Lo Specchietto Retrovisore – 25/10/2015

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Christian Zorico (162)

 

 

 

 

Immagine3Uno sguardo al nostro specchietto retrovisore e sulla strada (la settimana) appena vissuta; l’intera visuale è occupata dal magico Mario Draghi. Il presidente della Banca Centrale Europea ha completamente esaudito anche le più audaci aspettative degli operatori del mercato. Diviene reale la possibilità di un aumento in termini temporali, e di ammontare, dell’attuale quantitative easing. Se guardiamo infatti il tasso interbancario overnight, EONIA, al momento il mercato sta già scontando il probabile annuncio, al meeting di dicembre, di un prolungamento di sei mesi (marzo 2017) insieme ad un abbassamento del tasso di sconto di 10 punti base, fino a -0.30%. Aver ammesso la discussione di quest’ultimo punto rappresenta la vera svolta, in quanto sino ad ora era stato esplicitamente dichiarato di non voler prendere l’ipotesi in esame.

In effetti è l’intero discorso che ha inorgoglito la reazione dei mercati azionari. Le parole di Mario Draghi hanno dato concretezza al suo atteggiamento da “colomba”: si è passati da un “aspettiamo e vediamo” a “lavoriamo e valutiamo”. Per raggiungere l’obiettivo del target di inflazione al 2% vengono preannunciate (nella forma che più si confà all’operato di Mario Draghi sin dal suo insediamento a governatore) le prossime possibili azioni, incluso la possibilità di incrementare l’ammontare mensile di acquisti (sino ad ora fissato a 60 billions di Euro), potendo incorporare anche obbligazioni di società oltre ai titoli governativi.  È il suo modo di comunicare, la sua capacità di rassicurare semplicemente promettendo. È ancora una volta la chiara testimonianza di come la politica monetaria di una banca centrale possa inseguire i suoi obiettivi svolgendo una efficace strategia di comunicazione. Tutto questo accadeva giovedì alla conferenza tenutasi a Malta.Mario Draghi

Venerdì le borse hanno continuato a festeggiare intensificando i guadagni del giorno prima: l’indice Euro Stoxx 50 è salito di quasi 5 punti percentuali in due giorni e l’EurUsd, per contro, si è deprezzato di oltre tre figure fermandosi in area 1.10, in seguito alla eccessiva dovishness di Draghi. Inoltre, per comprendere l’effetto dirompente sul mercato obbligazionario, basta osservare la discesa di rendimento di 8 punti base del decennale tedesco che ha chiuso la settimana in area 0.50%. Addirittura rendimenti negativi sfiorati dal benchmark spagnolo e italiano a due anni.

L’attuale atteggiamento aggressivo di Draghi è chiaramente un sistema per immettere ancora liquidità nel sistema finanziario, comprare ulteriore tempo affinché i governi nazionali possano implementare riforme e agire con la leva della politica fiscale. Aver ancorato il raggiungimento dell’obiettivo di inflazione all’andamento delle materie prime (in particolare al prezzo dell’OIL), rappresenta però una dichiarazione di sconfitta e forse al tempo stesso la certezza di dover continuare a pompare liquidità nel sistema per molto tempo ancora. Al momento le dinamiche inflazionistiche legate alle materie prime possono mutare solo in caso di shock esogeni dal lato dell’offerta. Di certo il dollaro forte non aiuterà a fare da volano ai prezzi delle commodities. E ce ne siamo accorti proprio venerdì quando al taglio della Banca Centrale Cinese (arrivato inaspettatamente e mentre ancora i mercati erano “drogati” dall’effetto Draghi) di 25 punti base del tasso di rifinanziamento, non è seguito un rimbalzo dell’Oro nero, che ha chiuso la settimana sotto i 45 dollari al barile per il prossimo contratto WTI. In effetti la dimensione del taglio potrebbe essere insufficiente per dare vitalità al settore manifatturiero; ci si aspetta seguiranno nuovi tagli per dare vigore e impulso ad una politica monetaria espansiva. Malgrado ogni più rosea interpretazione sullo stato di salute attuale e futuro della Cina, tuttavia c’è da riscontrare come il dollaro, rafforzatosi negli ultimi giorni, stia inficiando la price action delle materie prime, rendendole implicitamente più costose per i paesi importatori.

oilDa settimane ormai guardiamo da vicino lo scenario macro in cui ci muoviamo e insieme le notizie provenienti dal micro. Oggi magari cogliamo l’occasione di fare il punto delle trimestrali in atto in Europa e in America. La stagione degli utili in US appare più forte rispetto a quella europea: bene gli utili dichiarati rispetto alle vendite che sono invece in contrazione. Su un terzo delle aziende, il 74% ha battuto le stime sugli utili (stessa percentuale del secondo trimestre) con guadagni a livello aggregato del 3.1% superiori alle attese. Le vendite invece, come accennato, hanno mancato le attese per lo 0.4% con 56 aziende su 100 che hanno riportato numeri inferiori, in contrazione anche rispetto al trimestre precedente (51 su 100). Un dato quelle delle vendite che potrebbe fuorviare il lettore poiché, per quanto in contrazione, deve essere letto congiuntamente con i ricavi.  In Europa invece, per quanto sia ancora presto poter inferire sull’intera Regione perché solo 47 aziende hanno comunicato i risultati, gli utili sono stati superiori alle attese solo per lo 0.9%. Pesano tuttavia il numero di profit warnings e l’indice di sorpresa delle vendite e degli utili, sceso rispetto ai trimestri precedenti.

Apprestiamoci ad affrontare la settimana: martedì inizieranno i lavori della due giorni del FOMC e con molta probabilità la FED lascerà tutto invariato fino almeno a Dicembre; forte attesa per il meeting di venerdì quando la BOJ potrebbe unirsi alla BCE e alla PBOC in questa lotta valutaria incrementando l’attuale quantitative easing. È una guerra all’inflazione, che tarda ad arrivare, ed è una guerra che mira a strappare competitività agli altri paesi, svalutando di fatto la propria valuta sovrana.

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