20 anni dall’attentato terroristico dell’11 settembre 2001: il giorno in cui gli Stati Uniti e l’Occidente si scoprirono fragili ed indifesi

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Dove eravate l’11 settembre di 20 anni fa?

Io lo ricordo bene, erano le 14:46 in Italia (le 8:46 a New York) quando un aereo Boeing 767, l’American Airlines 11, si schiantò sulla Torre Nord del World Trade Center, dando avvio a quello che è universalmente riconosciuto come il più grave attentato terroristico sul suolo americano di tutti i tempi. Io mi stavo recando in macchina al mio luogo di lavoro a Palagiano, percorrendo i 12 km che lo separavano dalla mia abitazione a Massafra.

Avevo 28 anni, e conducevo una vita completamente diversa da quella di oggi, svolgevo due lavori per sbarcare il lunario: il primo ogni mattina, di buon’ora, consegnando ad una 20ina di supermercati il pane con un furgone per un piccolo grossista della zona; il secondo dalle 15:30 del pomeriggio fino alla chiusura in un bar/pub di Palagiano, quest’ultima la mia prima esperienza nel campo della ristorazione.

Inutile dire che con due lavori che mi impegnavano per circa 14 ore totali ero quasi sempre stanco ed un po’ sotto stress. Come tante altre volte, percorrendo in macchina la strada che mi conduceva a Palagiano stavo ascoltando la radio, mi ero fissato in quel periodo con un programma dal nome Alcatraz, ideata da quel genio di Diego Cugia, che Radio2 trasmetteva alle ore 14:00. Non ricordo se fui io a cambiare stazione o se la trasmissione fu interrotta, ma poco prima delle 15:00 sentii la notizia che un aereo di linea, un Boeing 767, si era schiantato su una delle Torri Gemelle di New York. All’inizio e per circa 20 minuti tutti pensarono ad un incidente, ma quando un secondo aereo si schiantò sulla seconda Torre alle 9:03 (15:03 in Italia), 17 minuti dopo, tutti capimmo che eravamo davanti ad un attentato terroristico.Nell'immagine le due Torri gemelle in fiamme durante gli attentati terroristici dell'11 Settembre 2001 - Smart Marketing

Le immagini dell’attentato le vidi sul televisore del Pub dove lavoravo; inutile dire che quel giorno, e poi per le successive settimane, non si parlò d’altro. Le immagini della CNN, rilanciate dai canali nazionali italiani, andavano in loop mostrando il primo schianto, ripreso fortuitamente da una piccola troupe che stava realizzando un documentario sui vigili del fuoco di New York, e quelle del secondo, che invece fu ripreso da diverse angolazioni e troupe televisive percipitatesi sui tetti dei grattacieli accanto al World Trade Center.

Una delle cose che colpisce i giovani di oggi nati dopo l’attentato è la scarsezza delle immagini e dei filmati di questo evento epocale, vissuto e raccontato dai loro genitori, ma eravamo in un’altra epoca, i telefonini esistevano ma non avevano ancora le telecamere e fotocamere incorporate. Così risulta difficile spiegare a chi è nato e cresciuto nell’era dei selfie e dei social che a quell’epoca le riprese erano fatte soprattutto da addetti ai lavori, cineoperatori, videomaker, e operatori delle TV, insomma erano fatte, quasi esclusivamente, da professionisti.

Se l’attentato dell’11 settembre fosse avvenuto oggi avremmo avuto una valanga di video amatoriali, di foto, fors’anche di selfie e di post che avrebbero inondato le bacheche di ogni social del web.

Per fare un raffronto provate a cercare sul web le immagini relative al primo grande disastro ripreso quasi interamente da non professionisti, dalla gente comune insomma, grazie alle fotocamere e videocamere dei telefonini: lo Tsunami che il 26 dicembre 2004 colpì il sud est Asiatico.

Il raffronto è sorprendente e istruttivo, perché la sproporzione fra la quantità e qualità delle immagini disponibili per i due eventi ha dell’incredibile. Sarà con lo Tsunami del dicembre 2004 e, ancor di più, con l’attentato alla Metropolitana di Londra del luglio 2005 che i grandi network televisivi CNN, ABC, BBC e, in Italia, la RAI scopriranno le potenzialità – ma non i pericoli – del citizen journalism, o giornalismo partecipativo come lo chiamiamo in Italia.

