25 Anni senza Massimo Troisi

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A Massimo Troisi

Non so cosa teneva “dint’a capa”,
intelligente, generoso, scaltro, 
per lui non vale il detto che è del Papa, 
morto un Troisi non se ne fa un altro.

Morto Troisi muore la segreta 
arte di quella dolce tarantella, 
ciò che Moravia disse del Poeta 
io lo ridico per un Pulcinella.

La gioia di bagnarsi in quel diluvio 
di “jamm, o’ saccio, ‘naggia, oilloc, azz!” 
era come parlare col Vesuvio, 
era come ascoltare del buon Jazz.

“Non si capisce”, urlavano sicuri, 
“questo Troisi se ne resti al Sud!” 
Adesso lo capiscono i canguri, 
gli Indiani e i miliardari di Holliwood!

Con lui ho capito tutta la bellezza 
di Napoli, la gente, il suo destino, 
e non m’ha mai parlato della pizza, 
e non m’ha mai suonato il mandolino.

O Massimino io ti tengo in serbo 
fra ciò che il mondo dona di più caro, 
ha fatto più miracoli il tuo verbo 
di quello dell’amato San Gennaro.

Roberto Benigni

Questa struggente poesia in quartine, che Benigni dedicò all’amico Massimo Troisi è un po’ l’essenza di quel che è stato e continua ad essere Massimo per tutta l’Italia: un volto familiare che troppo presto abbiamo perso. Massimo era un poeta di sentimenti nobili, un artista “unico” nel suo genere, che il mondo ci ha invidiato. Resta memorabile, a tal proposito, il commosso ricordo che Gianni Minà gli dedicò il 5 giugno 1994, appena un giorno dopo la sua morte. Il giornalista, grande amico di Massimo, lo definì in questi termini sulle pagine de “l’Unità”:

“Era un essere umano leggero, lieve, forse stonato in un’epoca e in una società dello spettacolo dove imporre la propria presenza, essere arroganti, è il comportamento di moda. Massimo sapeva stare al mondo rendendo gradevole la vita dei suoi amici e della gente che gli era cara senza sfiorare mai gli altri con le sue angustie”.massimo-troisi-5

Massimo è immortale perché con la sua semplicità e sincerità, ha saputo parlare al cuore di milioni di persone, indipendentemente dal livello sociale, economico, scolastico, e ben oltre le barriere territoriali e linguistiche. La sua morte, avvenuta per infarto a casa della sorella ad Ostia, 12 ore dopo la fine delle riprese del film Il Postino, fu uno shock tremendo per l’Italia intera. Il TG2 aprì l’edizione della sera, con la scena della scalinata di Scusate il ritardo, in cui sotto una pioggia battente il povero Massimo consola l’amico Lello Arena, appena lasciato dalla fidanzata. Ai funerali era presente tutta Napoli e la commozione della gente di tutta Italia, fu la più grande attestazione di affetto e amore incondizionato, che qualcuno potesse avere. Massimo era entrato nei cuori di tutti, così come lo è oggi, un Mito come pochi altri nella storia del mondo. Quel suo ultimo capolavoro, che Massimo in attesa di un trapianto di cuore, volle necessariamente fare con il “suo” cuore, commosse il mondo, con la ciliegina sulla torta della colonna sonora di Luis Bacalov, che completa l’essenza malinconica di un film unico nel suo genere. Si racconta che ogni vero napoletano ricorda dove fosse e cosa stesse facendo quel 4 giugno di 25 anni fa. Ma l’osservazione si può estendere ben oltre i nati sotto il Vesuvio: in poco meno di 15 anni di attività cinematografica e televisiva, Massimo si era conquistato una popolarità che permise, presto, di paragonarlo a giganti partenopei dello spettacolo come Eduardo e Totò.massimo-troisi-foto-1

“Massimo continua a essere parte di noi perchè ha stabilito un legame con il livello profondo del pubblico: la sua comicità non sconvolge lo sguardo, arriva al cuore, allo stomaco, fino alla testa. Non abbandona lo spettatore, perchè affronta le paure dell’uomo, l’impossibilità di raccontare gli amori, gli umori…Una maschera moderna: voce e volto di un carnevale dei sentimenti eterni, portati in scena con pudore e autoironia. E’ quasi impossibile non essere suggestionati nella visione dei suoi film, o dei suoi monologhi, da quel timbro di voce inconfondibile, che rimane nella testa e nel cuore, così come tutta la musicalità del dialetto napoletano”.

