatoie mentali che ci consentono di scegliere, molto velocemente, la migliore soluzione possibile con il minimo sforzo e rappresentano un atteggiamento ancestrale del nostro cervello, uno stimolo ad agire velocemente di fronte alle situazioni di pericolo che ci ha permesso di sopravvivere in epoche in cui decidere in fretta faceva la differenza tra vivere o morire.

La parola bias viene dal francese biais che significa obliquo.  Oggi la parola bias è utilizzata spesso come sinonimo di pregiudizio, ma c’è da dire che non tutti i pregiudizi sono bias.

Anche i bias sono delle euristiche, ma definiscono quelle inclinazioni errate della mente  che portano a decisioni sbagliate.

Il termine pregiudizio, come ci ricorda Wikipedia, deriva dal latino prae, “prima” e iudicium, “giudizio” e può assumere diversi significati, tutti in qualche modo collegati alla nozione di preconcetto o “giudizio prematuro”, ossia basato su argomenti pregressi e/o su una loro indiretta o generica conoscenza.

Infine per trappole mentali possiamo intendere una sorta di macro categoria nella quale ricadono tutti e tre i precedenti concetti.

Nell'immagine un'ombra sinistra tira i fili di un gruppo di persone in un ufficio - Smart Marketing
Image by Freepik.

Insomma, tutte queste trappole mentali, che siano euristiche, bias o pregiudizi, sono meccanismi automatici ed innati che il nostro cervello utilizza per affrontare “velocemente” le oltre 35.000 decisioni quotidiane che siamo chiamati a prendere.

Capire l’utilità e la pericolosità di questi meccanismi cognitivi automatici può aiutarci a migliorare la qualità delle nostre decisioni e a difenderci da quei bias utilizzati dal marketing per influenzare le nostre scelte, non solo di acquisto.

Come ha scritto Raffaele Gaito, che ai Bias ha dedicato un agile ed interessante manuale, “Guida ai bias cognitivi”(lo trovate su Amazon in formato ebook a 0,99 centesimi): “Non credete ad ogni cosa che pensate”.

E se non dovesse bastare e siete ancora dubbiosi, allora vi propongo una citazione dello psicologo israeliano Daniel Kahneman, vincitore, insieme a Vernon Smith, del Premio Nobel per l’economia nel 2002 per i suoi studi sulla finanza comportamentale, che nel suo celebre e citatissimo saggio “Pensieri lenti e veloci” scrive:

“Molte persone sono troppo sicure delle loro intuizioni e tendono a riporre in esse troppa fiducia.”

Quindi, per finire, se volete scoprire qualcosa di più su bias, euristiche e pregiudizi, leggete il nostro ultimo numero, e se volete approfondire ulteriormente continuate con i due libri che ho citato.

Buona lettura.

Raffaello Castellano
 
 
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Il Futuro è aperto 2023 – L’editoriale di Raffaello Castellano

Raffaello Castellano direttore responsabile Smart MarketingQuello di inizio anno è un numero molto importante e particolare per Smart Marketing e anche per chi vi scrive.

È importante perché sappiamo che il primo mese dell’anno è sempre quello dei buoni propositi, a tutti noi piace un sacco progettare e pianificare in questo periodo dell’anno una serie di buone pratiche, azioni e nuove abitudini che ci facciano diventare una versione migliore, una versione 3.0, di noi stessi e in cuor nostro lo sappiamo – senza che ce lo dica alcun guru – che se nelle nostre routine (leggi vite) non inseriamo alcun elemento di novità non otterremo mai risultati diversi da quelli che abbiamo conseguito fino ad ora.

È particolare perchè i fermenti in seno alla società italiana e internazionale sono davvero tanti. Dalla guerra in Ucraina che si protrae da oltre 11 mesi, alla crisi energetica che rischia di farci passare male questo inverno e malissimo il prossimo, dall’onnipresente crisi climatica che nel 2022, ed ancor di più in questo anno, sembra sia arrivata a chiederci il conto delle nostre malefatte alla rivoluzione delle AI generative, trainate dal successo clamoroso, e un po’ inquietante, di ChatGPT 3, che, come un tecno oracolo, ci preannuncia che quest’anno, e il prossimo decennio, vedremo le Intelligenze Artificiali raggiungere traguardi inimmaginabili.

