L’economia della smart felicità

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Foto di Nataliya Vaitkevich da Pexels
I lavoratori sono un costo o una risorsa? E chi si occupa di loro è un ufficio personale, risorse umane o paghe? Nella pratica non cambia, ma il concetto è ben diverso.
Si può andare a lavorare la mattina per prendere lo stipendio o per costruire un mondo migliore.
Cosa passa per la testa delle persone quando si rivolgono agli altri fa sicuramente la differenza.

Sono numerose le ricerche che affermano quanto lo smartworking abbia migliorato le condizioni di vita dei lavoratori. L’Osservatorio 2020 sullo smartworking in Italia del Politecnico di Milano afferma che il 56% delle grandi aziende, contro il 37% del 2017, ha attivato progetti ma solo il 9% sta ripensando ad organizzare il lavoro in modo stabile. Nelle PMI il 24% si è arrabattato in emergenza e solo l’8% dichiara di aver cercato di struttarsi per organizzarsi al meglio. Il 38% non ha considerato questa opportunità e un altro 8% non è interessato a questo cambiamento per la limitata applicabilità alla propria realtà. Nelle Pubbliche Amministrazioni solo l’8% ha attivato progetti strutturati in tal senso.

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A fronte di questi studi ce ne sono altrettanti che dichiarano come il lavoro agile migliori lo stile di vita delle persone. Secondo un’indagine di Bva Doxa il 90% delle persone si dichiara soddisfatto e spera che questo approccio perduri nel tempo.

Ci sono però diverse modalità per approcciarsi a questi nuovi strumenti. C’è propende per l’home working, mantenendo fissi gli orari di lavoro e cambiando solo il luogo. Chi invece può calibrare sulla base delle proprie esigenze anche gli orari per conciliarli con altre attività, dalla spesa negli orari non di punta ai momenti migliori per concentrarsi. Chi ha ricevuto in dotazione dispositivi aziendali, chi invece ha dovuto utilizzare i propri BYOD (acronimo di Bring your own device).

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Che natale sarà? Difficile dirlo o anche solo immaginarlo. Per tanti sarà un Natale senza un parente o un amico, per altri un Natale segnato dall’incertezza economica e la paura del futuro, per tutti (crediamo) sarà un Natale dove riscoprire un contatto intimo con se stessi e con gli altri.

Mettendo insieme le due reazioni sembra che l’entusiasmo dei lavoratori sia spesso frenato dalle aziende che invece subiscono la sindrome del controllo che il padrone sente di dover esercitare sui propri dipendenti. Un remote working piace a pochi datori di lavoro che spesso hanno l’impressione che quando il gatto non c’è i topi ballino. Quindi il dipendente, per definizione pronto a fregare il capo, cerca escamotage per far finta di lavorare.

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Tante aziende con l’arrivo dell’estate hanno fatto di tutto per smantellare questo nuovo sistema e rientrare nei ranghi. Paura del cambiamento? Incapacità di innovare? Sistemi obsoleti? Peggio ancora quando serpeggia l’idea che poter lavorare è un privilegio concesso e il dipendente deve solo ringraziare di avere ancora chi gli paga lo stipendio.

Il partito del 27 c’è, e ci sarà sempre. Da casa o in ufficio. Ma se, almeno per qualcuno, è possibile immaginare una vita migliore lavorando da casa, perché non permetterlo? Sarà poi un onere dell’impresa trovare strumenti per valutare il rendimento, senza controlli sugli orari e senza riduzioni di stipendio.

Intravedo una nuova idea di Corporate Social Reponsability, basata non tanto sull’ecologia, sulle Fondazioni che aiutano a scolarizzare terre lontane o investire in depuratori d’acqua. La nuova Responsabilità d’Impresa è prima di tutto nei confronti dei dipendenti. I casi riguardano tutte le società che si impegnano ad aderire ai protocolli prima per le persone e poi per gli obblighi di legge, quelle che stringono i denti per pagare gli stipendi pur di non lasciare nessuno a casa, quelle che premiano economicamente per l’impegno proferito in un momento difficile, quelle che pensano alle famiglie offrendo sostegni quando le scuole sono state chiuse.

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Bisogna puntare all’economia della felicità. Chi è felice, è più produttivo. Questa è l’equazione a cui è arrivata la scienza, perché fare una buona azione, senza ritorno economico, sembra uno spreco di risorse.

Serve una giustificazione per lasciare che qualcuno, anche nel mezzo di una pandemia, continui a sorridere.

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