Il professore universitario Orio Caldiron, ha così provato a riassumere l’alchimia chimica, magnetica che attira Massimo verso di noi, e che lo rende così attuale ed amato. Massimo venne soprannominato “l’artista dei sentimenti”. ha spesso raccontato storie d’amore, mettendo al fianco del protagonista donne determinate, pienamente coscienti di sé e dei propri desideri. Donne capaci di prendere l’iniziativa, di esprimere i propri sentimenti, bisogni e debolezze, e in grado di mettere in difficoltà un uomo invece pigro, timido e impacciato, come egli stesso ha più volte confessato di essere.massimo-troisi-4

Per il suo primo film, “Ricomincio da tre” (1981), Troisi si affida a Fiorenza Marchegiani; nel successivo “Scusate il ritardo” (1982), al suo fianco c’è Giuliana De Sio. Seguirà Jo Champa, nel film “Le vie del signore sono finite”, del 1987 e Francesca Neri in Pensavo fosse amore…invece era un calesse” (1991). Per il suo ultimo capolavoro, infine, Massimo ha subito pensato a Maria Grazia Cucinotta, volendo più di ogni altra cosa una donna che desse un’idea forte e prorompente di femminilità, tanto da lasciare senza fiato, con un solo sguardo, l’innamoratissimo postino Mario. La complessità delle storie d’amore raccontate dal Massimo regista ed attore, non banali e non avvolte da tradizionali luoghi comuni, risiede in quel desiderio di Massimo di abbandonare ogni banalità e di affrontare il quotidiano in modo diretto e originale, facendo si che non solo i dialoghi o le storie d’amore dei suoi film, ma anche le gag, gli sketch, le risposte alle domande dei giornalisti, diventino vere e proprie gemme di innovativa comicità. Ma l’apoteosi delle sue due anime, i sentimenti e la poesia, vengono raggiunti in quelli che sono gli ultimi due film della sua carriera, un po’, con il senno di poi, i suoi testamenti artistici. Pensavo fosse amore…invece era un calesse (1991) è un film sull’amore dal primo all’ultimo secondo e rappresenta il testamento emozionale e sentimentale di Massimo; fino ad arrivare all’apoteosi de Il Postino (1994), il testamento artistico e morale della poetica cinematografica di Troisi, letteralmente il film della vita. Il postino è un film emozionale, che ti prende e ti commuove come pochi altri nella storia del cinema, non solo e non unicamente per le tragiche vicende extra-filmiche che coinvolsero il povero cuore malandato di Massimo.massimo-troisi-foto-2

Ma procediamo con ordine. Appena terminate le riprese del film Il viaggio di Capitan Fracassa, siamo nel 1990, Massimo riprende a lavorare su un vecchio progetto, accantonato tra il 1988 e il 1990 perché impegnato sui set di ben tre film del maestro Ettore Scola. Il progetto era di un film che non raccontasse soltanto una storia d’amore, come accade molto spesso, ma che fosse completamente dedicato a questo sentimento, senza alcuna pretesa di essere esauriente, senza aver nulla da insegnare, ma in cui ogni scena, ogni dialogo, ogni personaggio avesse l’amore come unico tema. Un film monografico, inusuale e senza dubbio originale, dove è l’amore, in tutte le sue sfumature, l’incontrastato protagonista: questo è Pensavo fosse amore, invece era un calesse(1991), undicesimo film di Troisi, che cerca di capire perché ci si innamora tanto facilmente, e perché, altrettanto facilmente, il sentimento se ne va.

