E se le nazioni funzionassero come le famiglie?

Una lettura sistemico relazionale del conflitto Russo-Ucraino

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Nell'Immagine generata dall'AI DALL·E vediamo un parallelismo tra le dinamiche familiari e quelle fra le nazioni - Smart Marketing
Allo stato attuale delle cose, sembra davvero complicato esprimere un giudizio neutrale sul conflitto russo/ucraino.

Ogni affermazione viene percepita in modo distorto da chi possiede già un’idea profondamente radicata, interpretando ogni tentativo di analisi in modo altrettanto distorto. La minima critica alle scelte occidentali è percepita come un’inclinazione filorussa, mentre un’apertura verso le proposte occidentali viene vista come adesione a qualche partito politico, e così via.

I bias cognitivi sono stati i veri protagonisti della narrazione bellica fino ad oggi.

Gli stessi eventi, come spesso accade nelle dinamiche politiche, vengono considerati giusti da una parte e scorretti dall’altra, a seconda della visione politica di base. Esiste un’altissima probabilità che anche questa discussione possa suscitare o, meglio, attivare gli stessi bias, ma non ci sottrarremo dall’affrontarla.

Come specialista del comportamento, non posso fare a meno di osservare le dinamiche belliche e le scelte delle nazioni che le sostengono attraverso una chiave di lettura sistemico-relazionale, analizzandole sulla base della cosiddetta teoria generale dei sistemi, messa  appunto dal biologo Ludwig von Bertalanffy, secondo la  quale sia in biologia sia nelle scienze umane e sociali, ogni parte di un sistema si muove secondo un rapporto di logica circolare dove ogni elemento è influenzato reciprocamente in un continuo scambio di interazioni.

Le interazioni tra le nazioni non sono molto diverse da quelle che regolano i comportamenti dei gruppi sociali più piccoli e, addirittura, di quelli più ristretti come i nuclei familiari e le coppie. È possibile notare come le azioni che si verificano tra i vari gruppi familiari, con le loro alleanze, conflitti, e così via, siano sovrapponibili alle interazioni tra le nazioni. È come se le nazioni fossero una sorta di super-famiglie allargate, con le stesse alleanze, scambi di interessi e legami, più o meno forti, tra i vari membri. 

Immaginiamo che queste famiglie si presentino in terapia per la risoluzione di un conflitto. La ricerca di una soluzione mediata da un terzo osservatore sarebbe già un primo passo, ciò che negli ultimi tre anni non è accaduto visto che gli stessi mediatori si sono schierati nell’uso della forza. Sarebbe come se un terapeuta, in seduta, si schierasse con una sola parte degli oggetti in causa. L’evoluzione clinica sarebbe inevitabilmente l’inasprimento dei conflitti, ed è ciò che è accaduto fino ad oggi.

Dal punto di vista sistemico-relazionale, la prima osservazione che emerge è il fenomeno dell’escalation, un termine che, certamente, non è mancato negli ultimi tempi.

In ambito relazionale, tuttavia, distinguiamo due tipi di escalation: quella simmetrica e quella complementare. Nel caso della prima, all’incrementarsi di un’azione segue una reazione ancora più intensa, che a sua volta provoca una nuova reazione ancor più elevata, portando a un picco conflittuale senza ritorno. Nella seconda, invece, una reazione del primo gruppo determina un abbassamento delle risposte dell’altro, o meglio, un atteggiamento di quiete.

Nelle interazioni belliche, assistiamo quasi sempre a un escalation simmetrica, che, come possiamo notare, ha prolungato il conflitto per tre anni fino a oggi. Nonostante i tentativi piuttosto maldestri di tutti i Paesi coinvolti (in primis gli Stati Uniti sotto la direzione del presidente Biden), dal mio punto di vista di specialista delle relazioni emerge l’impressione che anche l’Unione Europea abbia sempre faticato dal sottrarsi a questa escalation, con  la possibile illusione di superare il picco conflittuale con la sola forza, senza rendersi conto dell’aumento delle tensioni tra le famiglie, così come le abbiamo definite. Nelle dinamiche familiari, questo atteggiamento si è sempre rivelato illusorio, sfociando in rotture definitive. 

Non vedo perché le leggi sociali e relazionali dovrebbero essere diverse nelle “famiglie allargate” delle nazioni.

In ambito familiare, molto spesso, l’escalation complementare appare una soluzione più funzionale (non necessariamente migliore), ma la funzionalità è spesso il massimo a cui si può aspirare, per poi continuare a cercare soluzioni più funzionali per tutti. Con l’escalation simmetrica non ci sono negoziati vige la legge del più forte.

