Addio a Bernardo Bertolucci, il Maestro del cinema della trasgressione

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Bernardo Bertolucci al Bifest di Bari nel 2018.

“Così italiano e così internazionale. Così sofisticato e così nazional-popolare. Così letterario e così visuale”. Con Bertolucci, scompare l’ultimo grande Maestro crepuscolare del nostro cinema. Titoli epici come Ultimo tango a Parigi, Novecento e Il tè nel deserto, sono quasi dei poemi omerici, per la cura maniacale, per l’attenzione alla colonna sonora, per il genio di uno degli artisti italiani più incisivi della storia culturale nazionale del ‘900. Bertolucci proveniva da una famiglia già ampiamente addentrata nel significato profondo di “cultura”: il padre Attilio era un famoso poeta.bernardo-bertolucci-alla-macchina-da-presa

E come se non bastasse il suo esordio cinematografico avviene come aiuto-regia di Pier Paolo Pasolini e ha intessuto fin da subito amicizie sincere con Alberto Moravia, Elsa Morante e Dacia Maraini. Insomma, proprio dalla tradizione letteraria e visiva in cui crebbe il giovane Bernardo, discendono, oltre all’amore per i testi letterari, il gusto per il melodramma, l’amore per le scene madri, l’approccio mitico e popolare, che fanno del regista parmense un punto di riferimento nel mondo. Il suo esordio come detto avvenne con Accattone, nel 1961, dove è aiuto-regia di Pier Paolo Pasolini. E proprio sotto l’egida dell’intellettuale romano La commare secca (1962), sarà il primo film da regista di Bertolucci. Tematiche ancora lontane dalle sue, molto pasoliniane, dalle quali ben presto si discosta, per inseguire un’idea personale di cinema basata sostanzialmente sull’individualità di persone che si trovano di fronte a bruschi cambiamenti del loro mondo e di quello circostante, a livello esistenziale e politico, senza che essi possano o vogliano cercare una risposta concisa.

Bernardo Bertolucci, Ugo Tognazzi e Anouk Aimee a Cannes nel 1981.
Bernardo Bertolucci, Ugo Tognazzi e Anouk Aimee a Cannes nel 1981.

Tale tematica sarà presente praticamente in tutte le opere di Bertolucci, a partire dal secondo film, Prima della rivoluzione (1964), dove è esemplificata molto chiaramente nella storia di un giovane della borghesia agricola medio-alta di Parma, il quale, incapace di reagire al suicidio del suo amico più caro e incerto su una direzione da prendere, si getta a capofitto in una relazione con una matura e piacente zia giunta da Milano. Entrambi, però, si rendono conto che quella storia non può durare – lei è anche in cura da uno psicologo – e alla partenza della donna, al giovane non resta che sposare la sua precedente fidanzata, che lui non ama, facente parte dell’alta borghesia, matrimonio ben visto dalla sua famiglia.

Bernardo Bertolucci al Bifest di Bari nel 2018.
Bernardo Bertolucci al Bifest di Bari nel 2018.

Anche nei film che seguono, Bertolucci continua il suo personale discorso intorno all’ambiguità esistenziale e politica, ma il suo primo grande film sarà La strategia del ragno (1970), film dallo scarso successo di pubblico, acclamato però dalla critica. Un puzzle di menzogne e verità, passato e presente, ispirato al racconto Tema dell’eroe e del traditore, di Borges e alla pittura di De Chirico. Piccoli assaggi di quello che sarà il trionfo dei film successivi, in cui Bertolucci matura definitivamente la sua maniera di vivere e raccontare il cinema.  Il successo planetario infatti, arriva due anni dopo con Ultimo tango a Parigi (1972), il film scandalo degli anni ’70. Una pellicola che esce con un divieto ai minori di 18 anni previo taglio di 8 secondi del primo amplesso tra i due protagonisti (splendidi Maria Schneider e Marlon Brando), consumato in piedi. Sequestrato, assolto, nuovamente sequestrato, è condannato alla distruzione del negativo per oscenità dalla Cassazione, il 29 gennaio 1976 (con perdita dei diritti civili per cinque anni per Bertolucci). Il 9 febbraio 1987 viene riabilitato con sentenza di “non oscenità” perché “mutato il comune senso del pudore”, con conseguente dissequestro del film che nel 1988 passa per la prima volta in tv. Oggi, in tempo di hard-core di massa, le proverbiali prestazioni erotiche di Brando e della Schneider con il burro non sconvolgono più nessuno, ma rimane un caposaldo fondamentale del genere erotico d’autore. Ultimo tango a Parigi è invecchiato bene, ancora capace di parlarci della solitudine e della distanza fra i sessi nella nostra società. Alcuni connubi risultano azzeccatissimi -la strana, infernale plasticità di Brando; la luce pastosa del direttore della fotografia Vittorio Storaro; e la musicale mobilità della macchina da presa di Bertolucci- ne fanno un’opera “indimenticabile” nella storia del cinema mondiale.

E questo “indimenticabile” riecheggia e si applica perfettamente anche alle successive opere: su tutte Novecento (1976), un’epica grandiosa e “hollywoodiana”, piena di grandi nomi del cinema nostro e internazionale, che racconta cinquant’anni di storia padana, a tratti potente e commovente, a tratti retorica e manieristica , sempre audace per le dimensioni e le ambizioni. Ma “indimenticabile” è anche La tragedia di un uomo ridicolo (1982), ingiustamente rimasto nell’ombra, ma che ci consegna un Ugo Tognazzi intenso e drammatico veramente da Oscar, d’altronde si aggiudica la “Palma d’oro” come migliore attore protagonista al Festival di Cannes.

Bertolucci sul set di Novecento.
Bertolucci sul set di Novecento.

E “indimenticabile” senza se e senza ma è L’Ultimo Imperatore (1987), un film che fa strappare i capelli agli americani e che conquista a sorpresa nove Oscar: un’opera veramente monumentale, un trionfo di diplomazia e creatività, di gusto scenografico italiano e di abilità narrativa. L’aggettivo “indimenticabile” sarebbe indicato anche per Il tè nel deserto o per The dreamers, che riecheggia Ultimo tango a Parigi nelle atmosfere, ma è tutta la carriera di Bertolucci a poter essere apostrofata come “indimenticabile”, come la standing-ovation di 35 minuti che il Bif&st gli ha decretato nella sua ultima uscita pubblica lo scorso aprile. Il saluto di un grande intellettuale, regista e artista al mondo del cinema e non solo, un commiato concluso con questa frase, che rimarrà indelebilmente scolpita negli annali:

“Il cinema è la nostalgia di un qualcosa che non abbiamo mai vissuto”

Bernardo Bertolucci

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