Ma non basta, ragiona anche sul perché certe coppie arrivano sull’orlo della crisi, magari si lasciano, ma poi come una calamità tornano indietro, non riuscendo davvero a separarsi. Pensavo fosse amore invece era un calesse è il testamento spirituale dell’animo di Troisi, meno intriso di poesia rispetto al Postino, senza il riferimento letterario del successivo lavoro; ma con il riferimento chiaro ed esplicito alla realtà di tutti i giorni, dove tutti, bene o male abbiamo a che fare con l’amore, con il walzer dei sentimenti, con il caos di relazioni messe in difficoltà dagli stravolgimenti del nostro animo e dalla tecnologia che avanza. Troisi pensava questo ad inizio anni ’90, in questo è stato un precursore dei tempi, un genio, pensate oggi con tutti i social network che minano un rapporto, quanto sia attuale il messaggio del film e di Massimo. E infatti non nella trama si nasconde la vera forza del film, bensì in tutto quello che lo circonda: Massimo sembra soprattutto interessato ad arricchire la vicenda principale con citazioni, aneddoti, immagini, tutti collegati fra loro come se ogni singolo fotogramma fosse il tassello di un puzzle molto più grande.massimo-troisi-foto-3

Il film diventa quindi una pellicola sulla filosofia dell’amore, dove il regista-attore napoletano lascia anche maggior spazio ai comprimari, inventando una galleria di personaggi ben congegnati, quasi farseschi nel ripetere sempre gli stessi gesti e le stesse parole e tutti interpretati egregiamente da un cast che, come Troisi, vuole credere veramente in un progetto tanto ambizioso quanto, ma questo si saprà solo dopo, fruttuoso ( il film esce nelle sale il 21 dicembre 1991 e guadagna, in poco tempo, oltre 15 miliardi di lire, decretando un nuovo, grande successo per il suo autore). Tutti i personaggi del film, dai protagonisti alle comparse, sono alle prese con gioie o dolori dovuti all’amore. “L’amore ha sulle persone una forza prorompente e modificante come lo sbarco degli extraterrestri”: proprio per questo, Troisi considera “Pensavo fosse amore, invece era un calesse” come un film di fantascienza, capace di concentrare l’attenzione degli spettatori su un argomento unico, ma di forte presa. Figura centrale del cinema di Troisi, come già detto sopra, è la donna amata, figura sempre presente in tutti i film dell’attore, come in Pensavo fosse amore invece era…un calesse, dove c’è Francesca Neri; così come nel Postino c’è la mediterranea Maria Grazia Cucinotta.il-postino-maria-grazia-cucinotta

Un film struggente e poetico oltre ogni previsione, l’ultimo film di Massimo Troisi, la cui morte subito dopo la fine delle riprese avvolge la visione del film di una commozione e di un alone di malinconia, da cui è difficile non farsi prendere. Innamoratosi del romanzo del cileno Antonio Skàrmeta Il postino di Neruda, e soprattutto del personaggio del protagonista, Massimo Troisi, già provato per l’aggravarsi della patologia cardiaca di cui soffriva, decise caparbiamente di trarne la versione cinematografica. All’inizio del 1994 Troisi, recatosi ancora una volta negli Stati Uniti per dei controlli cardiaci, apprese di dover sottoporsi con urgenza a un nuovo intervento chirurgico, dopo quello del 1976 alla valvola mitralica, si parlò in pratica di trapianto di cuore, ma decise di non rimandare le riprese del suo nuovo film, appunto Il postino(1994), girato tra Procida e Salina.il-postino-1

«Ed è stata un’esperienza umana grandissima, perché lui stava male e ha voluto fare questo film a tutti i costi: tutti gli dicevano “ma dai, fai il trapianto e poi lo farai”, e lui diceva “No, questo film lo voglio fare con il mio cuore”. […] E poi questo film è il suo testamento morale.»
(Renato Scarpa su Massimo Troisi)

