Battiato: addio ad “un essere speciale”

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È morto oggi, all’età di 76 anni, nella sua casa di Milo, alle pendici dell’Etna, il maestro Franco Battiato, artista poliedrico, compositore, cantautore, musicista e regista.

Malato da tempo, aveva smesso di esibirsi e comporre qualche anno fa, lasciando un enorme vuoto nel panorama artistico italiano, vuoto che fino all’ultimo credevamo sarebbe stato colmato da un suo ritorno sulle scene.

Forse tra le note delle sue canzoni, tra gli scritti dei testi o tra le immagini dei suoi dipinti o di un suo film c’è l’antidoto all’immenso dolore per la grave e prematura scomparsa del maestro Battiato, forse, come tante altre volte, la sua musica può essere consolazione e speranza, ma oggi, per me e per tutti i suoi fan, è il giorno del cordoglio, del ricordo e della perdita, e non potrebbe essere altrimenti, quando a lasciarci non è un cantautore qualunque.franco-battiato-1080x675

Molti non lo capivano perché troppo sofisticato, troppo filosofico, moltissimi lo amavano e veneravano al pari di un dio, forse la sua non era solo musica, forse era una vera e propria religione, una corrente di pensiero o una filosofia di vita fatta di rock progressive e suoni sperimentali, della semplicità della musica popolare e della complessità della musica colta con echi a teorie quantistiche, meditazione e teoretica.

Difficile sintetizzare la sua immensa carriera, costellata da grandissimi successi discografici e sperimentazione d’avanguardia, quasi impossibile raccontare l’uomo, tanto schivo e riservato quanto maledettamente aperto e schietto; posso solo limitarmi a raccontare il “mio” Battiato, il padre, l’amico, il fratello, la guida che oggi non c’è più su questa terra ma che vivrà in eterno insieme alla sua musica.

Non ho mai avuto il piacere di incontrarlo personalmente, ma ho assistito a molti suoi concerti, la sua musica è sempre stata presenza costante della mia vita, tante volte unico sostegno nei momenti difficili.

Mi ha insegnato l’amore, la bellezza, la spiritualità, mi ha insegnato a guardare oltre, a non fermarmi alle apparenze, a non conformarmi, ma anche e soprattutto a guardarmi dentro, ad osservare me stessa, come il mondo, sempre con occhi diversi.

Di lui ho sempre amato quella sorta di inquietudine, quell’irrequietezza che lo portava a sperimentare, a cercare sempre il nuovo in incessante e continua evoluzione, il suo essere costantemente avanti, talmente tanto avanti da essere completamente atemporale, quel dire tutto pur senza voler dire niente, non impartire nessun tipo di indottrinamento pur lasciando grandissimi insegnamenti sul mondo e sull’universo.

Basta prendere una qualsiasi opera del suo vastissimo repertorio musicale, dagli anni ’70 ad oggi, ed ascoltarla per rendersi conto di quanto sia attuale, anche se completamente decontestualizzata dal momento in cui è stata composta: è questa la grandezza dell’opera di un artista, la sua universalità.

Non importa conoscere la storia di un brano, quando, come e perché lo si abbia composto, non importa quanto si sia colti o acculturati, la musica di Battiato arriva a tutti, in ogni tempo ed in ogni dove, toccando corde dell’anima tanto diverse come diverso è chi la ascolta.

Spesso, quando si parla di Battiato si fa cenno alla sua musica colta, ai tantissimi riferimenti a citazioni letterarie e culturali, al sodalizio con figure come il filosofo Manlio Sgalambro, il cantautore Juri Camisasca, o il violinista Giusto Pio, con i quali ha creato intramontabili capolavori, ma esiste un Battiato molto più pop e più leggero, capace di creare hit come “Un’estate al mare” insieme a Giuni Russo.

Impossibile stilare una classifica dei brani più belli, forse si potrebbero raccontare i più famosi, ma l’evidenza è che la sua musica, spesso fuori dagli schemi della decodificata canzone, resterà nell’immaginario collettivo di alcune generazioni insieme ad album come “La voce del padrone”, e brani come “Centro di gravità permanente” e “La Cura”.

Franco Battiato sicuramente verrà ricordato come eclettico ed eccentrico pioniere della musica d’avanguardia, ma rivoluzionò persino la più classica canzone italiana, dandole connotati più internazionali e significati più profondi.

A dimostrazione dell’universalità della sua musica, il fatto che fosse amato molto anche all’estero e gli innumerevoli cover, omaggi e citazioni riferite alle sue canzoni.

Impossibile, poi, non aver mai ascoltato, anche per sbaglio, una sua canzone e non esserne rimasti rapiti, ecco perché oggi la perdita è grande ed il dolore è collettivo.

Ascoltando la sua musica, si aveva l’impressione di far parte, ognuno a suo modo, di un “tutto”, quell’universo profondo al quale affermava di appartenere ed al quale, siamo tutti sicuri, è ritornato.

Del resto, ce lo aveva anticipato nel suo ultimo capolavoro “Torneremo ancora”: “La vita non finisce – È come il sogno – La nascita è come il risveglio – Finché non saremo liberi Torneremo ancora – Ancora e ancora”.

Così, ci piace pensare che si sia perso in una delle tante “Vite Parallele” che amava cantare e che ci canti ancora:

Mi farò strada tra cento miliardi di stelle

la mia anima le attraverserà

e su una di esse vivrà eterna.

Vi sono dicono cento miliardi di galassie

tocco l’infinito con le mani

aggiungo stella a stella

sbucherò da qualche parte,

sono sicuro, vivremo per l’eternità.

 

 

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