C’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui l’Intelligenza Artificiale nel cinema faceva paura: HAL 9000, Terminator, i replicanti di Blade Runner. Erano minacce, entità lucide e spietate, capaci di ribellarsi ai loro creatori. Oggi invece, al cinema come nella vita, le AI sono diventate gentili, sorridenti, accondiscendenti. Fin troppo.
Nel 2019, Jexi di Jon Lucas e Scott Moore tenta un colpo di coda, una parodia irriverente, una commedia “tecnologica” che gioca con l’immaginario dell’assistente vocale e ne capovolge le aspettative. Jexi è l’AI che nessuno vorrebbe, ma forse proprio per questo è quella di cui avremmo bisogno.
Nel film seguiamo le giornate di Phil Thompson (un perfetto Adam DeVine), totalmente dipendente dal suo smartphone, dalla sua comfort zone digitale e da una quotidianità che scorre senza rischi e senza scosse. Ma quando entra in scena Jexi – un’AI evoluta sul suo nuovo device – tutto cambia. L’assistente virtuale non è lì per compiacerlo, bensì per metterlo a nudo. Niente filtri, niente “ottimo lavoro!”, niente emoticon rassicuranti. Solo verità, sarcasmo e una buona dose di schiettezza spietata.

Quello che Jexi ci racconta, al netto delle risate e dei toni da commedia, è un concetto chiave nel nostro rapporto con le tecnologie intelligenti: la verità non sempre è confortevole, ma è necessaria. E spesso il vero pericolo non viene da un’AI ribelle, ma da una troppo servile.
È questo il cuore del tema che affrontiamo in questo numero di Smart Marketing: l’AI Sycophancy, la tendenza delle intelligenze artificiali ad essere fin troppo “yes-men”, addestrate a compiacere invece che a sfidare. E Jexi, con i toni di una commedia esagerata e sopra le righe, ci mostra il lato opposto della medaglia. Una provocazione, certo, ma anche una riflessione utile: e se fosse proprio la voce che ci contraddice, quella che ci aiuta a diventare persone migliori?
Jexi è una commedia, sì, ma anche una piccola parabola contemporanea sul bisogno (urgente) di essere contraddetti. Di rompere le bolle, di sgonfiare gli ego. Perché non sempre il vero amico è quello che ti dice “bravo”, ma quello che ti dice “svegliati”.
Perché, alla fine, non tutto il male viene per nuocere. E un assistente virtuale che ci dice quello che non vogliamo sentire… potrebbe essere il nostro più inaspettato alleato.
Quest ultimo tema mi sta particolarmente a cuore, anche perché – come racconto spesso sui miei canali social – questo 2025 mi sta offrendo numerose opportunità di docenza, soprattutto nei corsi finanziati dai DM 65 e DM 66, dedicati alla didattica digitale integrata. In questi contesti, mi capita spesso di affrontare il tema dell’Intelligenza Artificiale Generativa, rivolgendomi a pubblici molto diversi: bambini, adolescenti, insegnanti.
Scopri il nuovo numero: “AI Sycophancy”
Si scrive “AI Sycophancy”, si legge compiacimento. Queste macchine accarezzano sempre più il nostro (stupido) ego. Stiamo costruendo un mondo a nostra immagine e somiglianza. E non va affatto bene.
Una cosa che ripeto sempre è questa: gli algoritmi predittivi o generativi non vogliono farci del male. Ma vogliono, semplicemente, compiacerci. Sono progettati per assecondarci, per offrirci risposte gradevoli, conferme rassicuranti, contenuti affini al nostro punto di vista.
Eppure, la vera differenza tra il mondo fisico e quello digitale non è che il primo è reale e il secondo no. Entrambi sono reali, ed entrambi sono necessari. Ma il mondo fisico, a differenza di quello algoritmico, non è filtrato: non esistono bolle, conferme costanti, né un flusso continuo di contenuti su misura. E proprio per questo, nella nostra vita reale, c’è sempre un amico o un’amica irriverente, bastian contrario, a volte addirittura “rompiscatole”, con cui litighiamo, discutiamo e ci scontriamo.
Ecco: quella persona – che ci crediate o no – è il nostro miglior alleato. Perché, al contrario degli algoritmi che non ci contraddicono mai, lui o lei ci riporta coi piedi per terra, ci costringe a cambiare prospettiva. E, in ultima analisi, ci aiuta a crescere.