[Italiani all’estero] Lavorare per la scienza: intervista a Walter Tizzano.

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Walter Tizzano
Walter Tizzano

Quello della fuga (dei cervelli) all’estero è probabilmente un fenomeno che è sempre esistito, ma quasi certamente il numero degli italiani che decidono di trasferirsi fuori dall’Italia per avere maggiori o migliori opportunità lavorative è cresciuto di gran lunga negli ultimi anni. Questo fenomeno non abbraccia solo persone con un alto livello di istruzione (come si è soliti pensare) ma anche e soprattutto chi ha un livello di scolarizzazione non elevato ed è mosso dalla voglia di cercare di costruirsi un futuro che, nel proprio paese, gli è inibito. Quest’ultimi sono maggiormente occupati nel settore della ristorazione (es. camerieri o cuochi), della vendita al dettaglio (es. commessi) o nell’edilizia.

I laureati, che sono poco più del 30% secondo i dati Eurostat, sono spinti dalla voglia di trovare un lavoro che corrisponda alle proprie aspirazioni e capace di dare delle reali opportunità di crescita. La fuga dei cervelli rappresenta anche una perdita economica per il nostro paese: 164 mila euro per ogni laureato e 228 mila euro per ogni dottore di ricerca, secondo i dati dell’Ocse.
Ciò che unisce trasversalmente gli e gl’altri è la voglia di avere un presente ed un futuro migliore.

Sin qui numeri e statistiche. Ma dietro ai numeri ed alle statistiche ci sono persone e storie.

Quella che raccontiamo in questo articolo è quella di un ragazzo – Walter Tizzano – che per seguire la sua passione è arrivato sino ad Oxford (UK). Laurea con lode in Ingegneria meccanica alla Federico II di Napoli, un periodo di lavoro in Italia e poi la scelta di partire per poter avere opportunità e stabilità che per molti giovani italiani appaiono come miraggi.

D. Ciao Walter, raccontaci brevemente la tua storia.

R. Fin da adolescente ho sempre avuto voglia di vedere altri paesi (non solo da turista) e mi sono sempre sentito fortunato di essere cittadino europeo, visto che l’UE rende facilissimo oltrepassare i confini nazionali per studiare o lavorare in altri paesi dell’Unione. Mi considero parte della cosiddetta “generazione Erasmus”: dopo aver avuto l’opportunità di studiare in Danimarca per un anno, tornato in Italia ho deciso che non mi andava di vivere tutta la vita nello stesso paese, e quindi una volta laureatomi ho cominciato a cercare lavoro in altri paesi europei. Qua ho trovato fin da subito un lavoro a condizioni decisamente migliori di quelle che avrei avuto in Italia (contratto a tempo indeterminato, benefit vari, eccetera), ed Oxford è una cittadina davvero piacevole: a misura d’uomo, aperta, multiculturale e con un’architettura medievale molto suggestiva, nonché un’offerta culturale molto soddisfacente. 

D. Ci hai detto che lavori in un sincrotrone: puoi spiegarci cosa fa e quali sono le possibili applicazioni?

R. Un sincrotrone è un tipo di acceleratore di particelle nel quale vengono accelerati elettroni fino a velocità molto prossime a quelle della luce. Tali particelle emettono una radiazione elettromagnetica molto brillante, coerente e collimata, definita “luce di sincrotrone”, che viene convogliata in dei laboratori chiamati “linee di luce” dove viene usata per esperimenti molto diversi tra di loro sia per il tipo di tecnica utilizzata che per il settore scientifico. Ad esempio, si possono studiare virus o batteri oppure materiali innovativi per pannelli solari o batterie, o anche reperti archeologici oppure opere d’arte. Tra i campioni studiati di recente ricordo alcune rocce lunari raccolte durante le missioni Apollo, e dei detriti dal disastro di Fukushima, analizzati a scopo forense.

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“Spazio: ultima frontiera”

D. Come vedi la situazione del nostro paese e quali consigli ti sentiresti di dare ad un giovane che non sa cosa fare nel prossimo futuro?

R. L’Italia è un paese dalle enormi potenzialità, molto spesso purtroppo inespresse. Purtroppo, da anni, mi sembra che ci sia una certa miopia, da parte di chi può prendere le decisioni, nei confronti dei giovani che come me, ma non solo, si affacciano sul mercato del lavoro. E le statistiche sono lì a sottolinearlo.

A chiunque, che sappia o meno quel che vuole fare nella vita, consiglio di fare le valigie e provare a vivere altrove. Non perché in un altro paese la vita è necessariamente migliore, ma perché guardare le cose da una prospettiva diversa è un’esperienza impareggiabile che secondo me tutti dovrebbero avere nel proprio bagaglio personale. Sono fortemente convinto che una società di persone che hanno lavorato in più di un paese e conosciuto amici di varie nazionalità sarebbe sicuramente una società migliore e più giusta. Ovviamente ciò presuppone una conoscenza almeno di base di una qualche lingua straniera (probabilmente, ma non necessariamente, l’inglese), quindi consiglio di rispolverare i libri e fare tanta pratica… ne vale la pena!

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