
Ivan Zorico (371)
Ivan Zorico (371)
La comunicazione, si sa, è un tema trasversale. E lo è in quanto tutti i settori economici, della sfera pubblica e privata, ne sono attraversati. Capita, molto spesso di sentir parlare, ad esempio, di comunicazione interpersonale, istituzionale (con tutte le sue declinazioni), pubblicitaria o politica. Ed è proprio su quest’ultima che voglio soffermarmi. L’attualità ci spinge a parlare di un argomento molto caldo, e non solo per via dell’inizio dell’estate: l’immigrazione e, più in generale, l’integrazione tra popoli e culture. Vi starete certamente domandando: “L’immigrazione è semmai un “problema” di carattere geopolitico, in che modo la Comunicazione è chiamata in causa in tutto questo?”
Avete ragione. Effettivamente la sua vera natura è quella, e la si dovrebbe trattare con la scientificità e la razionalità che richiede. Ma non è del tutto vero, anzi. Perché intorno ad un episodio o ad un fenomeno sistemico, si può costruire una narrazione, non tanto vicina alle ragioni o alle soluzioni dello stesso, ma quanto al suo modo di rappresentarlo. Senza voler far nomi (tanto è lapalissiano), in queste settimane si sono alternate espressioni da parte di uomini politici, quali: ruspe, muri, radere al suolo, a casa loro, vengono a rubare; sino ad arrivare ad espressioni ben più infamanti che, per decenza, evito di citare.
E a rinforzare queste parole, con annesso serbatoio di valori a cui fanno riferimento, c’è stato l’uso abile e strategico di tutte le componenti fondamentali delle teorie e tecniche della comunicazione di massa: la forza delle immagini; la semplificazione dei messaggi (per non dire la banalizzazione) anche attraverso la costruzione artificiosa di video sensazionalistici; i toni alti e accesi di un nazionalismo di altri tempi. Tutto ciò per fomentare la paura del diverso, di colui che ci dovrebbe sottrarre chissà quale ricchezza o che ci priverebbe del lavoro o, ancora, di risorse a noi destinate. E questa narrazione è oggigiorno sempre più virale (e quindi più pericolosa) per almeno due ragioni. La
prima, di carattere congiunturale, è la stessa di sempre: la crisi economica. Nella storia, tutti i momenti di crisi economica e di conseguente paura del futuro, sono stati segnati dalla voglia di respingere l’altro da noi e di proteggere anche quel poco che si ha. La crisi, infatti, spinge i popoli (soprattutto se “ben indirizzati”) ad acuire atteggiamenti razzisti o quantomeno di difesa di quanto faticosamente acquisito. La seconda, attiene ai moderni mezzi di comunicazione: sui social network si è aperta la caccia alle streghe ed una battaglia a colpi di post, ora più strutturati ora più di pancia, tra chi sostiene l’integrazione e l’approccio scientifico o umanitario al fenomeno e chi si schiera palesemente con il respingimento totale.
Ma, attenzione! Non voglio esprimere un giudizio di valore. Per quanto evidentemente non mi trovi assolutamente dalla parte di chi punta sulle paure delle persone (in molti casi anche giustificate) per accrescere il proprio potere, la propria popolarità e, in definitiva, il potere politico personale e della sua fazione. Ed è questo il mio vero obiettivo.
Già perché tutta questa narrazione politica ha un obiettivo ben preciso: creare consenso elettorale e influenzare l’opinione pubblica. E a vedere i risultati delle ultime elezioni o dei sondaggi, è un atteggiamento che (ahimè) paga, e molto bene anche. Puntare il dito e semplificare questioni complesse è assolutamente remunerativo in termini di consenso e riesce a spostare l’attenzione dai problemi causati, in gran parte dei casi, proprio