Il recente tentativo di accordo tra Stati Uniti e Ucraina ha tutte le caratteristiche di questa complementarietà, che, seppur forzata, potrebbe attenuare quell’escalation simmetrica altamente conflittuale che, tra le famiglie/nazioni, è sempre stata fallimentare. La prima regola del terapeuta/mediatore  dovrebbe essere quella di bloccare l’escalation non schierandosi né incitando le famiglie a rimanere ferme nelle loro posizioni. Nei tre anni passati abbiamo, invece, assistito a un atteggiamento completamente opposto e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il mediatore, come uno psicoterapeuta maldestro, ha sostenuto solo una parte ed ha fallito, metaforicamente, la terapia.

Nella risoluzione di un conflitto, dal punto di vista della teoria generale dei sistemi, si fa riferimento alle interazioni che vengono viste in modo circolare attraverso logiche non lineari; ossia, il rapporto causa-effetto non viene osservato soltanto in modo unidirezionale, ma esistono dinamiche circolari ben spiegabili con questo esempio: una moglie dice che urla perché il marito beve troppo, ma il marito risponde che beve troppo perché la moglie urla. È soltanto il nostro punto di vista arbitrario che deciderà da dove parte il conflitto; ed è ciò che, in ambito relazionale, viene definita interpunzione arbitraria. Decidiamo noi se a iniziare la diatriba sia la moglie o il marito.

Anche in ambito bellico, le cose possono essere viste attraverso l’occhio di un terapeuta sistemico.

Non vi è alcun dubbio che la Russia abbia compiuto un’azione esecrabile sotto ogni aspetto, ma, indipendentemente dall’aspetto morale, esistono le condizioni per una lettura circolare e non unidirezionale del conflitto sotto il profilo prettamente funzionale, solo se si vuole risolvere il problema e non insistere nel puntare verso il motore iniziale. Nelle famiglie che si presentano in terapia vi è la percezione che l’altro abbia iniziato il conflitto con un atteggiamento illecito, immorale o con un’aggressione. Magari è davvero successo, ma l’interpunzione arbitraria è il primo passo per mantenere il conflitto. La ricerca da parte di un membro della famiglia di un avallo sul fatto che l’altro abbia sbagliato e che debba essere sempre l’altro a fare un passo indietro rappresenta una ulteriore direzione  verso il fallimento della soluzione. Ciò che abbiamo, fino ad oggi, osservato nella guerra Russia-Ucraina. Le letture moralistiche di un fenomeno, seppur ideologicamente corrette, hanno soltanto avuto il risultato di un irrigidimento delle posizioni e di un incremento della nostra escalation simmetrica.

Putin ha iniziato (senza alcun dubbio, aggiungiamo), ma sarebbe, nella nostra lettura sistemica, come dire: “Dottore, è mio marito che ha iniziato e lui deve cambiare”. Non ha mai funzionato! Le regole relazionali sono universali e non si sottraggono nemmeno ai conflitti bellici. Il terapeuta cerca una lettura funzionale dell’interazione attraverso una visione circolare dove gli eventi si sono influenzati a vicenda, proprio come nella coppia sopra citata tra moglie che urla e marito che beve. Ma questo non perché si vogliano sottrarre responsabilità, ma per far sì che entrambi si sentano parte della questione e riescano ad accordarsi. Ciò che non accade mai (come abbiamo visto) solo se si attribuisce un’interpunzione da una sola  parte. Evitare di attribuire il punto di partenza è una regola aurea nella soluzione di un conflitto che è la più funzionale. Così come un terapeuta fa notare alle famiglie in terapia quali sono gli errori che vengono commessi, un mediatore internazionale dovrebbe sottolineare gli stessi errori sistemici.

Fino ad oggi i nostri terapeuti delle questioni belliche hanno commesso tutti gli errori di uno psicoterapeuta alle prime armi che si lascia coinvolgere emotivamente dalle ragioni di una sola delle parti in causa.

Ribadiamo: evitare l’interpunzione non è una scelta morale ma una lettura momentaneamente strategica che ha la funzione di ammorbidire un conflitto (tra chi ha torto e chi ha ragione) per evitare la rottura finale che, in una famiglia, sfocia in una separazione ed una battaglia legale; mentre, nelle famiglie/nazioni, sfocia nella morte di migliaia di persone. Allo stato attuale delle cose, dal mio punto di vista di specialista delle dinamiche sistemiche, l’Unione Europea sta continuando a comportarsi  come quelle famiglie che cercano l’avallo del terapeuta per portarlo dalla loro parte e coinvolgerlo in un’escalation simmetrica.

Questa porterebbe, purtroppo,  solo a  mantenere le distanze tra famiglie e fornire il capro espiatorio per futuri conflitti attraverso un atteggiamento paranoico che si autorinforza dalle sue stesse scelte. Mi armo perché c’è un pericolo e un “nemico” da combattere,  aumentando così il pericolo e irrigidendo il nemico solo perché mi armo. (Parlo da clinico che osserva le stesse dinamiche nei suoi pazienti paranoici).

Questa lettura non ha alcun orientamento politico né si schiera con le parti ma è stata solo un’analisi di quegli elementi che non hanno permesso una soluzione che avrebbe salvato la vita di migliaia di soldati e civili.

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