La sindrome del rifiuto tecnologico

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Armando De Vincentiis (29)

 

 

 

963701f2903296969106111fc8698cd6La tecnologia è oggi parte integrante del nostro vivere quotidiano, basti vedere come il sistema di comunicazione è cambiato negli ultimi decenni. Sui social ognuno ha la percezione di comunicare con il resto del mondo, di rendere tutti partecipi delle proprie esperienze ed è sempre in contatto con gli altri. Nonostante questo c’è chi rifiuta tali possibilità per una sorta di ideologia conservatrice. Infatti c’è chi si sottrae in nome di una “privacy” che potrebbe preservare lo stesso, (basta scegliere tra le varie opzioni) o chi rimpiange la comunicazione del passato con la pretesa che una comunicazione debba arrivargli direttamente al telefono, senza usare un mezzo di massa, come ad esempio un evento aperto su Facebook.  Lo stesso soggetto vive una sorta di paradosso “esistenziale” grazie al quale rifiuta il contatto immediato che la tecnologia gli concede e si rammarica perché è l’unico che non è venuto a sapere di un evento che è stato comunicato sui social.  Il paradosso prevede il sentimento di un ritorno ai contatti umani che spinge chi ha tal pretesa a isolarsi perché rifiuta che questi contatti vengano tecnologizzati.keys-writing-reminder-emails-work

Molti sono gli individui che ho sentito rinnegare le email in favore delle vecchie lettere spedite per posta, sostenendo queste ultime con la pura forza dell’ideologia conservatrice legata all’esaltazione dei metodi “antichi”. “Vuoi mettere l’odore della carta? L’emozione di aprire la lettera e apprezzare la calligrafia di chi ti ha scritto”?, sono le argomentazioni che si ripetono. Ogni innovazione tecnologica è sempre vissuta con una sorta di negazione a priori, come una specie di software prestampato nel cervello orientato a mettere in discussione tutto ciò che è nuovo e che metta in crisi abitudini radicate. Non ha importanza che il processo tecnologico renda tutto più veloce e semplice. Basti ricordare il rifiuto dei telefoni cellulari agli inizi della loro diffusione. “Non c’è più serenità”, “Ci si sente perseguitati”, erano le classiche obiezioni dei conservatori.

smartphone-italiani-telefono-classico-cellulareSembra che questo spirito conservatore (che può essere legittimo negli anziani), in alcuni, sia così radicato da sviluppare una sorta di “allergia” alla cosiddetta modernità al punto di vivere il disagio anche in modo patologico. Vi sono soggetti animati da una forma di ingenua visione grazie alla quale vivono la comunicazione tecnologica, fatta di email e chat, come una tipica spersonalizzazione fino a sviluppare vere e proprie reazioni depressive.  I soggetti rifiutano il contatto mediato dai pc o dai servizi come WhatsApp e insistono nello stabilire una comunicazione diretta con la richiesta, implicita o esplicita, ad amici e conoscenti, di non utilizzare tali mezzi. Il più delle volte tali richieste, per fini pratici di immediatezza e anche economici (un messaggio WhatsApp è di sicuro più economico di una telefonata al cellulare) non vengono accettate e questo viene percepito come un tentativo di estraneazione, spesso vissuto quasi come una ferita personale.

telefono-a-discoLa reazione classica di tali soggetti con sindrome tecnologica – termine da me scelto arbitrariamente per rendere meglio l’idea della pretesa disfunzionale, che apre le porte alla patologia – è quella di sottrarsi alla comunicazione virtuale, come se avessero ricevuto un’offesa, al punto di interrompere i contatti con l’amico e il conoscente. “Non rispondo finché non chiama di persona” è il pensiero di fondo, animato dall’idea illusoria che l’interlocutore debba comprendere il suo spirito conservatore che lo rende “allergico” alla comunicazione tecnologica. Se da un lato l’interlocutore, ignaro di questo problema, interpreta la non risposta con una serie di ipotesi non necessariamente maligne, l’allergico tecnologico si irrigidisce sulla questione personale. In tal modo si allontana dagli amici e dai conoscenti riducendo sempre più la sua cerchia di contatti. “Non ho bisogno di chi non vuole i contatti umani” è la frase che si ripete, incrementando la sua rabbia verso il mondo che ha, ormai, preso la deriva della spersonalizzazione tecnologica. Ovvio dal suo punto di vista.

blogdinnovazione_4146136c4676e6913e56a80f296ffd6bL’allergico tecnologico si adatta difficilmente allo sviluppo e si ostina a negarne le potenzialità in virtù di una sana antichità fatta di contatti tra uomini, che la modernità sta eliminando. Sulla base di questa allergia, dettata da un nevrotico conservatorismo e da una pretesa nevrotica di essere seguiti su questo campo, potremmo interpretare anche le cosiddette sindromi da elettrosensibilità o allergie ai campi magnetici di cui alcuni affermano di essere portatori, come una sorta di inconscia protesta verso la modernità in cui, come avviene nelle malattie psicosomatiche, si esprime tale disagio attraverso il corpo. Questo è dimostrato dal fatto che i cosiddetti elettrosensibili reagiscono ai campi elettromagnetici solo se sono consapevoli della loro presenza.

Ci troviamo, quindi, al cospetto di un radicato conservatorismo in nome di un contatto “naturale” tra le persone e di una ingenua o, meglio, nevrotica pretesa del mantenimento di un passato che non può di certo tornare e la consapevolezza di non riuscire nella realizzazione di questa pretesa. L’allergico tecnologico è, quindi, fondamentalmente un nevrotico –nella sua accezione clinica- che vaga nell’illusorio tentativo di far guerra alla modernità portando su di sé le ferite delle sue inevitabili sconfitte. In tal caso la depressione da isolamento tecnologico e anche le allergie ai campi elettromagnetici non sarebbero altro che l’espressione fisica della loro battaglia, che in nessun modo potrà essere vinta.

Non c’è cura visto che non può essere arrestato lo sviluppo tecnologico. Sempre che i cosiddetti allergici non smettano di protestare contro la modernità e di cacciare gli spiriti dell’epoca moderna.

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