La parola d’ordine sembra essere, “anche” in questo inizio anno, CAMBIAMENTO!

Il cambiamento, di qualunque grado sia, anche di una sola abitudine, è non solo necessario per migliorarsi, ma anche auspicabile e naturale, ma lo sappiamo che una cosa è leggere, ascoltare le esperienze delle persone che cambiano lavoro, abitudini, casa, città e addirittura nazioni di residenza, ben altra cosa è provare a replicare nelle nostre vite questi cambiamenti.

L’incertezza, il nuovo, l’ignoto ci spaventano e seppure, dopo aver letto i libri e le vite di Anthony Robbins, Marco Montemagno o Steve Jobs, abbiamo la voglia e il desiderio di cominciare a cambiare qualcosa anche nelle nostre vite, tempo una settimana, massimo un mese e spesso questa onda di entusiasmo si affievolisce e si infrange contro gli scogli delle nostre granitiche abitudini e sulle coste delle nostre consolidate routine .

Scopri il nuovo numero: “Il Futuro è aperto 2023”

Il futuro è aperto per chi sa vivere il presente e per chi decide chi essere non nei prossimi 5 anni, ma nei prossimi 5 minuti.

Pensateci, spesso è difficile cambiare anche una cosa semplice come la strada che percorriamo, a piedi o in macchina, per recarci a lavoro. Come formiche guidate da una scia di feromoni, facciamo sempre i soliti tragitti, raccontandoci la scusa che è la strada meno trafficata. più veloce e più sicura, ma cosa ci perdiamo della nostra città se in quel tragitto di 1 o 10 km percorriamo sempre la stessa via? 

Perdersi fa davvero così paura?
Perdersi è veramente così pericoloso?

Magari, percorrendo un nuovo sentiero, potremmo scoprire un nuovo locale che non conoscevamo, o un negozio di abbigliamento fatto apposta per noi o una piccola ma interessante libreria di cui ignoravamo l’esistenza. E tutto questo lo otterremmo solo cambiando di uno o due isolati la strada che percorriamo ogni giorno magari da 5, 10 o 20 anni.

Pensate che cosa potrebbero fare e che opportunità schiudersi con cambiamenti più radicali, come iscriversi in una palestra, frequentare un nuovo corso di formazione, cambiare lavoro, casa o città di residenza.

Anche per me questo 2023 sarà un anno di piccoli e grandi cambiamenti, alcune scadenze, ahimè qualche volta di più procrastinate, insieme ad alcuni progetti ed esperienze giunti alla naturale conclusione, sono ormai arrivate e stanno bussando alla mia porta ed è molto probabile che in questo 2023, giunto all’età di 50 anni, debba cambiare “uno” dei miei lavori e forse anche abitazione di residenza.

Queste tre immagini sono state realizzate dalla AI Dream di WOMBO, alla quale ho chiesto di interpretare artisticamente il tema di questo numero “Il Futuro è aperto”.

I prompt utilizzati sono stati: future, human, the future is open, change, life.

Lo stile: HDR

Non lo so se sono pronto, e a dirla tutta sono anche molto preoccupato, per non dire spaventato, ma sono oramai giunto ad un bivio nevralgico per la mia carriera e per la mia vita in generale, ed arrivo a questo appuntamento alla soglia dei 50 anni (che compirò il 4 aprile), un’età nella quale è impossibile non fare un bilancio della propria esistenza; indietro, comunque, non si torna e, volente o nolente, dovrò affrontare anche queste sfide.

Cosa succederà?

Chi può saperlo, dipenderà da molti fattori, ma due consapevolezze, sono sicuro, mi confronteranno e sosterranno: la prima è che, come recita il titolo del nostro magazine ripreso dal titolo di un libro del filosofo della scienza Karl Popper e dell’etologo Konrad Lorenz, “il futuro è aperto”, la seconda è che, comunque andranno le cose, come dice il mio poeta preferito Rainer Maria Rilke, “la vita avrà ragione, in ogni caso”.

Vi auguro buona lettura, lunga vita e grandi cambiamenti a tutti voi!

Raffaello Castellano

 

 

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