Il saggista ed accademico italiano Enrico Menduni, che studia in particolare la radio, la televisione, Internet e i linguaggi multimediali, a tal proposito è arrivato ad affermare che: “L’attacco alle Torri Gemelle è l’ultimo evento novecentesco. L’ultimo grande evento documentato esclusivamente da immagini professionali. Il primo cellulare con la macchina fotografica incorporata sarebbe stato lanciato sul mercato il mese successivo.”

Ricordo perfettamente il mio stato d’animo man mano che le ore passavano e la consapevolezza di quello che era accaduto aumentava, certo non eravamo fra le vittime, non eravamo a Manhattan, non eravamo neanche nello stesso continente, ma tutti noi spettatori di quell’orrore, dovunque ci trovassimo, ci sentimmo immediatamente più fragili, più esposti, più impauriti, più terrorizzati.

In poco più di un’ora, dallo schianto del primo aereo alle 8:46 al momento in cui il volo United Airlines 93 precipita, a causa di una rivolta dei passeggeri, in un campo nei pressi di Shanksville, in Pennsylvania, alle 10:03, gli Stati Uniti in primis e l’Occidente poi persero la loro ingenuità, la falsa sicurezza in cui credevano di vivere e cominciarono la loro discesa in quella che il filosofo e sociologo polacco Zygmunt Bauman, ha definito “paura liquida”. Uno stato di perenne incertezza ed ansia striscianti, che hanno poi portato al Patriot Act americano, al campo di prigionia di Guantánamo, alle leggi antiterrorismo europee, ma pure alla nascita di tutte quelle infrastrutture tecnologiche che poi avrebbero favorito la nascita – dopo qualche anno e soprattutto grazie alla rivoluzione digitale – di quel primo embrione del capitalismo della sorveglianza.Nell'immagine le macerie dopo il crollo delle due Torri gemelle, l'11 Settembre 2001 - Smart Marketing

Insomma, in poco più di un’ora 19 attentatori legati all’organizzazione terroristica di al-Qaida, guidata dal carismatico Osama Bin Laden, dirottando, con una facilità cha ha dell’incredibile, 4 aerei di linea, assestarono il più grave attacco mai avvenuto in tempo di pace su suolo americano, cambiarono la storia e gettarono un’intera generazione in uno stato di ansia, angoscia e prostrazione.

A mio modo di vedere, la più bella sintesi di quello che accadde quel giorno di 20 anni fa e di ciò che rappresentò per il corpo sociale ed emotivo degli Stati Uniti e dell’Occidente, non l’ha fatta un dotto studioso di storia contemporanea, un filosofo o un esperto di politica internazionale, ma l’ha fatta – anzi messa in un film – un regista canadese, Denys Arcand.

In un bellissimo film del 2003, “Le invasioni barbariche”, da lui diretto, dedicato al tema dell’eutanasia ma al tempo stesso lieve ed ironico, pieno zeppo di riflessioni profonde sull’amicizia, la paura, l’amore e la vita, in una scena egli riprende un televisore acceso in una stanza d’ospedale, nel quale viene trasmesso un talk sul significato che l’11 settembre ha avuto per l’America e l’Occidente; ad un certo punto, uno dei partecipanti al dibattito dice: “Gli attacchi dell’11 Settembre hanno rappresentato per gli Stati Uniti ciò che le invasioni barbariche hanno rappresentato per l’Impero Romano, la fine di un’egemonia e di un potere. L’11 Settembre 2001 è stato l’inizio delle invasioni barbariche in America”.

Ed adesso eccoci qui, 20 anni dopo, con tutta la sequela di celebrazioni che si svolgeranno in ogni parte del mondo, con la questione del precipitoso ritiro delle forze americane ed occidentali dall’Afghanistan a complicare gli equilibri internazionali, e con la difficoltà di spiegare ai giovanissimi della Generazione Z, ma forse anche ai millennials, un evento che, oltre a causare direttamente la morte di 2.977 persone ed il ferimento di oltre 6000, ha anche avuto ripercussioni profonde sul mondo, sulla società, sulla psicologia e anche sulla tecnologia, che anche essi sperimentano, abitano e vivono, consapevoli che spiegare l’orrore è un compito delicato e difficile, ma che l’esercizio della memoria, per questo come per altri tragici eventi, è prima di tutto un dovere.

Perché, come ha detto il filosofo, poeta e saggista spagnolo George Santayana:

Coloro che non riescono a ricordare il passato sono condannati a ripeterlo.

 

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