Addio a Mauro Di Francesco

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Nell'immagine l'attore Mauro Di Francesco - Smart Marketing
L'attore Mauro Di Francesco - Smart Marketing

Se n’è andato anche “Maurino” Di Francesco, a soli 74 anni, ed è una di quelle dipartite che fanno male al cuore, perché come sempre in questi casi, se ne va via anche un pezzo di noi, della nostra storia e non ci resta che malinconicamente attaccarci all’album dei ricordi dei tanti film che fanno restare questi miti qui tra noi. Si, lui non si faceva vedere da tempo in televisione o al cinema, però tutti sapevamo che c’era, che stava abbastanza bene, nonostante avesse ricevuto un trapianto di fegato qualche anno fa, perché la dipendenza dall’alcol, gli eccessi e quant’altro, lo avevano portato ad una tremenda cirrosi epatica. Lui però, amando definirsi “miracolato” era ancora qui tra noi, e noi tutti lo sapevamo. Ci bastava questo.

La mattina del 25 ottobre 2025, Jerry Calà è stato uno dei primi a voler lasciare un messaggio per il suo “Maurino”, che alcuni hanno definito il suo “gemello” cinematografico: “Ciao Maurino. Quante risate, quante scene insieme, quanta vita condivisa sul set e fuori. Te ne vai in silenzio, ma lasci dietro di te un ricordo enorme e un affetto che non si spegnerà mai. Buon viaggio amico mio”. Anche Gianni Ciardo ha voluto lasciare un ricordo carico di amicizia e affetto per Mauro: “Ciao Mauro, mai avrei pensato di salutarti così. Restano i nostri progetti e la nostra speciale confidenza e complicità! Ciao”. Gianni e Mauro insieme, hanno rappresentato una coppia artistica interessantissima del cinema cult degli anni ’80: Ferragosto O.K. film di Sergio Martino, riproposto ogni estate sulle reti Mediaset; e Italiani a Rio, di Michele Massimo Tarantini, rappresentano infatti degli “stracult” dove Ciardo e Di Francesco ci dimostrano di essere una coppia ben assortita, divertente e affiatata. Tra loro è sempre rimasto un forte rapporto di amicizia, come testimoniato in questi mesi dallo stesso Gianni Ciardo al sottoscritto. Io e il mio collega Lorenzo Procacci Leone, il prossimo novembre usciremo con un libro scritto SU e CON Gianni Ciardo, dal titolo GIANNI CIARDO: IL MIGLIOR GIANNI DELLA NOSTRA VITA. In questi mesi di assidua frequentazione con l’attore barese, ho avuto modo di parlare e avvicinare tanti personaggi dello spettacolo cari a lui. Tra questi anche Mauro Di Francesco, che voleva fortemente partecipare a questo libro. Ci siamo sentiti, abbiamo parlato amichevolmente, avevamo progettato l’intervista telefonica, ma poi ha iniziato ad avere la febbre, a stare male. Dopo è sopraggiunto il ricovero e poi la triste fine. Siamo riusciti comunque ad inserire un suo intervento all’interno del libro, quasi ad esaudire un ultimo suo desiderio. Ci tenevamo e lui ci teneva.Nell'immagine l'attore Mauro Di Francesco - Smart Marketing

Riportando il filo del discorso sulla carriera artistica di “Maurino”, va detto che la sua figura è fortemente legata alla malinconia degli anni ’80 italiani. Come tutti i grandi comici dell’epoca, aveva una grande vis-comica, molto spensierata e giovanile, similare a quella dell’amico Jerry Calà, per stile e temperamento. Fu, fin da subito un predestinato nel mondo dello spettacolo: figlio di una sarta teatrale e di un direttore di palcoscenico, iniziò a recitare sin da ragazzino: a soli 5 anni era accanto al Mago Zurlì e poi a 15 anni (nel 1966) entra nella compagnia di Giorgio Strehler, accanto a Valentina Cortese. Poi arrivano gli anni ’70, che sono quelli della sua formazione cabarettistica, dapprima in coppia con Livia Cerini e poi entrando nella storica squadra del Derby Club, di Milano, precisamente nel Gruppo Repellente, ideato da Enzo Jannacci e Beppe Viola, assieme a Giorgio Faletti, Massimo Boldi, Giorgio Porcaro, Ernst Thole e Diego Abatantuono. Proprio Abatantuono, si scopre da un’intervista che Di Francesco rilasciò al Corriere della Sera, nel 2024, deve a Mauro il suo ingresso nel gruppo: “Diego sul palco ce lo portai io. Era l’elettricista dei Gatti di Vicolo Miracoli. Doveva accendere un unico faro. Ma era sempre chiuso in bagno con qualche ragazza e fu licenziato. Dai, vieni con me, gli dissi. Io ero Eva Kant e lui Diabolik. Andammo avanti per un po’, poi cominciò a fare il personaggio del meridionale e continuò da solo”.