Adatta il testo di Skàrmeta modificandone ambientazione ( dal Cile all’Italia) e cronologia (dal 1969 al 1952), lavorando al copione assieme ad Anna Pavignano e all’amico scozzese Michael Radford, cui affida la direzione del film ( anche se l’attore è accreditato anche per la regia “in collaborazione” per volontà di Radford stesso). Il personaggio in questione è quello di Mario Ruoppolo, disoccupato figlio di pescatori che, quando nell’estate del 1952 arriva sull’isola di Procida il celebre poeta Pablo Neruda ( Philippe Noiret), viene assunto come primo e unico postino locale proprio per recapitare la corrispondenza al poeta in esilio, dato che fino a quel momento il resto della popolazione, quasi interamente analfabeta, non aveva avuto necessità di una figura del genere. Mario rimane immediatamente affascinato dalla persona dell’intellettuale e, lentamente, tra lui e Neruda nasce un rapporto di amicizia, tanto che il secondo darà al primo un grande aiuto per conquistare la bella ostessa Beatrice (l’esordiente Maria Grazia Cucinotta nel ruolo della vita, scippato alla cantante tarantina Mietta, che aveva ottenuto la parte in prima battuta battendo anche la concorrenza di Monica Bellucci; ma fu proprio Troisi ad innamorarsi di quegli occhi “rotondi e pieni di luce” della Cucinotta, e a volerla fortemente per impersonare l’amata Beatrice).

Mario riuscirà a sposare la donna, che gli darà anche un figlio, ma presto perderà l’amico: dopo la sua partenza dall’isola, infatti, non avrà più notizie di Neruda. Il poeta lo ricorderà solo tardivamente, tornando in quei luoghi dopo cinque anni e scoprendo che Mario è morto a seguito degli incidenti scoppiati nel corso di una manifestazione comunista durante la quale avrebbe voluto leggere proprio un suo poema. La malinconia e la dolenza che hanno sempre contraddistinto la comicità e lo stile cinematografico di Massimo trovano nel “Postino” una declinazione drammatica e sofferente, eppure lieve e lunare al tempo stesso.ilpostino_loc

Il film, che all’epoca dell’uscita cercò con successo di rilanciare la tradizione della commedia all’italiana su scala internazionale, racconta un’Italia sospesa tra stereotipo e utopia, un mondo chiaramente metaforico di una condizione più ampia, esistenziale più che geografica, e trova nel rapporto, in tutti i sensi squilibrato tra il personaggio di Troisi e quello di Noiret un baricentro narrativo emozionale perfetto, che si perde proprio quando questo rapporto viene a mancare. Il tentativo, riuscito, di recuperarlo attraverso trovate evocative, ma ricche di poesia e di brividi emozionali, come quella di registrare i suoni dell’isola per riportare a se l’amico perduto, è ulteriore conferma della natura intimamente impressionista e sintatticamente poetica della storia e della sua declinazione. Molti sono i temi che erano evidentemente cari a Troisi: “Il postino” è film che parla al cuore, che parla di ricerca della cultura, del senso della poesia, di amore e della natura spesso incerta e volatile dell’amicizia ( questi ultimi due argomenti già centrali nel precedente cinema dell’attore napoletano, spesso definito, non a caso, “il comico dei sentimenti”), ma a passare in primo piano è quasi inevitabilmente la sovrapposizione tra interprete e personaggio. Massimo sorregge e domina tutto il film, e la sua recitazione è qui meno verbale che altrove, e se è funzionale alla caratterizzazione di Mario e rappresenta la spina dorsale irrinunciabile di un film altrimenti molto meno incisivo, tradisce le difficoltà di un uomo malato: Troisi, rimandò il trapianto di cuore a cui doveva sottoporsi pur di girare il film, spesso si fece sostituire da una controfigura nei campi lunghi, per non affaticarsi troppo, ma purtroppo 12 ore dopo la fine delle riprese, morì per arresto cardiaco a casa della sorella, a Ostia.

