Natale di seconda mano: le canzoni che raccontano un Natale non convenzionale

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Riuscite ad immaginare un Natale senza musica tradizionale?
Senza “Jingle Bells” o “We wish you a Merry Christmas”?
Senza “Astro del Ciel”, “Adeste Fideles” e “Tu scendi dalle stelle”?
Senza lustrini, alberi addobbati, luci, colori, doni, amici e parenti?

Eppure esiste, è il Natale degli ultimi, dei soli, dei derelitti, è il Natale non idealizzato, quello della vita reale dove esistono buoni, cattivi, poveri e ricchi come in tutti gli altri periodi dell’anno, è il Natale disilluso e disincantato di chi non ha proprio nulla da festeggiare, quel Natale atteso ed amato da alcuni, soprattutto dai bambini, ed odiato da altri perché esacerba le solitudini e le differenze.

Tantissime sono le canzoni che raccontano il Natale in modo diverso ed anticonvenzionale e che spostano l’attenzione dalla festa convenzionale alla realtà del mondo in cui viviamo, un mondo in cui, sicuramente, a Natale non siamo tutti più buoni.

È il caso dei Litfiba, che nel 1988 pubblicano la canzone “Santiago” ispirandosi alla visita del papa, Giovanni Paolo II, in Cile durante la dittatura di Pinochet nel 1987, dittatura che affogò nel sangue ogni forma di protesta e dissidenza scatenando l’indignazione dell’opinione pubblica mondiale (“Santiago del Cile – Padre, tuo figlio dov’è? – Santiago del Cile – Io non lo vedo più – Natale di sangue – No, non lo scorderò”).

Ma è anche il caso di Fabrizio De André, che in “Leggenda di Natale” accosta un episodio tragico, che segna la vita di una bambina abusata da un astuto “Babbo Natale” che la circuisce, alla leggerezza del Natale e della spensieratezza che questo periodo porta con sé.

Sarà lo stesso Babbo Natale che Dolly ed “il figlio del figlio dei fiori” uccidono perdendo per sempre il candore della fanciullezza ne “L’uccisione di Babbo Natale” di Francesco De Gregori?

Pur non essendo collegate in nessun modo, le due canzoni, scritte da due grandi autori come De André e De Gregori, associano una figura benevola come quella di Babbo Natale alla perdita dell’innocenza tipica di chi subisce un trauma, o un evento negativo, che lo riporta alla durezza della realtà.

De Gregori, in particolare, affronta in diverse canzoni il tema del Natale e sotto diversi punti di vista: in “Natale” descrive perfettamente il clima natalizio ed i pensieri intimisti di chi vorrebbe riallacciare i rapporti con un amore ormai lontano e forse non più corrisposto, mentre in “Natale di seconda mano” racconta il Natale degli ultimi, dei soli abbandonati a loro stessi, dei migranti che vivono per strada ai margini della società, proprio quella società che si ricorda della loro esistenza una volta l’anno.

Benché sia stata pubblicata nel 2001, la canzone “Natale di seconda mano” è di un’attualità sconcertante, soprattutto nella contrapposizione tra gli invisibili che non vivono nell’agio e che sono abituati ad arrangiarsi come possono e gli altri, i ricchi che sedano la coscienza con un po’ di elemosina o con belle parole vuote, conformandosi più al futile spirito natalizio che impone di essere più buoni, più benevoli e più caritatevoli che al vero spirito natalizio che vorrebbe vedere gli altri donarsi per chi è più bisognoso.

Del resto, è da ormai molto tempo che lo spirito natalizio si è piegato a logiche consumistiche, spazzando via quello che era il vero senso di una festa per lo più religiosa.

Se così non fosse, non si capirebbe il senso di una canzone come “O è Natale tutti i giorni”, scritta da Luca Carboni e Jovanotti sulla musica di “More Than Words”, famosissima canzone d’amore degli Extreme.

Anche nel testo di questa canzone è netta la distanza e la contrapposizione tra la povertà e la ricchezza, tra la libertà e la mancanza di diritti, tra chi vive in pace e chi sotto le bombe, tra chi può comprare tutto e chi non può permettersi niente.

Due mondi fondamentalmente opposti che dovrebbero incontrarsi, “stringersi le mani”, perché questo, recitano i due cantautori, è un “lusso di cartone se razzismo guerra e fame ancora uccidon le persone”.

Lo è ancor di più in questo tempo di pandemia, dove abbiamo imparato che nessuno, neanche il più ricco e progredito essere sulla terra, si salva da solo o può ignorare chi non ha i mezzi per salvarsi acquistando un vaccino.

Il nostro auspicio è che questo tempo sia il tempo per fare una riflessione che parta dal singolo per investire la collettività, che ci si impegni per una società più giusta e più solidale, perché “O è Natale tutti giorni o non è Natale mai”.

 

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