Diventare grandi oggi: tra scuola che si abbandona e futuro che fa paura

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Diventare grandi oggi: tra scuola che si abbandona e futuro che fa paura

Diventare grandi oggi non sembra essere facile come un tempo.

I giovani sono incerti sul loro futuro, pianificare cosa fare da grandi mette ansia e il carpe diem di vivere alla giornata sembra l’unica opzione possibile. Dopo il grande passo che dalle medie porta a decidere un indirizzo alle superiori, c’è il vuoto.

Sempre più studenti sono a rischio dispersione.

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza nel report del 2022 dichiara che “la “dispersione scolastica” coinvolge non solo la vita sociale dei bambini degli adolescenti e dei giovani ma anche quella delle comunità in cui essi vivono e riguarda le istituzioni educative e altri servizi pubblici (da quelli per la prima infanzia, ai servizi socioeducativi, alla formazione professionale), nonché le politiche pubbliche – sociali, educative, abitative e del lavoro – “.

La Missione 5 del PNRR, la cosiddetta “Inclusione e Coesione” prevede, tra le altre, di contrastare la “povertà educativa” vista come uno degli interventi fondamentali da fare nel territorio italiano. Così pure la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, del 1989, pone l’attenzione sullo stesso tema.

In Italia oltre 110.000 studenti abbandonano ogni anno la scuola secondaria di I e di II grado, e il dato posiziona la nostra Nazione tra le peggiori a livello europeo (Fonte Ministero e Istat). L’Istituto Nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione – INVALSI – decreta che il 14,4% degli allievi all’uscita dalla terza media non ha livelli adeguati di competenze in matematica, italiano e inglese, aumentando ancora di più l’approccio alle superiori.

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La chiamano Generazione NEET” (Not in Education, Employment or Training), ossia una parte rilevante della nostra società troppo spesso dimenticata. Mentre dovremmo ricordarci che, dietro ad una denominazione, ci sono persone reali che, fuori dalle statistiche, hanno aspettative disattese, sogni ancora impacchettati e una storia ancora tutta da scrivere.

Ci sono diversi modi in cui l’alunno in difficoltà può abbandonare scuola: lasciare in corso d’anno, oppure ripetere lo stesso anno fino ad assolvere l’obbligo scolastico con continue bocciature, oppure ancora ripetuti cambi di scuola o passando agli istituti professionali con qualifica triennale.

L’INVALSI stima che la dispersione scolastica totale, formata da quella implicita dovuta alla scarsa produttività e presenza in aula e quella esplicita dovuta all’abbandono, si attesti intorno al 20% del totale degli alunni iscritti.

L’abbandono scolastico si registra in piccola parte nei licei (1,6% con una netta maggioranza del liceo artistico rispetto agli altri indirizzi), negli istituti tecnici il dato è più che raddoppiato (3,8%) mentre la fanno da padrone gli istituti professionali e i percorsi IeFP (7,7%) – Fonte MI – DGSIS Ufficio gestione patrimonio informativo e statistica.

Il fenomeno dell’abbandono è strettamente connesso a quello dei NEET che analizza i giovani dai 15 ai 29 anni.

Il 40% dei NEET – dati ISTAT 2019 – aveva raggiunto come titolo di studio la licenza media, con una maggiore incidenza nel sesso femminile. L’incidenza più elevata è nelle regioni della Campania, Sicilia, Calabria, Puglia e Molise e l’analisi registra anche un’eredità genitoriale: la condizione socioeconomica della famiglia d’origine è un fattore determinante nell’abbandono scolastico.

Una categoria di confronto a livello europeo sono gli ELET, acronimo di Early Leaver from Education and Training, cioè coloro che hanno lasciato gli studi senza aver raggiunto un titolo secondario superiore.

Il confronto a livello occupazionale registra che i giovani con un titolo, nel 53,6% dei casi hanno trovato occupazione in pochi anni, contro il 35,4% degli ELET. Inoltre, nel report del ministero, si registra un’altra drammatica realtà: oltre alla mancanza del titolo, a pregiudicare gli ELET è anche lo scarso interesse ad entrare nel mondo del lavoro.

Il confronto con l’Europa è impari: 11% in meno di tasso di abbandono scolastico rispetto al nostro Paese. In Italia solo 1 giovane ELET su 3 risultava occupato contro 1 su 2 come media europea (Dati 2022). Bisogna però prendere atto che solo il 50% dei giovani ELET in Italia dichiara di voler lavorare contro un 66% della media europea.

I due piatti della bilancia rimangono la scuola e la famiglia dove possono sorgere problematiche che disincentivano la voglia di proseguire negli studi e la totale perdita di interesse nel lavoro.

Lavoro che, per un sempre maggior numero di giovani, smette di essere una realizzazione personale per diventare, invece, uno strumento di guadagno, senza il quale non si può vivere. La risposta a questo è procrastinare il più possibile cercando aiuti in famiglia, sussidi statali, vendite on line di prodotti per soddisfare bisogni estemporanei per cercare altrove un’autorealizzazione.

Se la voglia di realizzarsi esiste ancora.

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