Il sequel di The Social Network ci obbliga a fare i conti con noi stessi

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Il sequel di The Social Network ci obbliga a fare i conti con noi stessi

Nel 2010 usciva The Social Network, il film diretto da David Fincher che raccontava la nascita di Facebook, mostrando retroscena, intuizioni e controversie, del social network che, di fatto, ha profondamente cambiato le nostre vite da tutti i punti di vista. Oggi, a quindici anni di distanza, la notizia della lavorazione del sequel, diretto da Aaron Sorkin, ci dà l’opportunità di puntare il focus non tanto sulla parabola personale di Mark Zuckerberg ma, soprattutto, su come sia cambiato il mondo, e noi, dal 2004 (nascita di FB) ad oggi

Siamo partiti credendo che connettività e condivisione ci avrebbero resi più uniti, più informati, più liberi, per approdare poi a distanza di 20 anni, diciamo così, su altre sponde.

Dalla connessione alla dipendenza.

E’ indubbio che i social network hanno rappresentato una rivoluzione comunicativa e culturale. Hanno creato nuove opportunità lavorative e di business, democratizzato la produzione di contenuti, dato voce a chi non ne aveva. Quello su cui, invece, ci siamo focalizzati meno è il costo di tutto questo: le esternalità negative.

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Nella Società dell’Informazione, dove tutto ruota intorno alla creazione, diffusione e fruizione delle informazioni, e nella Società dei Meme, dove qualsiasi argomento è ridotto, semplificato, ironizzato, dire che tutto è comunicazione non pare essere un azzardo. Anzi.

Se con il caso Cambridge Analytica del 2018 qualcosa è venuto allo scoperto e l’idillio si è inclinato, con il passare degli anni si sta sempre più manifestando l’impatto che le piattaforme social (quindi non solo Facebook) hanno avuto e stanno avendo sulla nostra salute mentale: ansia, solitudine, dipendenza, perdita di attenzione, narcisismo, polarizzazione dell’opinione pubblica. Un’intera generazione sta crescendo con la sensazione di non bastare mai, di dover essere sempre connessa, sempre visibile, sempre approvata.

Ed ecco che un giovane su tre si sente triste dopo un uso prolungato dei social. E che il consumo di psicofarmaci tra gli adolescenti, ma non solo, è in crescita.

Dall’algoritmo alla nostra quotidianità.

“Se il prodotto è gratis, il prodotto sei tu”, espressione ormai divenuta comune con la nascita dei servizi online, ma che è bene sempre tenere a mente. 

Ogni scroll alimenta un modello economico basato sull’attenzione, sulla dipendenza e sulla manipolazione emotiva. E mentre crediamo di scegliere liberamente cosa vedere, leggere o pensare, sono gli algoritmi a decidere cosa ci sarà mostrato. 

E dato che ci conoscono meglio di noi stessi, seppur (si spera) consapevoli del problema, fatichiamo a staccarci. Talmente tanto che l’Istituto Superiore della Sanità (ISS), ad inizio 2025, ha indicato proprio “uscire dalla dipendenza da smartphone” come primo modo per migliorare significativamente la nostra salute fisica e mentale. 

Dall’illusione alla consapevolezza.

Il sequel de “The Social Network” ci può tornare utile, oltre che per fare un’analisi di questi ultimi anni, per guardarci dall’esterno – da spettatori – e interrogarci su come abbiamo gestito questa tecnologia, quanto ne siamo stati complici e quale parte di noi abbiamo perso per essere sempre più connessi.

The Social Network – Il trailer (2010)

Non certo per demonizzare i social: prendiamoci le nostre responsabilità e riconosciamo, come detto, le opportunità offerte. Ma per rimettere al centro il nostro tempo.

Non si tratta di demonizzare i social: sono strumenti e, come tutti gli strumenti, dipende da come si usano. Ma di rimettere al centro il nostro tempo, la nostra attenzione, la nostra salute mentale. Di scegliere la qualità rispetto alla quantità. Di ricordarci che per essere connessi, occorre essere presenti. In primis, a noi stessi.

Rimaniamo in contatto, su LinkedIn parlo di comunicazione, digitale e crescita personale. Mi trovi quiwww.linkedin.com/in/ivanzorico

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