Con Diego Abatantuono, però, Mauro si ritrova poi nel cinema, dapprima ne I fichissimi (1981), dove c’è un trio di eccezione, composto da lui, Diego e pure Jerry Calà; e poi in Attila, flagello di Dio (1982), film divenuto cult nel tempo, ma che all’epoca fu un flop tremendo. Diceva a proposito di questo proprio l’attore: “Per Diego e questo film, rifiutai il primo Sapore di mare. Con Carlo Vanzina avevo già girato I fichissimi. Diventammo amici. Credo volesse darmi la parte di Jerry Calà. Ma Diego mi voleva per forza con lui in Attila il flagello di Dio. A quei tempi eravamo molto uniti, come culo e mutanda. Ho scelto lui e Carlo ci è rimasto malissimo. Attila fu una tragedia, andò malissimo. Cecchi Gori si era svenato per pagare il cachet di Diego così risparmiò sulle comparse. Per l’esercito dei barbari eravamo in sei, tra cui Franz Di Cioccio e Francesco Salvi. Diego si lamentava con Rita Rusic: gli diceva tuo marito è un barbone, un tirchio”. A questo proposito anche lo stesso Abatantuono non si è tirato indietro nel ricordare lo storico amico sia in televisione (Domenica In del 26 ottobre), sia sulla carta stampata: “Ho passato con Mauro 55 anni, l’ho incontrato quando lavoravo al Derby, quando avevo 15 anni. Con Maurino c’era una particolare amicizia durata negli anni. Si era dovuto operare, ma si era ripreso. Era tutto gasato, entusiasta, perché gli avevano dato la gestione di un teatrino non dove, probabilmente in Toscana dove lui abitava, ma poi succedono le cose più impensate. Ho saputo che non c’era più dalla telefonata della moglie: tutti sanno che io faccio tardi, ed era tardi. La prima telefonata che lei ha fatto, l’ha fatta a me. Appena ho visto il numero e il suo nome ho pensato che fosse successo qualcosa, è stata una bastonata”.Nell'immagine l'attore Mauro Di Francesco con Jerry Calà - Smart Marketing

Dopo il flop di Attila, flagello di Dio, Mauro si è rifatto con gli interessi nel secondo Sapore di mare, quello diretto da Bruno Cortini, quello senza né Jerry Calà, né Christian De Sica, dove la “stella” in sostanza era lui. Fu il film che gli diede finalmente la fama tanto desiderata. Il film di svolta sotto tutti gli aspetti: professionali e privati. Professionali perché il finale di Sapore di mare 2 – Un anno dopo (1983), di lui sulla spiaggia, in un malinconico tramonto di fine estate, sulle note di Cento giorni (di Caterina Caselli) mentre scopre che la sua Alina è andata via, è un pezzo di bravura, rimasto negli annali: “Te ne sei andata via Alina? E chi se ne fregaaaaa”. E intanto le lacrime scendevano giù, nascosti dagli occhiali da sole. Personali perché nella realtà Alina non se ne andò, e anzi l’attrice che la interpretò si innamorerà davvero del nostro bel “Maurino”: parliamo dell’attrice francese Pascale Renaud. Sul set nacque questa bellissima storia d’amore, che li portò al matrimonio proprio nel 1983 e alla nascita di Daniel, il loro unico figlio. Quel matrimonio e quella storia d’amore, pur concludendosi dopo solo quattro anni, fu molto emblematica di come certe volte avvengano dei romantici cortocircuiti amorosi, tra finzione e realtà.