“Stava male da tanto tempo, ormai, quando girò Il postino. Sul set poteva interpretare solo i primi piani, tanto era esausto. Ma lo voleva fare, ci teneva tantissimo, al quel personaggio tratto dal romanzo del cileno Antonio Skàrmeta”. Racconta il regista Michel Radford.massimo-troisi-690x377

Con Massimo ci vedemmo a Roma e decidemmo di trasformarlo in un film cambiarlo tutto, tranne la storia d’amore con la ragazza e il rapporto del giovane con Neruda. Le riprese furono complicate, lui girava un’ora al giorno, i primi piani. Ma avevamo tutti una pena nel cuore. Una volta lo dissi a Massimo e lui mi rispose che io avevo un’umanità che è uguale ovunque. A tutto il resto avremmo pensato noi, insieme. Era davvero una persona speciale.”

La visione del film, dunque, è avvolta da una commozione, da cui è difficile non farsi “ricattare”, merito anche della strepitosa colonna sonora del maestro Luis Bacalov e di Sergio Endrigo, che unita alla sofferta, magistrale interpretazione di Troisi e al perfetto Neruda di Philippe Noiret, fanno del film uno dei grandi capolavori del cinema mondiale: vero, sincero, poetico, umano, commovente…una perla nel deserto. “Il postino” venne presentato al Festival del cinema di Venezia il primo settembre del 1994, anticipando di tre settimane l’uscita nelle sale. Negli Usa uscì invece nel giugno dell’anno successivo, riuscendo così ad ottenere cinque candidature ai premi Oscar del 1996: come miglior film, miglior attore protagonista, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora. Ne vinse solo uno: quello per la miglior colonna sonora, firmata dall’argentino Luis Bacalov e da Sergio Endrigo, ma già di per sè, le numerose candidature all’Oscar ne fanno il film italiano ad avere ricevuto più nominations alla prestigiosa kermesse americana.massimo-troisi-lello-arena-e-roberto-benigni

Da San Giorgio a Cremano ad Hollywood: la vicenda umana di Massimo Troisi non ha perso, dunque, di autenticità, ovunque si sia dipanata. Sarà per questo che, a più di venti anni dalla sua morte, l’artista napoletano è assurto a simbolo, anche e soprattutto presso le nuove generazioni. Massimo si propone sintesi ideale di una maschera che coniuga Eduardo e Totò. La sua mimica è eletta come rappresentativa di un’essenza meridionale moderna, non convenzionale, lontana dagli stereotipi. E tale è rimasta, sopravvivendo alla sua morte prematura avvenuta il 4 giugno del 1994, quando aveva 41 anni. Un talento ineguagliabile, un poeta, un attore e artista di eccelso livello, amatissimo dal pubblico, ma troppo presto andatosene via! Rimangono di lui, le sue interviste, i suoi sketch, le sue poesie, i suoi pensieri, e i suoi 12 film: non tanti ma neanche pochi, sufficienti comunque perchè la sua anima e la sua eredità artistica rimangano immortali allo scorrere impetuoso del tempo, nel cuore del pubblico delle vecchie e delle nuove generazioni.

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Domenico Palattella
Laureando in Giurisprudenza presso l’Università di Bari, è Giornalista praticante, dal dicembre 2015 è iscritto al Sindacato nazionale Critici Cinematografici italiani (SNCCI). È presidente e socio-fondatore dell’associazione cinematografica La Dolce Vita. Nelle estati dal 2013 al 2016, ha organizzato quattro rassegne dedicate al cinema italiano d’annata, tenutesi nel centro storico di Massafra. E’ autore del libro Arrivederci Rascel – vita e miracoli di un vero artista. Scrive saggi dedicati al cinema italiano sul sito dell’Associazione La Dolce Vita. Collabora con le testate giornalistiche Smart Marketing, Sensificio, La Voce di Taranto, La Voce di Massafra e PugliaPress. È docente del corso di Critica cinematografica e storia del cinema italiano presso l’UPGI (Università popolare delle gravine joniche) e presso il Laboratorio Urbano Mediterraneo di San Giorgio Jonico (Ta).