Per tutti gli anni ’80 Mauro continua ad essere protagonista di pellicole che potrei definire “giovanilmente scanzonate”, fresche, vitali, pulite, come Giochi d’estate (1984), di Bruno Cortini; Chewingum (1985), di Biagio Proietti; e Puro cashmere (1986), ancora per la regia di Biagio Proietti. In mezzo, le due parentesi felici già accennate sopra, in coppia con Gianni Ciardo, delle quali possiamo nominare soprattutto Ferragosto O.K. (1986), che si presenta come uno dei massimi cult del genere “balneare”: allegro, spensierato, tutto è al posto giusto, leggero e rilassante proprio come una vacanza al mare. Il film è un beach-movie ricco di volti noti e meno noti diretto con un certo ritmo. La formula è quella consolidata degli episodi intrecciati con la figura del cameriere (il simpatico Giorgio Vignali) che funge da occasionale narratore parlando spesso direttamente in macchina. Le “star” sono Mauro Di Francesco e Gianni Ciardo, meccanici impadronitisi di una Ferrari in riparazione e direttisi nell’hotel, teatro del film, in cerca d’avventure. Le troveranno, incontrando (ma solo nella seconda parte) la conturbante Alessandra Mussolini pre-politica, che nel ruolo di fotomodella assieme ad un’altra popputa partner dovrà sostenere le clamorose balle del duo di poveracci. Di Francesco/Ciardo si dimostrano ben assortiti e, come coppia cine-televisiva non sono niente male. Il segreto della longevità di un film diventato appuntamento fisso di ogni ferragosto sulle reti Mediaset, sta tutta in questa definizione: “con un sottofondo di dance Made in Italy molto eighties che accompagna ogni scena e una pubblicità occulta ossessionante per il Cynar, il film offre esattamente ciò che gli si chiede: intrattenimento allegro, candido e trashone, in anticipo di un anno sul più ricco Rimini Rimini”. Poi c’è Italiani a Rio (1987), che Ciardo e Di Francesco hanno girato realmente a Rio de Janeiro, insieme a Silvio Spaccesi e Leo Gullotta: un esempio comunque riuscito di commedia all’italiana di esportazione, che infatti andò bene al botteghino anche in Brasile.

 

Quando si pensa a Mauro Di Francesco, è palese che il suo nome resti saldamente legato agli anni ’80 o al genere vacanziero, alle spensierate vacanze di quegli anni, alle belle ragazze (che lui ne ha avute e tante: “ho avuto un sacco di donne, mi sono divertito, ero giovane, carino, simpatico), ad un mondo che non tornerà più. Dopo le parentesi felici di Abbronzatissimi 1 e 2 (1991-93), entrambi diretti da Bruno Gaburro, Mauro decide lentamente di allontanarsi dai riflettori. Nel 1997 poi, nella sua vita arriva Antonella Palma di Fratianni, la sua seconda moglie, e lui decide di ritirarsi, di trasferirsi in Toscana e dedicarsi maggiormente alla famiglia. Certo, non mancheranno alcune belle sortite cinematografiche, di tanto in tanto, per Carlo Vanzina (Eccezzziunale veramente – Capitolo secondo me, 2006), per Jerry Calà (Odissea nell’ospizio, 2019) e persino per un trash-movie curiosissimo, diretto da Nino D’Angelo, ovvero Aitanic (2000).

Negli anni 2000 ha dovuto affrontare un delicatissimo trapianto di fegato, dopo il quale è diventato testimonial per i donatori d’organi; e ha trascorso gli ultimi 10/15 anni praticando una vita più morigerata e tranquilla rispetto agli eccessi della gioventù. Raccontava per il Corriere della Sera: “Scrivo, leggo e dipingo. Alle 8 faccio colazione al bar del paese, come i vecchi. Mi hanno cercato tanti, avrò detto almeno venti no. O chiedevo compensi assurdi. Spero sempre che mi chiamino Sorrentino o Tornatore, Pupi Avati, magari Quentin Tarantino, allora ci ripenserei”.

Anche se la chiamata che lui aspettava non è mai arrivata (e probabilmente l’avrebbe meritata), Mauro sapeva bene di essere nei cuori del suo pubblico, perché il suo viso pulito, sbarazzino, malandrino per certi aspetti, era rassicurante, così come tutti i grandi miti del nostro cinema. Quando se ne saranno andati tutti ci sentiremo un po’ più soli. Un po’ come ora, perché “Maurino” rimarrà sempre quel simpatico ragazzo che faceva tanto il duro, ma poi quando Alina lo abbandona, piange nascosto sotto i suoi occhiali da sole.

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